Razza, toccata e fuga

L’ex assessore regionale alla Sanità è arrivato in Procura a Trapani per avvalersi della facoltà di non rispondere

È entrato velocemente in Tribunale a Trapani e ancora più di gran corsa è andato via, riuscendo a superare con un salto felino uno sbarramento tra le scale davanti all’ingresso del Palazzo di Giustizia, per evitare l’unico giornalista che era presente, cioè chi firma questo breve resoconto. Si è infilato nell’auto con la quale era arrivato accompagnato da due collaboratori ed è sfuggito via. Ruggero Razza, avvocato, oramai ex assessore regionale alla Sanità, accompagnato dal suo legale è arrivato alle 17,10 ed è uscito dalla Procura appena mezz’ora dopo. Il tempo di avvalersi della facoltà di non rispondere. Lo attendevano al quinto piano del Tribunale  il procuratore aggiunto Maurizio Agnello e le due pm, Sara Morri e Francesca Urbani, titolari delle indagini sull’ultimo, in ordine di tempo, degli scandali della sanità siciliana,  quello sui falsi dati trasmessi da Palermo a Roma, dall’assessorato regionale alla Salute all’Istituto Superiore di Sanità e quindi al ministero e alla cabina di regia sull’emergenza pandemica. Razza è indagato (col suo vice capo di gabinetto Ferdinando Croce) per falsità materiale ideologica, c’è la sua voce nelle telefonate intercettate dai Carabinieri di Trapani e dei Nas con la responsabile del Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio, Letizia Di Liberti, finita ai domiciliari, dove si concorda di allargare o stringere a secondo dei bisogni i numeri sulla diffusione dei virus, sui contagi, sui tamponi eseguiti e sui loro relativi risultati, ma anche sui decessi. Intercettazioni andate avanti da novembre scorso sino al 19 marzo, pochi giorni addietro, allorquando si decide negli uffici dell’assessorato regionale di cambiare i numeri sulla diffusione del virus a Palermo, che rischiava così di diventare zona rossa, ma non lo è diventata. E’ stato quest’ultimo episodio a indurre la Procura di Trapani ad agire in urgenza per mettere fine a quell’andazzo, chiedendo al gip le misure cautelari. Lo stesso gip, giudice Caterina Brignone, ha riconosciuto la necessità di agire in urgenza, disponendo assieme al trasferimento degli atti alla Procura di Palermo per competenza territoriale, tre misure cautelari, arresti domiciliari per la Di Liberti e due suoi collaboratori, Emanuele Madonia e Salvo Cusimano, mentre la procura procedeva a notificare altri quattro avvisi di garanzia e a fare eseguire ai carabinieri diverse perquisizioni. A Razza è stato sequestrato il suo cellulare, i periti cercheranno altre prove nelle chat di whatsapp. Il gip Brignone ha giustificato l’esecuzione dei provvedimenti scrivendo “i fatti risultano di straordinaria gravità e la consapevole e volontaria alterazione di elementi conoscitivi rilevanti non può essere revocata in dubbio”….”Uno scellerato disegno che ha colpito la popolazione isolana, l’alterazione dei numeri, anche quelli sui decessi, ha impedito l’adozione di misure di contenimento più severe ed efficaci contro la diffusione della pandemia nel territorio siciliano”. Due passaggi che mettono pesantemente sotto accusa la macchina della Sanità siciliana. Il giudice ha così motivato, indicando la gravità della situazione, la necessità delle misure cautelari. Gli atti d’indagine entro i prossimi 20 giorni andranno alla Procura di Palermo, ma non è escluso che entro quest’arco temporale accada qualcos’altro. Stupiscono poi le parole del presidente Musumeci a difesa del suo assessore, mentre dall’indagini lui risulta proprio raggirato sulla comunicazione dei dati sull’incidenza Covid 19. Musumeci ha parlato on in Parlamento ed ha assunto l’interim della sanità. Opposizioni invece all’attacco, il Pd con Lupo ha ricordato le oltre 50 interrogazioni e interpellanze rimaste senza risposta da parte dell’assessore Razza, Claudio Fava invece ha chiosato, “il 4 novembre l’assessore Razza suggeriva di “spalmare” il numero dei morti. Il giorno dopo il presidente Musumeci si lanciava in attacchi furibondi contro il Governo nazionale, colpevole di infliggere l’arancione alla Sicilia. Un patetico duo di furbetti. Che devono andar via subito: entrambi! Non era Musumeci che diceva al governo Conte che le furbizie non pagano?”.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.