Peppe lu Corvu Castelvedere – Capitolo VI

I racconti di Nicola Quagliata

Capitolo VI

CASTELVEDERE

E perché mai la mafia, che aveva ucciso il giovane nemico, doveva impedire che il corpo fosse dato ai parenti? Che interessi poteva avere a impedire che i familiari si prendessero cura del corpo? E che significato aveva la sua esposizione nel cimitero dietro la cancellata?

Al cancello del cimitero arriva un messo comunale che Saro il camposantaro conosce. Il messo chiede di entrare e Saro gli va incontro per aprirgli, il messo entra e consegna a Saro un documento dell’ufficiale dello stato civile del comune in cui rifiuta di dare autorizzazione alla sepoltura della salma di Mommo, “per ulteriori accertamenti sulla disgrazia ed individuazione delle competenze, data la morte avvenuta in altro comune della provincia”.

Il camposantaro se lo aspettava e tira un sospiro di sollievo – adesso non sono io a non voler seppellire il giovane, io non capisco bene perché ma ho l’impressione che resterà insepolto ancora per giorni.

 Intanto la presenza fuori delle familiari del giovane ucciso assumeva il carattere proprio della veglia funebre. Una monaca del sacro Cuore di Gesù con tre orfanelle aveva raggiunto il gruppo per la recita delle preghiere per i defunti:

Pater noster, qui es in cælis:
sanctificéturNomenTuum:
advéniatRegnumTuum:
fiat volúntas Tua,
sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum
cotidiánum da nobishódie,
et dimíttenobisdébita nostra,
sicut et nos
dimíttimusdebitóribusnostris.
et ne nos indúcas in tentatiónem;
sed líbera nos a Malo.

Amen

e l’Ave Maria ed il Credo, in un coro di dolore, ed in attesa che il custode venisse loro ad aprire il cancello del cimitero. Mentre le preghiere venivano recitate sottovoce con tonalità di lamento funebre, l’Amen era deciso e con tonalità esclamativa perché sentissero Dio in cielo e gli uomini sulla terra.

Il cimitero chiuso era come trovare chiusa la chiesa nel giorno della festa del santo, non puoi sfondare il portone perché il sacrilegio sarebbe maggiore della chiusura, ed allora devono intervenire le autorità competenti.

E mentre le donne recitavano le preghiere una Gip rumorosa con tre carabinieri sovrastò le loro voci. Due carabinieri scesero e si accostarono al cancello. Il camposantaro disse tra sé e sé ma con voce che Peppe poteva sentire :

–        ora ci sarà da ridere, vediamo come va a finire, ma io lo immaginavo che non poteva andare tutto liscio,

e col foglio dell’Ufficiale dello Stato civile ancora in mano si avviò verso il cancello.

Il carabiniere coi baffi gli chiese:

–        Saro che sta succedendo? La chiave non entra nella toppa stamattina ed il cimitero resta chiuso?

–        Eu nunsacciunenti, come voi mi attengo ai superiori e quel che mi dicono faccio, ecco qua.

E porse il foglio dello Stato Civile

–        Leggete marescià

Il maresciallo lesse il foglio e lo restituì a Saro e senza dire una sola parola, evitando anche di salutare, fece cenno al collega e si ritirarono sulla Gip che era rimasta accesa. Se ne andarono come erano venuti.

Peppe pensò ai suoi impegni ed al viaggio di ritorno che lo aspettava, e pensò ai disastri che il maltempo nella notte aveva creato sulla strada, alle frane ed alle fiumare che si erano portati interi tratti di strada, gli passò anche la curiosità di vedere come andava a finire con il morto insepolto, e pensò pure che se non stava attento a dove metteva le ruote poteva finire male anche a lui e ritrovarsi, come il giovane di Castelvedere, nel cimitero del suo paese con una monaca a dirigere le preghiere per lui ed i defunti.

Saro andò ad aprigli il cancello spalancandolo per dare spazio alla vettura e Peppe uscì col camioncino.

Saro richiuse il cancello, ma Peppe, fermatosi a venti metri e sceso gli stava andando incontro tutto agitato, lo fece entrare nel camposanto :

–        Che è successo Peppe, turnasti?

–        È successo che ora che torno a Salemi non ho niente da dare all’assessore, mi devi fare una carta dell’avvenuta consegna.

–        Hai ragione, non so come l’abbia scordato, vieni che ti faccio una ricevuta, ho un libretto per fartela.

