Mesina: un anno da fuga, difesa non crede alla pista Tunisia

Avvocate, “si è reso irreperibile a noi e alla sua famiglia”

Mesina nel 2004.
FABRIZIO RADAELLI ANSA/ KLD

Era il pomeriggio del 2 luglio del 2020, esattamente un anno fa, quando i carabinieri del Comando provinciale di Nuoro si presentarono nella casa della sorella di Graziano Mesina per arrestarlo: la Cassazione aveva infatti confermato la condanna a 30 anni di carcere per traffico di droga. Ma lui aveva già messo in atto il suo piano di fuga finendo così nella lista dei sei latitanti più ricercati di d’Italia, alla stregua di Matteo Messina Denaro e di Attilio Cubeddu, sardo come Graziandeddu. A un anno di distanza e a 79 anni compiuti ad aprile, l’ex primula rossa del Supramonte è ancora irreperibile. Fonti investigative citate in questi giorni dal quotidiano La Nuova Sardegna, lo danno nascosto in Tunisia già da qualche mese, grazie alle coperture in loco.
“Una ricostruzione su cui siamo scettiche, ma tutto è possibile: da un anno Mesina si è reso irreperibile anche a noi”, commentano con l’ANSA le due avvocate che da anni lo tutelano, Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier. Orgosolo è lontano dal clamore di un anno fa quando la stampa nazionale aveva invaso il paese per l’incredibile fuga dell’ex bandito dall’abitazione della sorella Peppedda in Corso Repubblica, dove aveva vissuto per un anno dopo l’uscita dal carcere per decorrenza di termini. In quella casa aveva vissuto con il nipote ingegnere Giancarlo Pisanu, morto di Covid a 58 anni nel maggio scorso. E Giancarlo non è stato l’unica vittima su cui si è abbattuta la ‘maledizione’ della famiglia: nel dicembre scorso sono morte sempre per Covid le due sorelle di Mesina, Rosa di 94 anni e Antonia di 77.
“Scegliendo di sottrarsi alla giustizia, Graziano – spiegano le sue avvocate – si è sottratto anche agli affetti più cari e non possiamo sapere se sia o meno a conoscenza di questa pesante situazione della sua famiglia”. Nel frattempo le due professioniste stanno vagliando l’ipotesi del ricorso alla Corte europea per i Diritti dell’uomo per restituirgli la libertà, motivandola con i suoi 46 anni di carcere già scontati e con l’età molto avanzata. “E’ una possibilità che lui accarezzava nel suo ultimo anno a Orgosolo nell’ipotesi che la Cassazione confermasse la condanna – raccontano Beatrice Goddu e Maria Luisa Vernier – anche se prevaleva in lui la speranza di venirne fuori. Allo stato attuale comunque – chiarioscono.- questa è solo un’ipotesi da studiare”.
* fonte Ansa

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