“Ricordatevi di Giuseppe”

Ventidue anni fa l’omicidio dell’agente della polizia penitenziaria Giuseppe Montalto: i mafiosi presero la sua vita per farne un “regalo di Natale” ai boss reclusi al 41 bis

Oggi all’interno della casa di reclusione di Trapani Libera, il Dap, i poliziotti penitenziari, ricorderanno Giuseppe Montalto. Si farà un importante esercizio di memoria per dar merito a Giuseppe Montalto un uomo, agente della polizia penitenziaria, ammazzato a 31 anni dai mafiosi trapanesi, un omicidio voluto dal latitante Matteo Messina Denaro, eseguito dal killer di fiducia della “famiglia” trapanese, quel Vito Mazzara all’ergastolo oggi anche per l’omicidio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Per uccidere Giuseppe Montalto e Mauro Rostagno, Vito Mazzara utilizzò la stessa arma, un fucile a canne mozze, agì in tutte e due i delitti con assoluta precisione, uccidendo Giuseppe Montalto e riuscendo a non colpire la moglie, Liliana Riccobene che si trovava in auto col marito, stessa cosa per Rostagno uccise lui e risparmiò la donna, Monica Serra, che si trovava in auto col giornalista. «Ricordati di Giuseppe, uomo giusto, onesto, stroncato dalla mafia. Che il suo sacrificio possa essere d’esempio a tutti noi e che ci induca a combatterla». L’affermazione è di Liliana Riccobene. Giuseppe Montalto lavorava all’Ucciardone, nel braccio del 41 bis. La sua morte per mano assassina si scoprì essere stata «il regalo di Natale» del 1995 fatto dai boss in libertà, e tra questi il super latitante Matteo Messina Denaro, ai mafiosi reclusi, un omicidio per contestare l’odiato carcere duro e per colpire un agente che aveva fatto il suo dovere, impedire cioè a due boss reclusi di riuscire a passarsi un «pizzino». All’Ucciardone il boss Raffaele Ganci stava facendo arrivare una lettera al boss catanese Nitto Santapaola. Giuseppe Montalto fu barbaramente ucciso nella frazione trapanese di Palma il 23 dicembre del 1995: ucciso davanti gli occhi della moglie Liliana Riccobene: erano in auto, fermi, sul sedile posteriore la loro figlioletta, Federica di 10 mesi. Liliana ancora non lo sapeva ma in grembo stava crescendo un’altra loro figlia, Ilenia. Un omicidio per il quale i boss si erano messi a gara per eseguirlo. L’alcamese Nino Melodia ebbe a lamentarsi del fatto che alla fine Giovanni Brusca, uomo d’onore di San Giuseppe Jato, che nel 95 faceva il latitante tra le campagne di Trapani e Valderice, non gli disse più nulla di andare a fare quell’omicidio. L’ordine di morte era arrivato dall’Ucciardone. Dai boss palermitani, dai Madonia: «Ninuccio manda a dire che vuole fatta una cortesia, vuole eliminata una guardia carceraria che “si comporta male”». A Salemi si svolsero i «summit» per decidere e organizzare l’omicidio di Giuseppe Montalto: nella villetta di Rosario Calandrino si trovarono i capi mafia di Trapani con Matteo Messina Denaro, ebbero anche l’aiuto di una «gola profonda» dentro l’ufficio della Motorizzazione per individuare chi fosse quell’agente, dal carcere, infatti, avevano fatto sapere che il poliziotto da uccidere aveva una Fiat Tipo targato Torino, e così qualcuno si occupò di individuare chi fosse il proprietario dell’auto, così da permettere ai killer di andare a cercarlo. Lo andarono a cercare e lo trovarono. Vito Mazzara sparò ma non era da solo, con lui c’era un’altra persona che si occupò di coprirlo mentre sparava, il sospetto degli investigatori, grazie alla testimonianza del pentito Ciccio Milazzo, fu quello che si poteva trattare di Franco Orlando, politico, fu consigliere comunale a Trapani del Psi, segretario particolare dell’allora deputato Bartolo Pellegrino, e uomo d’onore riservato. Orlando fu condannato solo per associazione mafiosa e assolto dal delitto. Orlando oggi è libero, è uno dei 200 mafiosi che sono tornanti liberi e vivono nell’hinterland trapanese. I killer attesero Giuseppe Montalto la sera del 23 dicembre 1995, appostati davanti casa dei suoi suoceri. Montalto arrivò, portò una bombola del gas a casa dei suoceri, tornando sui suoi passi Non fece in tempo a salire in auto, fu ucciso con due colpi di arma da fuoco, riuscì a salire sulla vettura ma cadde addosso alla giovane moglie che sedeva nel sedile di fianco. «Il regalo di Natale ai detenuti» raccontarono poi i pentiti durante il processo, «si fanno (i detenuti ndr) il Natale più allegro» fu l’affermazione dei mafiosi che avevano voluto quel delitto, cenando la sera della vigila di Natale tutti assieme a Valderice. Quei giorni del 1995 erano stati «pesanti» per gli agenti dell’Ucciardone, più volte avevano ricevuto chiari segnali di «pressione» da parte dei detenuti al 41 bis. Un agente trovò uno sportello della propria auto aperto: all’interno c’erano tre proiettili ed un giornale con la foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un altro agente ha raccontato, invece, che mentre si trovava in servizio due persone si recarono nella sua abitazione. «Affermarono che erano due poliziotti che dovevano fare una perquisizione, ma mia madre non voleva aprire la porta: gli dissero che erano due mafiosi e che avrebbero sfondato l’uscio… Fortunatamente mio figlio riuscì ad avvertirmi, ma quando arrivai a casa i due uomini erano fuggiti». In questo clima, da aprile 95 in poi, maturò il delitto di Giuseppe Montalto. A scatenarlo fu il fatto che Montalto impedì al boss palermitano Raffaele Ganci di passare una lettera al catanese Nitto Santapaola. Ilenia per colpa di quei mafiosi non ha potuto conoscere il padre, Federica ne parla come se fosse stato «Aladino». Gli è rimasta impressa l’immagine del padre oramai senza vita, composto nella camera ardente con una sorta di turbante alla testa (gli era stato messo per nascondere le ferite che gli squarciarono il capo).

