Racconti migranti/12. La storia di Noelia e Isabel, due bambine “orfane del mare” adottate a Palermo: “Così le nostre vite sono cambiate”

Si chiamano Noelia e Isabel e sono “venute dal mare”. Due bambine bellissime legate dalla stessa storia, terribile: il mare le ha rese orfani, ma l’Italia ha concesso loro una seconda vita. Oggi, adottati da due famiglie italiane, sono bambine felici.

Foto Mediterranea

“È stato amore a prima vista. Sì, ci hanno cambiato la vita”. Sono emozionate Margherita e Sofia, a cui abbiamo scelto di dare dei nomi di fantasia. Le abbiamo incontrate in un bar di Palermo, in una calda giornata luglio. Sono due mamme palermitane che circa 3 anni e mezzo fa hanno adottato due bambine “orfane del mare”. Margherita ha adottato Noelia nel 2015, Sofia ha adottato Isabel l’anno dopo. Le due bambine, anche loro con nomi di fantasia, non si conoscevano, neanche le loro mamme, ma adesso sono inseparabili.

Entrambe provengono, o almeno così si presume, dalla Nigeria. Di loro non si sa molto. Sono arrivate in Italia su un barcone, Noelia nel 2015, Isabel nel 2016. Entrambe viaggiavano con la loro mamma. “Del loro passato non si conosce praticamente nulla, si presume la nazionalità perché erano in maggioranza tutti nigeriani sul barcone. Non si conosce il giorno di nascita, il vero nome, chi era la loro mamma, niente. È stato il Tribunale, dopo le visite mediche successive allo sbarco, a decidere per loro. Neanche un certificato di nascita”, raccontano le mamme Margherita e Sofia.

Noelia è sbarcata a Lampedusa nel 2015, quando aveva soltanto 23 giorni. L’unica certezza la morte della madre sul barcone in fiamme. È stata salvata da un peschereccio e condotta al porto siciliano. Dopo aver trascorso un paio di mesi in una casa famiglia di Palermo, il Tribunale dei Minori ha deciso di darla in adozione. Quello di Noelia è il primo caso di minore non accompagnato adottato a Palermo.

Isabel invece è arrivata nel 2016 su un barcone con altre cento persone, lei era l’unica bambina a bordo. La mamma è morta per le ustioni provocate in mare: carburante, acqua salata e sole, un mix che divora la pelle. La mamma non è riuscita a salvarsi, ma ha protetto la figlia fino alla fine, affidandola, prima di morire, ad un’altra donna presente sul barcone. Di quelle cento persone soltanto 23 arrivarono al porto di Palermo, e dopo giorni in ospedale anche la donna che aveva protetto Isabel morì a causa delle ferite provocate dalle ustioni. Trasferita in una casa famiglia, comincia per lei una seconda vita. “Se oggi Isabel e Noelia sono qui con noi lo dobbiamo al coraggio di queste due donne che le hanno protette fino alla fine” – sottolinea mamma Sofia.

Foto Unicef

“Eravamo entrambe in lista di attesa per l’adozione di un bambino. Non abbiamo scelto di adottarla noi, abbiamo accolto la richiesta del Tribunale senza esitazione e accettato la loro storia.” Infatti il Tribunale dei Minori, dopo un lunghissimo iter, sceglie le famiglie più idonee per l’adozione e poi lascia decidere ai futuri genitori se accettare o meno. “Il Tribunale ci ha messo davanti questa possibilità e queste storie, noi abbiamo deciso di accettarle. Quando io e mio marito abbiamo sentito la sua storia, ci siamo innamorati subito di lei, senza neanche averla vista. – perché il tribunale soltanto dopo ti permette di vedere la bambina, non prima di aver accettato – Quando parlavano di lei la sentivo già parte di me. Abbiamo avuto soltanto cinque giorni per decidere, ma non abbiamo avuto neanche un dubbio” – racconta ad Alqamah.it mamma Margherita. Così, dopo i primi anni in affidamento, da circa un anno sono loro figlie a tutti gli effetti.

“Si tratta di un percorso molto lungo, ma quando c’è il desiderio e la voglia di diventare genitori, tutto passa in secondo piano. La sua pelle nera certamente per noi non era un problema. Io e mio marito siamo sempre stati sensibili al tema e ci sentivamo sempre impotenti davanti a queste tragedie. Avevo davanti la possibilità di fare qualcosa di più, dare un futuro a questa meravigliosa bambina. Poi ci siamo accorti che non ci bastava e oggi siamo ancora più impegnati nel sociale. Lo dobbiamo a tutti quei bambini che, purtroppo, sono in fondo al mare e sono stati meno fortunati di Isabel e Noelia. Lo dobbiamo alle loro coraggiose madri che per loro hanno dato la vita” – sottolinea mamma Sofia.

