Il boss della strage di Pizzolungo

Morto il capo mafia palermitano Vincenzo Galatolo, mandante dell’attentato al giudice Palermo e che il 2 aprile 1985 costò la vita a Barbara Rizzo ed ai suoi gemellini Salvatore e Giuseppe Asta

E’ morto nel carcere Opera di Milano, all’età di 81 anni, il boss palermitano Vincenzo Galatolo. Recluso al 416 bis da molti anni, il capomafia dell’Acquasanta era malato terminale per un tumore ai polmoni e al cervello. Il suo avvocato aveva presentato istanza di scarcerazione, viste le sue gravi condizioni di salute, ma era stata rigettata.
A giugno era diventata definitiva la sua condanna a 30 anni per la strage di Pizzolungo del 1985 costata la vita a Barbara Izzo e ai suoi figli Salvatore e Giuseppe Asta, gemelli di sei anni, che passavano di là per caso facendo da scudo all’auto blindata del giudice Carlo Palermo, vero obiettivo dell’agguato.
Conosciuto nell’ambiente mafioso come Enzo il Tripolitano, stava scontando numerosi ergastoli, fra cui quelli per le stragi di Capaci e via D’Amelio, a lui addebitati in quanto componente storico della commissione, l’organismo decisionale di Cosa nostra.
Era la mafia che non si poneva scrupoli quella che il 23 settembre 1983, aveva eliminato, con una finta rapina finita male, la figlia del boss Vincenzo Pipitone, rea di avere “disonorato” il padre con una relazione extraconiugale.
Enzo il Tripolitano – in quel caso con Nino Madonia – era stato freddo esecutore di ordini, al servizio dei Corleonesi anche quando era stato organizzato l’attentato all’Addaura contro il giudice Giovanni Falcone e i colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehmann.
Nel quartier generale di vicolo Pipitone si organizzavano e si commettevano omicidi, si controllavano il vicino Cantiere navale, unica vera industria di Palermo, e il non lontano mercato ortofrutticolo, collegato al cantiere dalla strada-mercato che è via Montalbo.
Potere assoluto, mafia di altri tempi, prestigio che rimane intatto nonostante ben due figli pentiti, Vito e Giovanna Galatolo, e un nipote pure lui collaboratore di giustizia, Angelo Fontana, a cui di recente si era aggiunto un altro nipote ancora, Gaetano Fontana. Pronto, quest’ultimo, a giocare carte non ritenute del tutto credibili, come la presunta estraneità dei Galatolo all’attentato di via D’Amelio, avvenuto nel loro territorio ma di cui i boss dell’Acquasanta nulla avrebbero saputo. I residui misteri, quelli mai rivelati, come tanti altri capimafia irriducibili, Enzo Galatolo il Tripolitano se li è portati ora nella tomba.

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