Mammà

I racconti di Nicola Quagliata

Fatti e personaggi di questo racconto sono in parte veri ed in parte inventati, sebbene io stesso non saprei distinguere dove è  vero e dove invenzione. Posso solo dire che non si tratta di frutto del mio sacco, io ci ho messo solo la scrittura, e solo in quella distinguo il vero.

Mammà.

Cosimo e l’Assessore Gallucci.

“Questo dispiacere a mammà nun c’ ‘u dunc’… finchè è viva lei nessuna donna estranea metterà piede in casa mia. Non mi sposo finché c’è mammà”.

Cosimo è stato assunto alla regione Campania molti anni fa, e col suo stipendiuccio di quinto livello vive a casa con la mamma, e non gli manca nulla.

Il padre, impiegato comunale di terzo livello, in paese lo ricordano ancora per la sua disponibilità verso tutti e l’attaccamento al suo impiego; era lui che teneva la chiave della stanza del sindaco, pronto ad accorrere in municipio a qualsiasi ora ed in qualsiasi giorno dell’anno per aprire il portone e la stanza del primo cittadino, aspettando che tutto finisse per richiudere, e non chiese mai un’ora di straordinario, e non aveva mai fatto un’ora di sciopero in vita sua.

Morì prematuramente a distanza di molti anni ancora dal pensionamento, per arresto cardiaco, mentre stava seduto sul corridoio in attesa della fine di una riunione degli assessori col sindaco, cadde ed il tonfo della caduta pose fine alla riunione; alla moglie andarono i soldi della liquidazione e la pensione di reversibilità.  Il sindaco non poté essere presente al suo funerale, chiamato urgentemente a Napoli, a Palazzo Santa Lucia dove han sede gli uffici regionali, ma inviò il gonfalone. Parte dei soldi della liquidazione andarono per la lapide in marmo di Carrara e un angelo custode inginocchiato, pure in marmo, con le ali tristi semichiuse, Cosimo ritenne di non fare troppi sfarzi, come ghirlande di fiori scolpite nel marmo o l’incisione di una madonna addolorata come richiedeva la mamma. Ma Cosimo volle dedicargli un epitaffio che fece incidere sulla lapide “Umile visse e morì per il lavoro e la famiglia”.

Per Cosimo suo padre non era stato l’uomo giusto per sua madre, egli riteneva che come donna sua madre meritasse un marito migliore di suo padre, e di come era stato suo padre, non è che la trattasse male, anzi si può dire che le sue gentilezze e le sue attenzioni e premure nei suoi riguardi non erano mai mancati, ma chissà perché Cosimo ogni premura, pensiero o gentilezza li riteneva un risarcimento, ma un risarcimento di cosa? Per cosa? Cosimo non avrebbe saputo dirlo. Il cambio del marito per sua madre voleva dire il cambio del suo destino, oltre che del destino del marito, con figli diversi da quelli avuti, e lui, Cosimo, non sarebbe nato, altri sarebbero stati i figli di sua madre e non lui. Solo questo dispiaceva a Cosimo del suo ragionamento e dei suoi sentimenti, il fatto cioè che lui non sarebbe stato il figlio di sua madre, non da lei sarebbe nato e con ogni probabilità non sarebbe mai nato e non sarebbe mai stato figlio di sua madre. Cosimo amava sua madre da non poterne fare a meno neppure nelle ipotesi dei suoi più intimi pensieri e sua madre riconosceva che figli come il suo non se ne trovavano, non con il suo stesso attaccamento di figlio per la madre.

Al momento della assunzione di Cosimo l’avvocato Gallucci, consigliere ed assessore regionale in conto del partito di maggioranza nel Paese, gli aveva promesso che anche se non ancora laureato lui gli avrebbe presto fatto avere l’inquadramento al settimo livello negli organici regionali, poi stava a lui darsi da fare per ulteriore carriera anche da dirigente. Cosimo, che già a dire il vero se ne era stancato, lasciò gli studi di giurisprudenza, abbandonò l’Università di Salerno per l’impiego che l’Avvocato Gallucci, divenuto assessore regionale, gli aveva procurato. Gallucci era uno che manteneva le promesse e la politica aveva proprio bisogno di uno come lui, anche per questo in paese lo rispettavano tutti, anche i sostenitori degli altri partiti, e tutti andavano da lui per un qualsiasi piacere o favore. Gallucci aveva fatto la campagna elettorale con lo slogan coniato per lui “Un amico alla Regione”, che non era affatto la creazione di una aspettativa, lui, anche da avvocato, amico di tutti lo era per davvero. Se entrava al bar, ed in dieci volevano pagargli il caffè, lui si offriva e pagava per venti.