“Per noi – spiega Margherita – è stato proprio il contrario. Non avevamo idea di questa realtà, non ci eravamo mai interessati al tema dei migranti o dei minori non accompagnati. Diciamo che ci siamo entrati dopo in questa realtà, quando è arrivata nella nostra vita Noelia.”

Le due bambine, giunte in Italia in momenti diversi, ma con una storia simile, si sono incontrare per caso un pomeriggio a passeggio per le vie del centro di Palermo con i genitori. “Camminavano da poco e non appena si sono viste si sono subito abbracciate, come se si conoscessero da sempre. Da quel momento sono inseparabili, e anche noi genitori adesso ci confrontiamo e condividiamo esperienze e idee.” Un semplice abbraccio può racchiudere qualcosa di potentissimo. Come se le due bambine sapesse una dell’altra. La forza dell’amore, della fratellanza non ha confini, né geografici, né umani. “Quando sono insieme e giocano sono bellissime, fin da subito si sono trovate in sintonia. Questo sarà importante soprattutto per il futuro. Crescere con una persona che riconosci a te vicina, con una storia simile, sia per quanto riguarda l’arrivo in Italia che per l’adozione, li renderà più forti e sapranno proteggersi a vicenda.”

Foto ©UNICEF/UN037267

Oggi Noelia e Isabel sono felici, giocano, sorridono, frequentano l’asilo. Conoscono già, in parte, la loro storia e le loro origini. Sotto forma di fiaba, ma è già un primo approccio per affrontare il tema con cui, prima o poi, dovranno scontrarsi. “Abbiamo dato, a poco a poco, piccoli indizi come se fosse una fiaba. – spiegano Margherita e Sofia – Abbiamo raccontato loro dell’Africa, degli animali, con un elemento di continuità: le loro mamme erano così belle che il re del mare le ha trasformate in sirene. Continueremo a raccontarla così, fino a quando, una volta grandi, non capiranno. Perché è importante che sappiano la loro storia.”

La fiaba ha anche avuto un atto concreto. Sofia qualche anno fa ha portato Isabel a Lampedusa e, dopo aver raccolto dei fiori, chiese il permesso di poterli portare al molo Favaloro, dove negli ultimi anni sono sbarcati migliaia di uomini, donne e bambine. “Insieme abbiamo gettato i fiori in mare, il “re del mare” avrebbe fatto il resto, farli avere alla sua mamma. Mi sono emozionata tanto in quell’occasione”.

Foto d’archivio

Oggi le due bambine hanno quasi quattro anni e festeggiano due anniversari, quello della nascita scritta sui documenti (decisa dal Tribunale) e quella dell’arrivo nelle nuove famiglie.

In questi anni le due bambine non hanno avuto nessun problema, anzi, sono state accolte benissimo dalle famiglie adottive, dagli altri bambini e dai quartieri in cui vivono. Ma resta sicuramente qualche paura per il futuro. “Le nostre paure sono quelle di molte mamme come noi. Che futuro stiamo lasciando ai nostri figli? Questo clima a cosa porterà? È chiaro che il colore della pelle è diverso dal nostro. Noi vogliamo che crescano sicure della loro forza e della loro storia per poter reagire ai problemi che si presenteranno” – aggiungono.

“La mia paura non è il coetaneo, ma l’adulto. Perché questo clima che si sta creando nel nostro Paese mi fa davvero paura. Dobbiamo far capire che non sono figli di “serie b” soltanto perché hanno un colore della pelle diverso, sono figli come tutti gli altri” – sottolinea Margherita.

Poi c’è quella frase del Ministro degli Interni Matteo Salvini che si augurava “che i figli nascano in Italia e non ci arrivino dai barconi dall’altra parte del mondo già belli e confezionati”. “Già belli e confezionati è una frase terribile, un’assoluta mancanza di rispetto nei confronti delle mamme che non possono avere figli. Per noi donne è una frase pesantissima. Come un macigno. Ma è una mancanza di rispetto anche nei confronti delle madri biologiche che hanno perso la vita, madri disperate che decidono ancora oggi di mettere i propri figli su dei barconi sfidando la morte. Oltre al danno la beffa, questo clima di odio è ingiustificato e ingiustificabile” – spiegano.

