Omne initium grave. V parte

I racconti di Nicola Quagliata

Omne initium grave. V parte

Quando Peppe arrivò in vista di Castelvedere, le case del paese, da nordovest, sul mare aperto,  erano rischiarate dalla luna che si rifletteva sulle onde lunghe,  mentre ancora a sudest, sulla strada che stava percorrendo, il nero della notte copriva ogni cosa. Quando sboccò sulla strada provinciale, la circonvallazione che cinge l’intero paese e lo separa dalla campagna, arrivato all’altezza della traversa per il cimitero, lampeggiò coi fari, mise la freccia a destra, e girò lentamente, con la pioggia che da quel lato, le furie di vento sbattevano ancora sui vetri del camioncino. Il cimitero sorgeva esternamente alla circonvallazione, fuori dal centro abitato.

Il paese nasce, fin dall’antichità, sopra uno sperone di roccia tufacea, che si incunea nel mare, con un lato che guarda all’ampio golfo e l’altro lato esposto al mare aperto.

La stradella per il cimitero, ricoperta di pietrisco, era piena d’acqua. In certi punti i fossi facevano scendere e risalire il camioncino, Peppe si manteneva al centro di strada non avendo nessuno davanti a lui. Era un tratto duro e faticoso, ai tuoni ed alle furie di vento si univa l’urlo dei marosi sotto al cimitero. Si sentiva il mare come una bestia disumana, ferita, trattenuta ed arginata. La natura così voleva. Le onde prendevano la rincorsa decise a risalire quel promontorio che puntualmente, con maggior forza e pacatezza, le arrestava, le faceva schiumare sulla scogliera, ricacciandole indietro. Il mare cercava rabbioso uno sfogo che non trovava, un allagamento, uno sversamento che gli era impedito.

Dopo un breve tratto percorso a saliscendi sulla stradella, Peppe vide lampeggiare delle luci, fari di auto che si accendevano e spegnevano. Dopo un intero viaggio senza avere incontrato anima viva e col cuore in petto trattenuto, allargò i polmoni per un lungo respiro e sentì rilassarsi i muscoli delle braccia e delle gambe che tratteneva forte al corpo. Si sentì rilassare fino alle dita dei piedi che lavoravano tra il freno, la frizione del cambio e l’acceleratore. Tre volte si era fermato nel viaggio per controllare l’imbracatura del feretro, che si mantenesse avvolto nella cerata, al riparo dalla pioggia e dai forti venti. Quando i fari si diressero dentro lo slargo davanti al camposanto un uomo in divisa con una paletta gli fece segno di rallentare, indicandogli anche l’imbocco del cimitero. Peppe girò lo sguardo intorno alla piazza avvertendo una animazione di uomini, in divisa e non, che gli apparve strana se paragonata al cimitero di S. dove lui e Turiddru Crozza sembravano delle anime in pena, qui sembrava la notte della festa della maculateddra di Calatafimi.

Il cancello era spalancato e davanti la sala mortuaria c’era un gruppetto di uomini, qualcuno era in divisa con la striscia rossa lungo il pantalone, si trattava di carabiniere. Tutti gli andarono incontro ed uno di essi, con la divisa, lo invitò ad abbassare il finestrino. Peppe svelto abbassò il vetro e l’uomo lo invitò a fermare il camioncino poco più avanti sotto ad un enorme cipresso, ed a scendere. Peppe così fece,  messi i piedi a terra alzò le braccia e si stiracchiò per sgranchirsi. L’uomo subito lo raggiunse

–        Sono il maresciallo Costa, lei è Peppe, la stavamo aspettando, come è andato il viaggio?

Tutte le volte che Peppe aveva parlato con un maresciallo o un uomo in divisa era perché gli chiedevano libretto e patente e per controllare il carico, sempre con distacco e con tono minaccioso.

Questo maresciallo aveva un tono quasi amichevole.

–        Tutto a posto maresciallo, è stato un viaggio sotto l’acqua, certi momenti ho avuto l’impressione di stare su una barca, nel mare agitato e non su un camion, per il resto tutto a posto.

Un altro uomo che usciva svelto dalla sala mortuaria gli andò incontro, con la mano tesa per salutarlo, e per trattenerlo

–        Tu si Peppi, comu ìu lu viaggiu? Scusi maresciallo, ora il camionista deve parlare con me.

–        Bonu ìu lu viaggiu, tu si Saru lu maccarrunaru? Ti fa tanti saluti Turiddru Crozza…

–        Si, Saru sugnu…grazie, come sta, sta bene Turiddru?  Vieni, seguimi che devi firmare delle carte. Hai firmato niente con Turiddru?