Questa volta però Gallucci, e non per causa sua, non poté mantenere la promessa del settimo livello fatta a Cosimo, lo arrestarono il pomeriggio precedente la giornata di Giunta regionale, dove avrebbe fatto approvare il provvedimento di delibera per la sistemazione di Cosimo e di altri negli organici di Giunta. L’indomani, con l’assessore in carcere, la Giunta fu rinviata ad altra data.La mamma di Cosimo passò la nottata in preghiera, ed il figlio, dipendente della Giunta regionale al quinto livello, non chiuse occhio tutta la notte, telefonandosi di continuo col resto dei colleghi i cui nominativi stavano in delibera, per avere notizie sulla detenzione dell’Assessore. La prima notte che l’assessore passava in galera, Cosimo la trascorse insonne e la madre, devota alla Madonna delle tre Corone, la passò in preghiera, pregava per il figlio, per il settimo livello a cui teneva, e per la libertà dell’Assessore. Cosino è una variante di Cosma, il santo protettore del paese che col fratello Damiano nel terzo secolo dopo cristo praticavano guarigioni miracolose e morirono martirizzati sotto Diocleziano. Nato pallido e dall’aspetto malaticcio, almeno così dissero le vicine, pensarono bene la mamma e i familiari di chiamarlo Cosimo in onore del santo guaritore e protettore del paese, infatti il bambino si riprese, acquistò colore e si mise pure in carne grazie anche alla abbondanza di latte che prendeva dal seno materno.

L’avvocato Gallucci viene eletto consigliere regionale con ampi consensi, con oltre venti mila voti di preferenza, nella corrente del potente Andreotti, rappresentata in Campania dal medico e politico di spicco Cirino Pomicino; nominato Assessore non abbandona il suo studio legale, collocato dentro un appartamento di proprietà della moglie, di oltre 150 metri quadri, al centro del paese, con le balconate sulla piazza principale dedicata a Carlo Pisacane.

Invece di abbandonarlo, nello studio mette la segreteria politica dell’Assessorato regionale, integrando così la sua attività di procuratore legale con quella di assessore, ma lui diceva che era l’inverso, integrava cioè, ed arricchiva, l’attività politica dell’Assessorato con quella del suo studio di avvocato.

Era divenuto così, lo studio/assessorato di Piazza Carlo Pisacane, crocevia di svariati interessi, dai più minuti e quotidiani – come un trasferimento da un ufficio all’altro della Amministrazione o un avvicinamento a casa del singolo impiegato o il trasferimento di tutto l’ufficio quando si era in presenza di un grappolo nutrito di personale – con impiegatucci ansiosi di risposta o con galoppini gonfi di pretese e rivendicazioni di favori e piaceri.

Ma anche prelati, che intervenivano presso l’Assessorato, a perorare finanziamenti per questo o quell’altro santo o beato da restaurare, – San Ciro, San Giovanni, San Pietro, San Paolo – che l’incuria e il trascorrere dei secoli avevano consegnato ai vermi del legno, e scrostato, a volte irrimediabilmente, le pitture, e poi c’era tutto il patrimonio bibliografico, archivistico, artistico e sacro, e codici cartacei da salvare e catalogare, codici membranacei, pergamene. Si pensi alla biblioteca della Certosa in Padula con la scaffalatura in legno riportante le materie in cui sono suddivisi i libri in essa contenuti:

Canonistes
Philosophi
Ascetes
Mathematici
Juris periti
Manuscripti
Enciclopedisti
Poetae
Libri proibiti
Histori profani
Polemici
Teologi
Dogmatici
Medici
Orastes sacri
Historici sacri
Sanctis Patres
Phisici
Scriptorescartusiani
Rhetorici
Sacra Scriptura
Miscelanei
Expositores sacri.
La stessa volta della biblioteca ricoperta da una grande tela dipinta da Giovanni Olivieri è bisognosa di cure e di restauri.

Un monaco benedettino portò in visione all’assessore, anche al fine di  sensibilizzarlo e impegnarlo sulle problematiche e sulle emergenze annose dei beni ecclesiali, esponendoli sul grande tavolo dello studio legale:

2 Calici di Argento
1 Ostensorio di metallo bianco e una Pisside
5 Pianete, due ricamate in seta ed oro
3 volumi corali grossi in pergamena
5 manoscritti con miniature
Tre Reliquiari in avorio scolpiti, con scene di san Giovanni sul Giordano mentre battezza Gesù Cristo.

