Il racconto di Giuseppe Giacalone domandante dell’Aliseo ferito da un proiettile: «Sto bene, ma siamo vivi per miracolo». La procura di Roma ha avviato un’indagine
di Fabio Albanese
Il motopesca Aliseo naviga nel Mediterraneo centrale, ormai lontano dalle coste libiche e dal «mammellone», la zona di pesca in acque internazionali che però da sempre la Libia rivendica come propria. L’imbarcazione è attesa a Mazara del Vallo per la notte, e intanto la procura di Roma ha aperto un’indagine affidata ai carabinieri del Ros. Al rientro del peschereccio, i rilievi sull’imbarcazione saranno fatti dalla Sezione investigazioni scientifiche del comando provinciale di Trapani. Il comandante della fregata Libeccio ha già prodotto una relazione su quanto avvenuto.
Il comandante Giuseppe Giacalone, che ieri è stato ferito dai «colpi d’avvertimento» sparati da una motovedetta della Guardia costiera libica partita da Al-Khoms, nella notte ha potuto parlare al telefono con il figlio Alessandro, che della barca è l’armatore: «Sto bene, non preoccuparti», gli ha detto al telefono satellitare per rassicuralo. «Siamo vivi per miracolo, ci hanno sparato a pallettoni, qui la cabina è piena di buchi – ha poi raccontato il comandante -. Sono un miracolato, perché soltanto Dio ci ha aiutato». Giuseppe Giacalone ha poi raccontato le drammatiche fasi dell’abbordaggio da parte dei libici: «Erano le 14 quando tutto è successo. Mentre eravamo in navigazione verso Nord Est ci ha raggiunto una motovedetta libica e ha iniziato a sparare. È stato un inferno. Io sono rimasto ferito al braccio e anche alla testa perché il finestrino della cabina è andato in frantumi e le schegge di vetro mi hanno colpito». Quindi ha raccontato la reazione dei libici: «Mi ripetevano “perdono, perdono, ora ti soccorriamo”, mentre la nostra imbarcazione veniva sorvolata dall’elicottero della Marina italiana che è subito intervenuto in nostro soccorso».
Ma il giovane armatore, come tutta la comunità mazarese che di pesca ci vive, aspetta di vedere entrare in porto l’Aliseo prima di poter considerare chiusa, almeno per ora, questa brutta storia: «Sono stati pochissimi minuti trascorsi al telefono satellitare di bordo, durante i quali, dalla voce di mio papà, ho potuto constatare che stava bene e che era rimasto ferito solo lievemente – ha spiegato Alessandro Giacalone -. Mio papà mi ha riferito che i colpi d’arma da fuoco sono stati sparati ad altezza d’uomo e la prova è il fatto che alcuni vetri della cabina di comando sono andati in frantumi. I cocci lo hanno colpito alla testa, mentre un proiettile lo ha ferito di striscio a un braccio». La versione dei libici, invece, parlava di «colpi sparati in aria per avvertimento», versione che i pescatori mazaresi respingono fermamente, anche perché appena pochi giorni prima, poco più a Est, al largo della Cirenaica ancora sotto il controllo del generale Haftar, un altro motopesca impegnato nella stessa battuta, il «Michele Giacalone», era stato colpito da colpi di mitraglia sparati da un’altra motovedetta libica e anche in quel caso solo il provvidenziale intervento di una nave della Marina militare, la Alpino, aveva evitato il sequestro dell’imbarcazione.
Come, peraltro, accaduto ieri 35 miglia al largo di Al-Khoms – acque internazionali ma ritenute proprie dalla Libia – quando ad intervenire è stata la nave della Marina Libeccio che ha fatto alzare subito in volo un elicottero. I libici, che erano già saliti sull’Aliseo con l’intenzione di sequestrarlo assieme ai sette uomini di equipaggio (cinque italiani e due tunisini), hanno così desistito e rilasciato la barca.
Risolta per il momento l’ennesima crisi – un altro figlio del comandante ferito, Giacomo Giacalone, è tra i 18 pescatori che l’anno scorso furono sequestrati e incarcerati in Libia per 107 giorni – resta il problema di fondo: l’utilizzo di quelle acque del Mediterraneo centrale, le stesse tante volte solcate dai gommoni dei migranti, che sono tra le più pericolose sia per chi fugge dalla Libia con i gommoni ma anche, seppure per motivi diversi, per i pescatori italiani. Essendo una zona tra le più pescose, infatti, i pescherecci mazaresi vanno lì a recuperare soprattutto il prezioso gambero rosso. Nei giorni scorsi, le otto imbarcazioni della marineria di Mazara, tra le quali l’Aliseo, che a metà aprile erano partite per una battuta di pesca in quella zona, erano state avvertite dalle autorità italiane di tenersi lontane da quelle acque, ritenute molto pericolose per i nostri pescatori. Ma il «consiglio» non è stato accettato e ieri solo per un caso, e nonostante la presenza nell’area delle navi della Marina militare italiana, non è accaduto il peggio.
«È assurdo che i pescatori siciliani debbano correre il rischio persino, di perdere la vita per portare un pezzo di pane a casa – dice il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci -. È assurdo che il governo italiano non abbia ancora avvertito la necessità di chiudere questa partita con il governo libico, una partita aperta da oltre cinquant’anni».
*fonte lastampa.it