–        No, niente mi ha fatto firmare…

–        Ora ti faccio firmare io, poi domani mattina torni da Turiddru che ti farà firmare pure lui delle carte…

–        Domani mattina non ci posso passare, ho dei viaggi prenotati nella campagna…

–        Ci passi quando sei libero, ma in giornata, pure che è notte puoi sempre firmare, ma non fare passare la giornata, se no si perde il numero di protocollo…

Saru lu maccarruni gli fece strada .

Entrarono nell’ufficio dove c’era una scrivania e degli armadi a muro pieni di faldoni, delle sedie ed una corona di fiori, con le gambe lunghe, secche e magre, appoggiata alla parete.

Saru andò dietro la scrivania e fece segno di sedersi a Peppe. Poi si mise a parlare.

–        Peppe qua ci stannu grandi novità. Turiddu crozza non ti poteva dire nulla, perché nulla ancora sa. Ma qua abbiamo due morti, uno è quello che hai portato tu, l’altro purtroppo ce lo hanno portato in giornata, ed ora sta nella sala mortuaria.

Peppe si agitava sulla sedia.

–        Fatemi firmare e me ne vado, in mattinata ho dei viaggi da fare nelle campagne di S. , devono incannare le viti e le canne le devo trasportare io, se non gli arrivano, non possono lavorare, e chi li paga gli uomini costretti a stare fermi? – sorrise- e se pure il camion sta fermo, chi lo finisce di pagare?

Saru lu maccarruni:

–        Tu farai tutti i viaggi che devi fare, sbrighiamo queste carte e te ne vai, io devo prendere in consegna il feretro, che già stanno scendendo dal camion, non credo che i carabinieri ti faranno perdere molto tempo… ma devi vedere l’altro morto…

Entrò il maresciallo:

–        Devo fare delle comunicazioni importanti, ci hanno trasmesso che tutte le campagne e le strade sono allagate, in diversi punti le frane hanno ostruito il passaggio, ed il ponte di Frassineto è pericolante ed è stato chiuso, il camion non potrà fare ritorno a S., i miei colleghi stanno provvedendo insieme ai militari a bloccare le strade, lei signor Giuseppe, se non ha dove dormire, la possiamo ospitare noi in caserma per la notte.

A Peppe si smossero le budella, rimase senza parole. Il maresciallo diede la notizia ed uscì dalla stanza.

Saru riprese a parlare:

–        Quindi se non vuoi passare la notte in questo cimitero potrai andare nella caserma, trovi pure la il posteggio per il tuo camioncino. Se Vuoi restare qua, nella stanzetta a fianco ci sta un lettino col materasso e delle coperte, potrai dormirci comodamente perché io per questa notte non dormo.

–        Non è per dormire il mio dispiacere, sul camioncino si dorme comodamente e non ci sono problemi…

–        Allora adesso ti porto a vedere l’altro morto…

Peppe cominciò a pensare che questo trasporto, per come si mettevano le cose, gli sarebbe costato troppo, invece di un guadagno poteva essere una perdita. Passare la notte fuori paese e fuori casa non era il peggio, era successo altre volte. La stessa attività del camionista comportava questi sacrifici. Quello che lo inquietava maggiormente erano gli impegni di viaggio dell’indomani. Poi però pensava che il cielo continuava a mandare tutta quell’acqua, li viddrani l’indomani nelle campagne non avrebbero potuto lavorare e non avrebbero avuto nessun danno se lui tardava a consegnare. Non fece nessuna resistenza all’invito di Saru lu maccarrunaru, lo seguì guardandosi attorno.

Saru scansò alcune tombe che separavano il suo ufficio dalla camera mortuaria, e si affrettò a dire a Peppe, a voce bassa, che quelle tombe dovevano toglierle, non stavano bene davanti all’ufficio, nel progetto di rinnovamento del cimitero era previsto lo spostamento nella zona nuova. La porta della sala mortuaria era aperta e da dentro si vedeva la debole luce della lampada appesa ai fili elettrici, ad altezza d’uomo,  al centro delle quattro pareti. Quando Peppe mise i piedi dentro vide che la lampada era accesa tra due feretri, e li illuminava.

–        Veni Peppi, veni… ora apro il feretro e potrai guardare.

Prese il cacciavite poggiato su uno dei trespiti di legno che sostenevano la bara, svitò alcune viti e ne sollevò la parte superiore. Il morto era una morta, una giovane donna vestita di bianco. Peppe pensò  che le avevano indossato il vestito da sposa della madre, questo pensò, perché vide che era giovanissima.

Saru la indicava come stesse mostrando una meraviglia, prese con la mano la lampada spostandola in modo da indirizzare la sua luce sul volto, poi con una mano scoprì leggermente il collo:

–        Guarda Peppi, guarda…

Peppe vide l’arrossamento e subito capì che era il segno lasciato da una corda sottile, quella per legare le capre da portare al pascolo.

