Omne initium grave – Capitolo 4

I racconti di Nicola Quagliata

Capitolo 4

Peppe mostrava sconcerto per le cose che gli venivano rivelate e provò a protestare:

–       Eu sti cosi non le voglio sapere, lu comuni mi detti l’incarico del trasporto, ed io quello voglio fare, il resto non mi interessa e non mi deve interessare, come si dice? Mi vogghiutirarilu me filaru!

•      E bravo Peppe, tu voi fari il trasporto per il comune e non vuoi sapere che porti, chi porti, perché lo porti e se si tratta di un morto o di un vivo, e di un morto non vuoi sapere neppure come è morto! – rise – Bravo Peppe… vuoi la vita comoda – e rise di nuovo – A me invece hanno detto che ti devo dire tutto, che devi sapere tutto…. Se ti fanno sapere tutto è segno che ti vogliono bene… – E rideva ironico mentre sfilava viti dalla cassa.

Ma ora Peppe luCorvu sapeva che in questa notte di marzo, nel pieno di una tempesta di maestrale, col suo camioncino Fiat 1100 da poco comprato, aveva da trasportare un morto ammazzato con due colpi di fucile sparati uno da una certa distanza alla schiena ed uno al petto a distanza ravvicinata come una esecuzione di morte e sa che gli hanno risparmiato la testa ed il viso, forse un segno di pietà e di rispetto verso la giovane età del nemico atteso nell’agguato. Ed ora quell’essere storto gli avrebbe anche fatto vedere come era fatto il morto che aveva da trasportare, ed in qualche modo cominciava a chiedersi e a darsi la risposta sul perché avessero chiamato lui per il trasporto di un cadavere e non le normali pompe funebri con un carro funebre, e lui avrebbe volentieri fatto a meno di vedere come era fatto ma anche di sapere tutte quelle dinamiche della sparatoria che a lui non spettava conoscere; per lui andava bene l’incidente di caccia, per il lavoro che aveva da fare non serviva sapere il come ed il perché di ogni cosa. Adesso quel trasporto si faceva davvero pesante, ed ingombrante; poco tempo prima, con la scusa che il camioncino era nuovo aveva rifiutato il trasporto di un carico di pecore appena aveva saputo che erano rubate, con la scusa che non voleva infettare il camioncino nuovo con la puzza di pecore, e quelli si misero a ridere, ma lui non fece il trasporto. Adesso un morto ammazzato. Ma anche se il mattino, quando l’assessore Tumminello glidiede l’incarico, gli avesse detto che si trattava dell’ucciso non avrebbe rinunciato, ad affidargli il lavoro era il Comune, quindi lo Stato, e rimandare indietro un lavoro che ti da lo Stato è come rifiutare il pane stesso, senza considerare che il viaggio veniva pagato bene ed i soldi erano sicuri e non perdeva i lavori che gli erano stati richiesti per l’indomani.

Peppe lu Corvu si chiedeva come mai l’assessore Tumminello si fosse rivolto a lui per quel viaggio triste e non alle pompe funebri. Il perché non lo chiedeva a Crozza e non lo avrebbe chiesto a nessuno, nemmeno a sua madre che lo aveva fatto; non trovando una risposta plausibile finì con l’accettare la cosa così come gli si era presentata, come si accetta la pioggia, se piove uno non si chiede perché piove e chiederselo non serve a nulla. Piove? Allora ti devi riparare se non vuoi bagnarti.

I riferimenti ed i richiami di Crozza erano stati molto vaghi ma erano pure evidenti i richiami alle forze oscure che animano e regolano la vita in Sicilia, capaci di agire con la perfezione di un ingranaggio di orologio e misteriose come l’ingranaggio di un orologio nascosti dietro al quadrante, ma a guardarle meglio quelle forze diventano una matassa ingarbugliata di fil di ferro.

Ma ecco schematicamente come si presenta la matassa, l’ingranaggio che non segna l’ora ma la morte del giovane G della famiglia P.B. di Castelvedere, un ingranaggio fatto di uomini, diversi tra loro, collocati in un preciso spazio, che è la Sicilia Occidentale, con la loro storia e con la storia propria della Sicilia.

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