“le nostre bambine non hanno avuto problemi, ma ci sono stati parecchi casi in Italia di discriminazioni sui bus, sui treni, per strada. E non ci spieghiamo perché la questione dell’accoglienza e dei bambini adottati debba avere un risvolto politico. A noi la politica non interessa minimamente. Si parla di umanità, di persone, di bambini in carne ed ossa.”

Oggi Noelia e Isabel sono cittadine italiane a tutti gli effetti, ma molti altri bambini come loro ancora non lo sono e non potranno diventarlo perché adottare un bambino di colore è ancora visto come un atto “rivoluzionario”. Per pochi. “Molti genitori hanno paura nell’affrontare questi problemi. Non giudichiamo chi decide di non adottare un bambino di colore, perché sicuramente non è una scelta facile. Perché ci sono famiglie che ancora oggi hanno paura ad ammettere pubblicamente che non possono avere figli. Adottare un bambino di colore vuol dire ammetterlo pubblicamente ogni giorno. Con un bambino bianco è sicuramente diverso. Sono scelte soggettive che hanno tutte una motivazioni diversa e personale. Noi l’abbiamo fatto circa quattro anni fa, quando non c’era sicuramente questo clima politico e il tema non era così presente nelle nostre vite. Abbiamo aperto le nostre porte e i nostri cuori a una bambina che ne aveva bisogno, abbiamo dato una famiglia e un futuro a chi purtroppo non aveva più nulla”.

“Noi oggi abbiamo una doppia responsabilità, perché ti porti dentro anche le sue ferite e la sua storia. Non è detto che un bambino accetti la nuova famiglia, quindi tutto è molto più difficile. Ti senti responsabile anche nei confronti della madre biologica, per questo cerchi di fare sempre di più. Diventare genitori adottivi, soprattutto in casi come questo, è più difficile. Nel nostro caso tutto è andato benissimo. Quando è arrivata Isabel – sottolinea Sofia – è stata una gioia per tutti.”

Foto: Mediterranea, Mare Jonio

“Questa esperienza mi ha donato molto di più di quello che immaginavo, come se fossi una madre biologica. Si è creata anche una gara di solidarietà incredibile in famiglia e nel quartiere in cui vivo. La gente, i vicini, anche semplici conoscenti, ci hanno donato tante cose e, soprattutto, tanto affetto. Sono davvero una mamma felice, il mio quartiere è diventato per me come una famiglia. Questo vuol dire sentirsi davvero parte di una comunità” – aggiunge mamma Margherita.

Dai bambini abbiamo tanto da imparare e Margherita e Sofia lo scoprono ogni giorno. “Ci hanno donato tanto amore e ci rendono ogni giorno felici della nostra scelta. Quando la vidi per la prima volta dopo aver accettato? Un momento indescrivibile, che non dimenticherò mai. È stato amore a prima vista. L’avevo immaginata tante volte, ma vederla per la prima volta mi ha riempito il cuore di gioia. Avevo davanti mia figlia, la sentivo già parte di me” – racconta Margherita. “Entrambe siamo partite da zero. La bambina ha iniziato una nuova vita e anche noi, come genitori, abbiamo iniziato il nostro lungo cammino, insieme. Mano nella mano con lei nel lungo percorso della vita, cercando di darle tanto amore e di essere per lei sempre un punto di riferimento” – aggiunge Sofia.

“Oggi le nostre figlie si sentono parte di una comunità. Abbiamo creato un gruppo di mamme e insieme siamo attive con un’associazione che promuove iniziative sociali soprattutto con i più piccoli e le loro famiglie. Tra queste tante famiglie con la stessa nostra storia. Sappiamo che questa comunità che abbiamo creato non si disgregherà mai e che le nostre figlie in futuro sapranno affrontare le situazioni difficili che la vita presenterà loro. Lo faranno insieme, come una vera comunità, come una grande famiglia.” L’associazione si chiama “Mamme per la Pelle” ed è stata fondata nel novembre del 2018 per “svolgere attività dirette a creare e rafforzare una rete organizzata di madri con figli che possano subire discriminazioni per le loro origini ed il loro diverso colore della pelle”.

“Oggi? Sono felici e nutrite d’amore. E lo siamo anche noi. – rispondono insieme Margherita e Sofia, sorridendo e sorseggiando quel che resta di una granita al limone in una calda mattinata palermitana – Perché ogni bambino dovrebbe avere diritto all’amore e alla serenità, a prescindere dal colore della pelle”.

La prossima storia sarà pubblicata domenica 20 ottobre 2019.

Foto di copertina mediterranearescue.org.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.