      Saru lu maccarrunaru era soddisfatto, aveva impressionato il camionista che ora lo avrebbe ascoltato per tutta la notte.

Saru:

–        L’anno uccisa? Non l’hanno uccisa e l’hanno ammazzata! Non l’hanno uccisa perché lei con le sue stesse mani si è data la morte, ma l’anno ammazzata perché loro l’hanno portata a quel gesto.

Peppe:

–        E’ un peccato la morte di una giovane ragazza…

Saru lu maccarrunaru:

–        … e un peccato è ammazzare un ragazzo così giovane, e devi sapere che gli stessi che hanno ammazzato il ragazzo hanno fatto morire la sua giovane fidanzata…

Davanti alle perplessità di Peppe, che era intanto ammutolito, Saru riprese con foga

–        Due ragazzi, senza sapere chi fossero, e senza chiedersi chi fossero, si guardano negli occhi e da quel primo sguardo non riescono più a taliare altrove. I loro sguardi non potevano più fare a meno l’uno di posarsi sull’altro. Quando erano lontani, come furie, si precipitavano nel luogo dove sapevano che avrebbero incontrato l’altro. Lei faceva ora a meno delle amiche che la adoravano, e lui degli amici che di notte e di giorno lo cercavano per avere la sua compagnia e sentire il suo parere su ogni diatriba giovanile, non amava la sciarria e metteva sempre parole di pace. Non mangiavano e si nutrivano del pensiero dell’altro. E quel che doveva succedere successe. Lei restò incinta e la madre se ne accorse. Con l’inganno, ammantando la sua voce di belle parole come faceva quando la figlia era piccola, si fece dire il nome del giovane amante e quel nome risuonò nella sua testa come un trono e un lampo. La madre riportò quel nome al marito che come sai è un capo famiglia di malandrini, in guerra proprio con la famiglia del ragazzo. Una guerra che ogni giorno e ogni notte lascia morti sulla strada e nelle campagne. A quel punto la sorte del ragazzo è segnata. Uno in più o uno in meno non falsano la cronaca e la catena di morti. E sono venuti ad ammazzarlo nelle campagne del tuo paese. Lo hanno preso con l’inganno. Entrambi i ragazzi sapevano che la loro unione non era possibile, che tanta era la inimicizia tra le loro famiglie che avrebbero preferito la loro morte piuttosto che vederli uniti. E così furono avvicinati da terzi che gli prospettarono la via dell’espatrio dove potersi sposare e vivere insieme, gli prospettarono il viaggio in America, dove c’erano altri loro parenti e il lavoro non mancava mai ed era ben pagato in dollari. Li convinsero della strada per l’America e stabilirono che prima sarebbe partito lui e subito dopo avrebbero imbarcato lei per raggiungerlo. Stabilirono per maggior sicurezza che lui si doveva imbarcare in Tunisia per New York e per questo non Palermo doveva raggiungere ma Tunisi. Degli amici pescatori mazaresi lo avrebbero trasportato per mare in Tunisia e da li l’imbarco per l’America. A Tunisi erano diretti quando lo spararono nelle campagne di S. sulla riva del fiume…. Già, perché questo era il piano vero, allontanarlo dal paese ed ucciderlo, non imbarcarlo per l’America.

–        Iddru alla nostra famiglia non si doveva avvicinare, nemmeno dalla strada dove abitiamo doveva passare. Ed invece ce lo trovavamo pure in chiesa la domenica, che nemmeno a messa poteva andare senza trovarselo davanti, una tentazione continua. La sua presenza è stata assidua da quando ha capito che pure lei aveva un trasporto per lui, in queste cose basta uno sguardo, un movimento delle labbra, un sussulto per svelare i propri sentimenti.  E lei è ingenua, certamente lo ha corrisposto, e lui è rimasto attaccato al miele. Iddru era picciottu e non arrivava a pensare a quello che doveva e non doveva fare, a quello che poteva e non poteva fare.  Doveva essere la sua famiglia a pensarci, a controllarlo e a indirizzarlo. Quannu un piru crisci stortu bisogna legarlo ad una virica diritta per raddrizzarlo nella crescita. Invece lo facevano crescere sbannutu. Con arroganza passava davanti la nostra casa, con sfacciataggine guardava e la sua famiglia, che sapeva, glielo permetteva. Come potevano pensare che non stesse mettendo in pericolo la sua stessa vita? Il fatto è che si credevano padroni e dei padreterni, credevano di poter ancora spadroneggiare.

–        Chistu un c’era misu, doveva restarne fuori. ……