Omne initium grave – Capitolo 2

I racconti di Nicola Quagliata

 Capitolo 2°

Il trasporto della salma

A casa arrivò che era gia buio da un po’, lavò le mani e gli occhi, con acqua fredda, ed a tavola cenò pasta asciutta con salsa di bottiglia ed aggiunta di stratto che gli dava un sapore intenso, mangiò un uovo sodo e bevve un bicchiere di vino, senza dire molte parole, ma sua moglie c’era abituata, ed anche lei non era di molte parole. Finalmente disse che si metteva sulla sdraio e che se si fosse addormentato prima delle dieci lo doveva svegliare che aveva un appuntamento ed un viaggio da fare col camioncino durante la notte. La moglie fu contenta intanto per il lavoro, ma fu titubante con la nottata di tempesta che avevano davanti. – Lontano devi andare? Se lavori tutta la notte allora vuol dire che vai lontano…. – Un viaggio del comune, a Castelvedere, sono soldi sicuri e non si tratta di un carico, forse devo trasportare una persona, ma n mi hanno pure detto che il comune non vuole che si sappia, figurati che non hanno nemmeno voluto che portassi con me l’Attuppateddru, perché dicono che lanza tutti cosi. La moglie era contenta che il lavoro fosse per il comune, si trattava di soldi sicuri, e pure pagato bene : – e chi è questa persona che devi trasportare? – Anna nunsacciu nemmeno se devo trasportare una persona e tu vuoi sapere come si chiama? È una ipotesi che faccio io , ma non è detto… – Sai che ti dico? Essendo per il comune se non è una persona allora sono incartamenti, carte comunali… – È vero, hai ragione, non ci avevo pensato, ma ora lasciami stare che vado a riposare, chiamami prima delle dieci, e non farmi svegliare dai picciriddi. Peppe aveva cinque figli, la più grande una femmina che era già in grado di aiutare sua madre, e si era detto che non ne avrebbero più fatti venire, anche a costo di abortire; la moglie era in parte d’accordo, ma non amava parlarne, dire che non voleva più figli per lei era come volere anche dire che avrebbe fatto a meno di quelli che già aveva? E la sola idea la faceva star male e torcere le budella, ed a lei sembrava che se ne parlasse come di una mucca o di una pecora, e si stabiliva se farla accoppiare o no, insomma per interessi. La stanchezza della giornata fece addormentare immediatamente Peppe ed il vino che aveva bevuto, non molto per la verità, lo fece anche russare ed alla moglie non le bastava il cuore di svegliarlo quando si avvicinarono le dieci. Peppe aveva già tutto sul camion, prese solo le chiavi di avviamento e se ne usci – sta attento- gli disse la moglie mentre chiudeva la porta, poi entrò in casa, prese del pane di Sangiuseppe dell’anno prima benedetto durante la messa il 19 marzo, ne spezzò un tozzo e dalla finestra che si apriva nella porta lo buttò fuori con delle implorazioni sacre per allontanare i fulmini ed il maltempo. Peppe alle 10 meno qualcosa partì col camioncino da casa sua, si districò tra le stradine che conosceva a memoria ed arrivo in corso dei Mille all’altezza della chiesa del Crocefisso, dalla strada intravvedeva appena il portale della chiesa e sotto al portale, come incollato al portone la salma di un uomo che evidentemente si stava riparando dalla pioggia e dal vento freddo. Non lo riconosceva ma vide che si piegava a guardare nella sua direzione e siccome erano le dieci e non c’era nessun altro nei dintorni quello doveva essere l’uomo che lo aspettava per il viaggio.

