Il mio barbiere

I racconti di Nicola Quagliata.

Il mio barbiere

Il mio barbiere è povero, talmente povero che non ha nemmeno un’automobile, ne aveva una a cui si era certamente molto legato, una golf del “74, che decise di accompagnare alla demolizione quando non ce la fece più a portarlo avanti e indietro. Da allora sarà stato il mutuo che ha da pagare per l’appartamento, sarà l’affezione per quella golf tenuta per oltre 30 anni, sta di fatto che non si è comprato più nessuna macchina e da dove abita fuori città va avanti e indietro, mattina e sera, col pullman. E’ sempre stato magro, ma ora è pelle e ossa e la voce gli esce a stento dai polmoni e fatica a tenere alte le forbici in una mano e il pettine nell’altra, d’improvviso gli cascano giù entrambe le braccia, senza un lamento. Non si lamenta perché non parla mai, al punto che sembra assente, sembra non partecipare al mio taglio di capelli. Misterioso è misterioso, non si sa che pensa ed a cosa pensa. Eppure me lo ricordo assai loquace, grande intenditore di calcio, sapeva ogni cosa di ogni squadra di pallone, allenatori ed arbitri, lui tifoso della Juve che maturò un secondo motivo di antipatia per il Napoli, all’antica rivalità il fatto che i napoletani avevano soffiato Maradona alla Juve. Non parla più neppure della Juve; ed io so perché tutto questo, il suo silenzio, la sua assenza, la sua vaghezza. Non parla male degli immigrati. I poveri come lui si scatenano contro gli immigrati, lui no, non ne parla, e se ha qualcosa da dirne lo dice specificando le situazioni, dove lavorano, da dove vengono, dove hanno da dormire, mogli, figli, genitori ecc.

Ebbene, il mio barbiere ha un figlio, il suo unico figlio , in Inghilterra, dove fa il cameriere, e quello è il punto da dove la sua anima guarda il mondo e dove suo figlio lavora, il suo unico figlio, c’è il mondo intero, magrebini, indiani, sudamericani, centroafricani neri come la notte, tutti compagni di lavoro di suo figlio, tutti con un unico destino. Quel figlio lontano ha portato con se la sua anima, e lui senza anima vive un dolore costante, muto e sordo, come la goccia d’acqua della tortura sul cranio. Il mio barbiere è povero e gli hanno strappato l’anima.