Un parroco ebbe ad esclamare a voce alta e col viso arrossato dalla passione religiosa, che il santo patrono della chiesa madre del suo paese, tutto in legno di pero, a latere della Madonna, era diventato rifugio e cibo dei vermi, era un vermicaio che poteva infestare tutti i santi della chiesa, e non era tollerabile per un cristiano, lasciarlo ancora in quelle condizioni, lasciar deperire le nostre sante icone.  Un frate aveva pure perorato la salvezza delle miniature a carattere d’oro del poema di Pietro da Eboli, dove in diverse tavole si trovava la precisa ubicazione del favoloso Castel Terracena, ad oriente del Duomo, a ridosso dell’orto magno con sopra, a settentrione, il castello, e la sua descrizione in diverse tavole del poema, castrum con mura merlate, piccole torri, finestre di difesa e di offesa, grandi sale con colonne ed archi intrecciati, splendidi marmi che ne facevano una dimora principesca, quella della principessa Sighelgaita moglie di Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo, ed il frate polemicamente ci teneva a sottolineare, a rimarcare che d’Altavilla era l’appellativo, e non il cognome di Roberto, che stava ad indicare la provenienza del condottiero, Auteville, una piccola contea della Normandia; un testo da consegnare integro all’umanità

L’assessore Gallucci, incapace di una propria elaborazione politica sui bisogni della sua terra e dei tesori monumentali ed artistici prodotti dalla sua storia, si è fatto subalterno alle ideologie industrialiste e progressiste della sinistra, al mito del profitto e del nuovo ad ogni costo, al cemento ed alle autostrade che non portano a nulla, all’indifferenza verso le opere dell’uomo, alla massificazione dell’esistenza, all’allontanamento da Dio e alla alienazione ed estraneazione dalla natura.

Sulle stesse sedie dello studio/assessorato di Piazza Pisacane, e per i suoi corridoi , sedevano e camminavano anche i capi famiglia del clan della camorra locale, i quali passavano dalla stanza dello studio legale, con ampia scrivania di noce e poltrone in pelle, per la difesa nei diversi processi civili e penali che avevano in corso, e che lo studio di Gallucci difendeva,  alla stanza dell’Assessorato regionale, per i finanziamenti pubblici, assistiti nella consulenza, da esperti dirigenti della Regione: agricoltura ed allevamenti bufalini, gestione delle discariche, edilizia pubblica e privata i loro interessi.

Gallucci aveva conquistato ampi riconoscimenti anche all’interno del partito, al punto che era stato invitato a Roma, a piazza di Gesù, sede nazionale del partito, con la delegazione di corrente, all’incontro col Ministro, e l’incontro serviva proprio a presentarlo ufficialmente all’intera delegazione della corrente, da quel momento poteva definirsi politico nazionale del partito. Lo si preparava a concorrere per la presidenza della Giunta Regionale o di un incarico istituzionale nel governo, come primo incarico ad un sottosegretariato, nella giustizia o per le politiche di rilancio e sviluppo del meridione.

Il giorno in cui il vescovo della diocesi fermò la macchina davanti al portone in legno massiccio di castagno del suo studio/assessorato, e salì le scale per un incontro su questioni di finanziamenti ed opere di ristrutturazione di antiche strutture nel convento francescano della diocesi, Gallucci aveva la stessa euforia interiore di quando studente universitario aveva superato l’esame di Storia del diritto romano con 30 e lode.

Da mesi arrivavano sul suo tavolo documenti della Soprintendenza ai Beni Culturali di Salerno/Avellino/Benevento riguardanti l’abazia, le strutture murarie, le scalinate di interesse storico culturale con i rifacimenti barocchi, gli affreschi e le tele seicentesche della bottega del Ricciardi e del Solimene da salvare e ridare alla luce.

Sulle stesse sedie dello studio/assessorato di Piazza Carlo Pisacane, e per i suoi corridoi , sedevano e camminavano anche i capi famiglia del clan della camorra locale, i quali passavano dalla stanza dello studio legale, con ampia scrivania di noce e poltrone in pelle, per la difesa nei diversi processi civili e penali che avevano in corso, e che lo studio di Gallucci difendeva,  alla stanza dell’Assessorato regionale, per i finanziamenti pubblici, assistiti nella consulenza, da esperti e dirigenti della Regione: agricoltura ed allevamenti bufalini, gestione delle discariche, edilizia pubblica e privata i loro interessi ed i loro affari.

Gallucci aveva conquistato ampi riconoscimenti anche all’interno del partito, al punto che era stato invitato a Roma, come abbiamo detto, a Piazza di Gesù, sede nazionale del partito, con la delegazione di corrente, all’incontro col Ministro, e l’incontro serviva proprio a presentarlo ufficialmente all’intera delegazione della corrente, da quel momento poteva definirsi politico nazionale del partito.

La sua attività politica di incontri e convegni ricuciva una rete di consensi capillari che andava dai Salesiani alle Acli alla Caritas a settori ampi del sindacato Cisl e della Cgil, un politico decisamente progressista, dalla formazione cattolica… (continua domenica prossima)

Nicola Quagliata

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