Lo vide venire barcollante verso il camioncino e si sbalordì un poco, quell’andatura strana non gli era estranea, era un’andatura del paese, di qualcuno del paese, ma non gli veniva in mente di chi si trattasse. L’uomo allungò il braccio in segno di chiamata, lo alzò e volteggiò per aria, e con la mano gli fece segno di andargli incontro, poi capendo che il camioncino non poteva salire gli scalini gli fece ancora segno di aspettare che lui lo raggiungeva e quando la sagoma al buio si intravide meglio perché raggiunta dai bagliori delle luci del camioncino riconobbe Turiddru Crozza, lucampusantaru, dalla faccia bianca che rifletteva la poca luce e dai pochi capelli chieri sulla testa, le dita e le mani lunghissime e sottili. – Peppi.. Peppi, eusugnueu, un mi canusci? Ultimamente seppellivi tuo suocero ti ricordi di mia? Quella tomba è sempre liscia sempre pulita, un trovi un filo d’erba o un filo di cera. Lo riconobbe, certo che lo riconobbe, ma che ci faceva qua a quest’ora? Stentava a credere che la persona che doveva incontrare per il comune fosse proprio Turiddru Crozza lucampusantaru, non vedeva alcun nesso con il viaggio ed il trasporto, e non poteva trattarsi di lui di trasportare lui a Castellammare. Ma quello, con andatura basculante si dirigeva deciso verso lo sportello del suo camioncino e questo gli fece comprendere con una certa sorpresa che era lui che lo aspettava per conto del comune, ma perché? Dovette scendere per aprirgli lo sportello, da solo non ci riusciva, non trovava la maniglia e benediceva le tombe tutte del camposanto; gli aprì lo sportello e lo fece salire, fece svelto il giro del cabinato e salì pure lui ed una volta seduto alla guida salutò e rimase in attesa che Crozza parlasse.

