Il coraggio di scrivere

“… la guerra in Cecenia continua. È quello di cui hanno bisogno le autorità. Il paese vive una volta di più secondo i modelli imposti dai servizi segreti, che ancora una volta sono al di sopra della legge. Noi continuiamo a seminare Putin per raccogliere Stalin. Non è una sensazione piacevole. Mi chiedo spesso se sia possibile abituarsi all’idea che ci siano assassini al soldo dello stato.” Anna Politkovskaja tratto da: “Cecenia. Il disonore russo.”

La morte è arrivata troppo presto, troppo velocemente. In un piccolo quartiere di Mosca 6 anni fa, esattamente il  7 ottobre 2006 moriva Anna Politkovskaja, uccisa nell’ascensore del suo palazzo.  Anna muore, tra le buste della sua ultima spesa, dentro un ascensore, da sola, senza un grido, senza una parola. Giornalista coraggiosa che ha sfidato il governo russo riuscendo a raccontare gli orrori della “guerra” in Cecenia , che senza di lei non avrebbero avuto voce.

Raccontando meticolosamente i retroscena della cruda realtà cecena è andata contro il sistema che imponeva il silenzio, la bugia ed è riuscita a rendere di tutti delle storie crude, di odio, di terrore, di torture e di menzogne. Senza esitazione, ha denunciato le barbarie compiute dal governo di Putin, senza arrendersi mai, neanche davanti alle tante minacce di morte ricevute. “A volte la gente paga con la propria vita per dire ad alta voce ciò che pensa”, e questo Anna lo sapeva bene, sapeva che era solo questione di tempo. Però il destino a volte è davvero strano, Anna è stata uccisa il 7 ottobre, lo stesso giorno il presidente Putin festeggia il suo compleanno; c’è chi vede questo come un regalo verso il presidente, lo stesso presidente che Anna denunciava e accusava, lo stesso di sempre. Ancora oggi il colpevole dell’omicidio rimane sconosciuto, come spesso, purtroppo, accade in Russia. Sono passati 6 anni dalla sua scomparsa ed io voglio ricordarla con semplicità e rendere universale il suo messaggio. Un messaggio di speranza e soprattutto di pace.

Come un pugno nello stomaco ho letto molti scritti di Anna, li ho trovati crudi, freddi, spesso anche difficili da digerire ma proprio per questo li ritengo essenziali. Nel suo libro “Cecenia. Il disonore russo” possiamo carpire quella voglia di raccontare la verità che ormai sembra diventata una rarità nel sistema intrinseco di corruzione e di soggezioni che certi sistemi impongono alla stampa e all’informazione in generale. Il suo raccontare, storia dopo storia, verità dopo verità, ha alimentato le voci, ormai strazianti, delle migliaia di donne, uomini e bambini costretti alle peggiori torture nella propria terra, nella propria casa, nel proprio letto. Ogni pezzo doveva aiutare qualcuno, contrastare un’ingiustizia o semplicemente raccontare come stavano le cose. La sua attività non era solo giornalistica, ma umanitaria. Aveva deciso di smascherare le menzogne del suo paese, guardando negli occhi i responsabili, partecipando ai processi per cercare di dare giustizia a donne violentate, uomini torturati, bambini orfani…

Anna lavorava in condizioni economiche non proprio favorevoli ma nonostante tutto non si è arresa, è andata sul campo a raccontare le sue storie e renderle alla portata di tutti. È proprio questo che ha ucciso Anna Politkovskja, l’aver trasformato delle storie di guerra da dimenticare in storie aperte a tutti, e hanno suscitato non poca rabbia verso un governo che per anni ha mentito e taciuto. Le parole di Anna sono diventate scomode e per questo ha pagato con la vita. Per non dimenticare e per tenere vivo il ricordo di tutte quelle persone che ancora oggi si battono per i diritti degli uomini e per salvaguardare la libera informazioni, mi sento di tenere vivo il ricordo, di una giornalista coraggiosa che non ha mai smesso di vivere.

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Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.