Il profilo del defunto patron Valtur Carmelo Patti, come emerge dal decreto di confisca
Era l’uomo tra i più ricchi d’Italia ma aveva l’abilità di sapersi nascondere bene, di non darlo a vedere che era nella top five italiana, tra i grandi finanzieri e imprenditori. Ma a leggere le carte giudiziarie di oggi lo avrebbe fatto per nascondere anche altro, i rapporti stretti con Cosa nostra siciliana. E con tutte e due i piedi dentro la potente massoneria di Castelvetrano. Questo era Carmelo Patti, cavaliere del lavoro, il magnate di un pezzo rilevante dell’industria italiana, capace di mettere a contatto il mondo della finanza italiana con la potente mafia siciliana. Partendo da un capannone della dismessa Philco avviò nel pavese la nascita del suo impero, dopo aver fatto il muratore, il venditore ambulante e l’autista, cominciando ad occuparsi dei cablaggi per auto, stringendo un patto con la Fiat di Agnelli, creando dapprima la Cablesud e poi altre società similari in Italia e all’estero, fino in Brasile e in Cina. A Castelvetrano, il suo paesello, lo volevano bene perché dava lavoro. Anche nella sua terra c’erano le sedi delle sue aziende, ma la maggiorparte dei suoi operai lavorava a cottimo, case, garage o magazzini, trasformati in impianti produttivi, e dove interi nuclei familiari, ragazzini compresi, venivano impiegati a mettere insieme i cablaggi per le vetture che poi Patti trasferiva negli stabilimenti Fiat, da Termini Imerese a Torino. Con la produzione dei cablaggi fatturò 400 miliardi di lire all’anno. E il presidente della Fiat, l’avvocato Giovanni Agnelli, gli consegnò a metà anni ’90 il “premio europeo di qualità”. Poi il salto nel mondo del turismo a cinque stelle, l’acquisto della Valtur. Carmelo Patti, morto a 82 anni nel 2016, impersona perfettamente il “galantuomo” di cui lo scrittore Leonardo Sciascia scrisse nei suoi primi libri, dove descrisse la Sicilia tra povertà e ricchezze incredibili in mano a questi personaggi che per lo scrittore di Racalmuto erano in realtà mafiosi. Solo che Patti pur colpito da indagini per mafia ne è uscito sempre pulito, mantenendo la sua immagine di uomo ben elegante, di grande generosità, amico dei potenti quanto della povera gente e sopratutto di quella della sua terra, Castelvetrano. I periodi sfavillanti però per Carmelo Patti, frattanto diventato cavaliere del lavoro, si sono però interrotti negli anni 2000, per via delle indagini per false fatture, truffa e poi per mafia, vicende che lo portarono a dimettersi, lo fece sbattendo la porta, da presidente della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto di Palermo, e dove era arrivato per volere del sindaco Orlando. Il processo che si è concluso con la confisca dei beni per 1 miliardo e mezzo di euro, a carico dei suoi eredi, vedova e figli, ha messo in evidenza una gestione a dir poco pericolosa, buchi incredibili che hanno inghiottito, facendoli sparire, enormi quantità di denaro. E a dar sospetto quei conti correnti miliardari in mano al commercialista di Castelvetrano, Michele Alagna, il cognato del boss latitante Matteo Messina Denaro. Un commercialista che Patti scelse dopo una semplice conoscenza nel salone di un barbiere. Le operazioni che Patti e Alagna compiono sono tanto spericolate quanto impunite; aggiotaggio e concorrenza sleale. C’entra Alagna quando una giovanissime imprenditrice di Castelvetrano riuscì a battere all’asta la più nota Emma Marcegaglia, per l’acquisto del villaggio Punta Fanfalo di Favignana. I soldi a quella imprenditrice della Desi Immobiliare arrivarono da Patti attraverso Alagna, quest’ultimo in due tranche trattenne per se quasi 100 milioni di lire. Il procedimento condotto attraverso le indagini della Dia di Trapani e coordinate dal pm Andrea Tarondo hanno evidenziato i legami vecchi e nuovi di Carmelo Patti con la mafia. Da Bernardo Provenzano a don Ciccio Messina Denaro, fino all’attuale latitante Matteo Messina Denaro. I pentiti Angelo Siino e Nino Giuffrè hanno svelato quello che su patti avevano appreso in diretta, Siino ha rivelato di averlo conosciuto durante un summit nelle campagne di Castelvetrano con l’allora ricercato Messina Denaro, Giuffrè ha ammesso un rimprovero di Provenzano, a lui non piacevano i villaggi turistici dove i latitanti andavano anche a nascondersi, don Binnu lo rimproverò dicendogli che quei villaggi erano di Patti uomo in mano loro.