Ma Crozza non diceva nulla ed anzi ad un certo punto disse, ma non parti? – Parto? E dove andiamo? – Ma come non lo sai dove dobbiamo andare? A questo punto Peppe tirò un sospiro di sollievo, sapeva finalmente che doveva trasportare, anzi chi doveva trasportare, TuruddruluCampusantaru, ma un velo di preoccupazione gli increspava la fronte, che bisogno aveva lucampusantaru di essere trasportato di notte, in segreto a Castellammare e con tanta prescia da non potere nemmeno aspettare che il maestrale andasse via? Qualcosa non andava nel ragionamento, mancava di certo qualcosa. Quando mise la prima per partire girò verso sinistra per andare sulla strada per Castellammare, ma Turiddru lo bloccò: – Peppi chi fai? Unni vai? Sull’altro lato si trova il cimitero! Peppe bloccò confuso il camioncino in mezzo alla strada, tanto non c’era anima viva . – devi prendere qualcosa che hai dimenticato? – Peppi, tu hai a pigghiari, ma mi pari chi nun sai nenti, sai nenti? Confuso Peppi ammise di non sapere niente. – Lu comuni nenti ti dissi? – Mi dissi chi avia a fari un trasporto, un viaggio di notte. – E nun ti dissi che trasporto? – No! – Emu a lucampusantu e lo saprai. Sterzò tutto a destra ingranò la prima e diresse il camioncino sulla discesa, verso il cimitero che non era distante, subito dopo la curva sulla sinistra c’era il cancello, ma qualcosa cominciava a comprendere Peppe. Proprio in quei giorni correva voce in paese di un cadavere ritrovato dai carabinieri del paese sulla riva del fiume…. Coi piedi ancora nell’acqua, e si diceva che era un cacciatore venuto da Castellammare rimasto vittima di uno sparo da parte di un altro cacciatore sconosciuto che non lo aveva visto, e con questa versione ne camminava un’altra, di un picciotto caduto in un agguato di mafia della guerra in corso a Castellammare, venuto a morire a Salemi non si sa come e perché. Ma ancora non capiva cosa potesse a che vedere questa storia con lui ed il suo camioncino, non chiese ed aspettò che fossero arrivati per avere finalmente chiaro il quadro. Fece la curva, un breve rettilineo ed arrivò all’altezza del cancello, giro sulla sinistra attraversò lo spiazzale e si fermò davanti al cancello illuminato dai fari. – bonupeppi, ora scinnu e grapulucancellu, tu trasi e ti metti a destra davanti alla camera mortuaria e scinni cu mia. Scese dal camioncino, si diresse sulla destra del cancello, rovescio una pietra accostata al muro e tirò delle chiavi con cui apri il lucchetto della catena avvolta al cancello quindi abbassò la manigli ed apri la prima anta, sollevò il ferro che bloccava l’altra anta e spalancò del tutto il cancello, illuminato dai fari del camioncino, entrò per primo diretto verso la camera mortuaria, la apri entrò ed accese la luce elettrica. Peppe accostò lentamente il camioncino alla porta e scese entrando pure lui nella camera mortuaria con al centro una bara di legno grezzo poggiata su due trespiti di metallo con due piedi ciascuno, un trespito alla testa della bara ed uno ai piedi tenendola sollevata. – Peppi, ora lu sai, chistu è lutrasportu che devi fare… ora m’aiuti e la carricamu… Peppe era perplesso, con le braccia calate si guardava intorno confuso con tanti interrogativi nella testa. Turiddru era nel suo regno, era deciso e sicuro di se: – Peppi, ca’ ci semu eu e tu, e lumortu. Iddrunun ci po’ aiutari, eu e tu avemu a truvari ogni soluzione, tutto sta a mia ed a tia, poi sulu a tia, tu la pigghi pi li peri che è chiù leggiaeu pi la testa e l’accomodiamo sul camioncino… – Ma con tutta l’acqua chi cari di ncielu … – Peppi avemunancirata, la avvolgiamo na la ncirata e viri chi nun si bagna, li cordi ci l’hai? La fissiamo con le corde e vedrai che non si muove e con l’aiuto delle anime benedette tutto andrà liscio, la devi consegnare al cimitero di Castellammare… – A quest’ora? – Non temere, sono avvisati e ti aspettano, a Castelvedere vogliono la salma, lu sapi Dio pirchì … – E’ certo che la famiglia ne richiede il corpo, per il funerale e dargli sepoltura crisitana.. – la famigghia… la famigghinun sapi ancora nenti, nun sapi che è morto…. – possibile che la famiglia nun sa niente? Ed allora a Castellammare chi lo vuole il corpo? – l’avutrafamigghia… Peppi, ancora nun capisci? Si stannuammazzannucomu li bestie, chistu è lu quarto di na stessa famigghia, il più piccolo di sei fratelli, ne restano altri due e non se ne sa niente, se sono vivi, se sono morti… c’è cu pensa che stanno in qualche macasenotra lifeura a cuntarisi li morti… ma non hanno più niente da fare, fineru… e finiupurustavutra guerra.

Indicando la bara che stava da parte, ad un lato della sala mortuaria, disse a Peppe:

•       Lo vuoi vedere? …

•       Ma che dici? I morti sono sacri!

•       A mia lo dici? Che ci lavoro? Io lo dicevo per te, tu lo vedi e sai cosa porti sul tuo camioncino.

•       No! Non lo voglio vedere, tu ci lavori ma io no e per me un morto è sacro…

•       Crozza si allontanò basculando verso uno stipo addossato alla parete opposta al morto, sulla destra dell’entrata, aprì un tiretto rumoroso per la ferraglia che conteneva e ne tirò fuori un cacciavite con un grosso manico di legno grezzo ed una tenaglia da falegname, e con la sua camminata che avrebbe spaventato tutti i morti del camposanto, con il cacciavite in una mano e la tenaglia nell’altra per bilanciare i pesi, facendoli volteggiare per aria insieme alle braccia in armonia con l’andatura ondulante, si diresse verso la cassa appoggiata sui trespiti di ferro ciascuno con due appoggi terminanti con tre piedi raffiguranti dei leoni seduti,  guardiani possenti dell’oltre tomba. Peppe intuisce che Crozza stava andando a scoperchiare il morto, a che altro gli potevano servire quegli arnesi?

 

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