Giuseppe Montalto aveva avuto contrasti con alcuni detenuti della nona sezione del carcere dell’Ucciardone, in cui vengono reclusi coloro che sono sottoposti al regime del 41bis. Problemi che lo avevano a chiedere di essere trasferito in un’altra sezione del carcere. Confidenze che Liliana Riccobene ricevette, dopo l’uccisione del marito, da un collega Giuseppe Zambito, ma questo agente davanti ai giudici, durante il processo, negò.

Il «regalo» di Natale del 1995 ai mafiosi al 41 bis, l’odiato carcere duro, per Cosa nostra doveva arrivare sotto forma di un omicidio «come segnale» contro ogni rigidità dello Stato. E così fu. Sono stati condannati all’ergastolo Matteo Messina Denaro. Vincenzo Virga e Vito Mazzara di Custonaci, che sparò. Mafia sprezzante. Anni dopo quel delitto, nel 1999 grazie ad una intercettazione fatta dai poliziotti della Squadra Mobile di Trapani, fu colto il colloquio tra due cugini del capo mafia Vincenzo Virga, Franco e Baldassare. «A pecora mia “dammaggio” (danno ndr) non ne fa, ma sempre pecora è», così Vincenzo Virga avrebbe spiegato perché Montalto era stato ucciso, era una pecora che faceva danno.

Quel 23 dicembre 1995, Liliana lo ricorda spesso così: «… ero rimasta sulla vettura. Sentii un colpo, pensai soltanto a coprire la mia bambina. Mio marito crollò sul mio corpo, sentii un altro sparo. Lo chiamai, ma non rispondeva». Maria Gabriella Riccobene, cognata dell’agente ucciso raccontò, «dopo avere parlato con mia sorella ero rientrata a casa, ma quando chiusi la porta sentii un boato. Tornai fuori e vidi una persona, con la testa coperta da un passamontagna, protesa all’interno della vettura di mio cognato: voleva accertare, probabilmente, il risultato della propria azione. Successivamente l’uomo fuggì verso la strada con un’altra persona… Non vidi altro perché il lampione, che si trova dinanzi la nostra abitazione, era stranamente spento».

Quanto è importante ricordare? «Ricordare – dice Liliana Riccobene – significa non far morire un’altra volta la persona che è stata uccisa, ma avverto oggi che spesso le morti di mafia non sono considerate tutte uguali». «La mafia – dice – dobbiamo saperla combattere anche in modo individuale. Invito i giovani ad avere sempre voglia di fare delle cose buone, belle e importanti».

Talvolta sei nelle scuole, agli studenti cosa dici?

«Che è importante fare gruppo e combattere la mafia, ma la mafia dobbiamo saperla combattere anche in modo individuale. Invito i giovani ad avere sempre voglia di fare delle cose buone, belle e importanti. Rispetto a quel 1995 lo Stato oggi c’è di più e se qualcuno oggi manca sono i politici, spero che presto questi giovani si facciano avanti».