Si chiamavano…ed erano sei ragazzi tunisini

Ventuno anni addietro il rogo del centro di trattenimento “Serraino Vulpitta”

Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti e Nasim, questi i nomi dei sei ragazzi tunisini morti per un rogo scoppiato nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1999, all’interno del centro di trattenimento per clandestini, ricavato nell’ambito della ex casa di riposo per anziani “Serraino Vulpitta”. Uno dei clandestini appiccò un rogo sperando di riuscire a provocare una fuga dal centro, fu invece una tragedia, le stanze trasformate in veri e propri forni, feriti forze dell’ordine e altri clandestini, per sei di loro non ci fu nulla da fare. Morti senza colpevoli, se non quel tunisino morto anch’egli nell’incendio da lui appiccato. Fu portato sotto processo il prefetto dell’epoca, Leonardo Cerenzia, è stato assolto dall’accusa di omicidio colposo plurimo, in tutti i gradi di giudizio. All’epoca il Cpt “Serraino Vulpitta” fu portato ad esempio nella ribalta nazionale. Ad inaugurarlo fu l’allora ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, il futuro Presidente della Repubblica. Il rogo svelò il volto di quel centro, un vero e proprio carcere, anzi qualcosa di più perché prigionieri erano anche le forze dell’ordine che vi lavoravano. Sono trascorsi 21 anni, e ancora incespichiamo nel dire se le cose siano o meno cambiate. I clandestini oggi li chiamiamo col loro giusto termine, migranti, ma continuano a morire, in mare, durante le traversate della speranza, l’illusorio viaggio verso il benessere, perché la questione vera è che a questa gente non garantiamo ancora il giusto benessere, figurarsi non lo garantiamo ai cittadini italiani, per lo straniero, almeno per quello che qui arriva dal continente africano. L’accoglienza è il problema nel problema, ha cambiato definizioni e acronimo, ma il disastro è stato sempre presente. L’ultima novità sono le navi passeggeri, con la scusa del Covid sono diventati centri di accoglienza galleggianti, il Governo paga i noleggi oltre 60 mila euro al giorno, a Trapani per un paio di settimane la nave è rimasta in porto, non alla fonda al largo come di solito, perché a fare la quarantena a bordo c’erano solo quattro migranti, inconsapevoli che il loro era diventato un soggiorno extra lusso per i costi sostenuti. Dimenticando i morti, la politica, certa politica, collusa con imprenditori senza scrupoli e spesso pregiudicati per mafia, hanno messo le mani sull’accoglienza, un business che ha riempito di altro denaro le casseforti del malaffare. Un mondo criminale nascosto. A Trapani ne è venuto fuori un pezzo. Procura e sezione di pg della Forestale e comando dei Carabinieri dopo, indagando su un prete senza scrupoli, che vendeva permessi di soggiorno in cambio di prestazioni sessuali, hanno alzato il coperchio di una delle pentole, trovando dentro politica, corruzione, massoneria.  Oggi manca un vero e proprio fronte ampio di consapevolezza, i migrati devono essere una risorsa per un Paese che vuol essere moderno, per un continente quale è l’Europa che anche per questa ragione resta alterna sul suo destino e ruolo. E invece i migranti fanno notizia, ma solo per un paio di ore, se muoiono in mare, o se per giorni restano su una nave con un ministro maldestro come Salvini che gioca con il loro destino e pensa a far guerre e non a cercare la Pace, spalleggiato dai brutti ceffi di CasaPound che chiamano dittatura la Democrazia ma è evidente che è alla dittatura che guardano, non capendo che in Italia dei ventenni ne abbiamo fin troppo riempite le tasche.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.