“Non ci fidiamo del Viminale”

I legali delle Ong indagate a Trapani si sono opposti all’affidamento alla Polizia scientifica dell’incarico per duplicare i contenuti delle apparecchiature informatiche sequestrate. L’incarico lo darà ad un perito diverso dalla Polizia il gip

La Procura di Trapani è alla ricerca della prova sui contatti fin troppo ravvicinati davanti alle coste libiche tra gli equipaggi della Iuventa, la nave della Ong tedesca Jugend Rettet, sequestrata dal 2 agosto 2017 scorso per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e della Vos Hestia della Ong Save the Children, perquisita ma non sequestrata. E per questa ragione voleva affidare alla Polizia scientifica l’incarico di duplicare il contenuto delle apparecchiature informatiche sequestrate nel corso dell’indagine. C’è voluto tempo per notificare gli atti ai venti indagati, in quanto residenti in diversi paesi europei, ma a notifiche concluse sono arrivate le opposizioni. I legali degli indagati hanno messo nero su bianco che non si fidano della Polizia, “perché dipendente dal Viminale” – chiara stoccata al ministro Salvini – e si sono rivolti al gip del Tribunale di Trapani Emanuele Cersosimo perché fosse il giudice ad affidare la perizia attraverso un incidente probatorio. Si tratta di atti irripetibili per cui è obbligatoria la notifica alle parti indagate, per cui l’opposizione delle difese ha avuto il proprio peso. Il gip Cersosimo ha già tenuto lo scorso 22 gennaio. Il prossimo 12 febbraio si terrà una seconda udienza per affidare ad un perito – o ad un collegio di periti – l’incarico chiesto dalla Procura. L’indagine trapanese resta concentrata sulla ipotesi che le navi di alcune Ong, Juventa e Vos Hestia, siano state usate come taxi del mare. La Procura attraverso questo accertamenti cerca di rintracciare l’esistenza di una chat attraverso la quale gli equipaggi delle Ong sarebbero state in contatto con gli scafisti libici, veri e propri trafficanti di donne, uomini e bambini, migranti costretti a subire anche violenze fisiche durante la loro permanenza in Libia, in attesa di poter partire. L’indagine coordinata dalla procura di Trapani è condotta dalla Squadra Mobile di Trapani e dallo Sco, il Servizio Centrale Operativo della Polizia. Una indagine avviata dopo le le testimonianze degli agenti della Imi security e di un agente dello Sco imbarcato per 40 giorni sotto copertura proprio sulla Vos Hestia, nave di Save the Children. Quanto dalla Vos Hestia, come dalla Juventa, è stato portato via tanto materiale: computer, tablet, hard disk, telefoni satellitari Iridium e smartphone, oltre al libro di bordo e ai brogliacci di navigazione. Lì in mezzo i magistrati cercano le prove per ricostruire le diverse operazioni di salvataggio, tra estate 2016 e i primi mesi del 2017, fatte, secondo i pm, in accordo con i libici trafficanti di esseri umani. Gli accertamenti puntano a scoprire le modalità di acquisizione di notizie relative alle partenze dalle coste libiche delle imbarcazioni con i migranti: “salvataggi concordati”. Questo troncone dell’inchiesta trapanese vede tra gli indagati Marco Amato, comandante della Vos Hestia. A lui, che ha ricevuto un avviso di proroga delle indagini, la magistratura contesta di avere omesso di riferire all’autorità giudiziaria l’avere trovato migranti in possesso di un ingente quantitativo di droga, sostanza stupefacente che il comandante avrebbe fatto gettare in mare. Ma c’è di più. Come accadeva a bordo della Juventa anche sulla Vos Hestia l’ordine impartito all’equipaggio sarebbe stato quello di non collaborare a dovere con l’autorità giudiziari. Le Ong continuano a difendersi e a negare accordi con i trafficanti di essere umani e scafisti.

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Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.