Andarono dentro la guardiola, che era anche ufficio, dal tiretto di un tavolino ricoperto di ceri e lumini, tirò fuori un taccuino con della carta carbone e con una matita scrisse sul primo foglio la data della ricevuta consegna del cadavere, scrisse il nome di chi l’aveva consegnato e descrisse con tre parole il cadavere consegnato evitando di scriverne il nome, la carta carbone duplicava la ricevuta che emetteva, lasciando la sua attaccata al libretto. Diede la ricevuta col timbro a Peppe insieme ad un sorriso di soddisfazione. Peppe era sorpreso e pensò ancora che fare il camposantaro era complicato come col camioncino, e ne fu ammirato. Saro lo accompagnò al cancello e Peppe riprese la via del ritorno ai suoi impegni.

Passò presto il giorno e venne la sera e le donne si ritirarono insieme alla monaca ed alle tre orfanelle.

Passò la notte ed al primo chiarore le donne furono davanti al cancello in attesa che il custode aprisse il cancello e Saro che aveva trascorso la notte dentro al cimitero uscito dalla sua custodia da lontano, guardando le donne aprì le braccia in segno di rassegnazione.

Arrivò la monaca e ripresero le preghiere.

Ad una certa ora della mattinata arrivò la Gip del giorno prima con gli stessi carabinieri, Saro gli andò incontro accostandosi al cancello ed il carabiniere sceso dalla vettura chiese:

–        Che novità ci sono?

–        nessuna novità, eusempricàstaiu, non me ne posso andare, faccio la guardia ai morti rimasti soli.

e fece un cenno beffardo di sorriso. Il maresciallo, come il giorno prima, senza dire una parola e senza salutare, si avviò alla Gip e partirono. Saro se ne tornò indietro verso l’abitacolo che era anche guardiola.

Dopo tre giorni di esposizione nella bara e centinaia di curiosi accorsi a guardarla tra sghignazzi e battutacce,

il capitano dei carabinieri chiama il Prefetto perché intervenga in vece dell’Ufficiale di stato civile del comune ed obblighi chi di dovere, il camposantaro ed i suoi operai, alla sepoltura della salma, interrompendo anche il sacrilegio della esposizione.

Il prefetto era già informato, ma a grandi linee, ovvero in modo generico, della chiusura del cimitero di Castelvedere, adesso gli viene ufficializzato un atto che lo chiama, come istituzone, ad intervenire. Ma non può farlo solo sulla base della relazione dei carabinieri, che sarebbe un intervento fondato solo sulla forza quando invece a Castelvedere si trattava di ricucire consenso e sedare gli equilibri sociali scossi dalla guerra di mafia che sembrava non avere fine. E così il Prefetto chiama l’Onorevole del collegio elettorale perché ricomponesse il dissidio apertosi nel suo comune, e dare sepoltura al morto, prima che la ferita aperta potesse allargarsi con la notizia nelle pagine dei giornali nazionali.

L’Onorevole rassicura il Prefetto e gli conferma che sta seguendo in prima persona gli accadimenti, avendo anche avuto la parola d’onore, di uomini d’onore del suo paese, che in pochi giorni tutto si sarebbe risolto e ricomposto, il morto tra i morti del campo santo con l’archiviazione nelle amministrazioni dello stato e nella memoria dei vivi.

L’Onorevole inoltre ricorda al Prefetto che tutto stava accadendo nella massima discrezione dei giornali, che non ne avevano parlato e non lo avrebbero fatto in futuro, pure in questo aveva avuto rassicurazioni. Quando i giornali avevano notizie che riguardavano il suo paese i direttori prima di pubblicarle chiedevano un suo breve parere, come in questo caso.

Il Prefetto richiama il capitano dei carabinieri per comunicargli le garanzie che aveva ricevuto sul controllo degli avvenimenti, suggerendo di tenere  impegnata la stazione dei carabinieri del paese in  attività di pattugliamento e vigilanza attiva in località di campagna, lontano dal centro abitato e dal cimitero, indicando anche la precisa località dove, da informazioni pervenute alla prefettura, dentro ad una gola di Monte Inici, nel folto della vegetazione, tra  dei ruderi infestati dal frassino, avrebbero trovato del bestiame rubato. L’arma dei carabinieri veniva così impegnata nella repressione dell’abigeato e nella cattura di malviventi presi in flagranza di delitto, attività certamente più consona alla sua natura, e veniva allontanata dai fatti del cimitero dove c’erano implicazioni di ordine sociale e politico. In questo modo garantivano il presidio del territorio ed i giornali locali avrebbero avuto di che scrivere e riportare notizie sulla fermezza dello Stato nella  attività di repressione dei delitti, spostando tutta l’attenzione sui compiti veri dell’arma dei carabinieri e non certamente su delle donne addolorate per la sepoltura di un malacarne a cui nemmeno la chiesa avrebbe dedicato una messa funebre, e dove i responsabili del reato, se reato c’era, erano da ricercare nelle stesse istituzioni, una cosa questa che non era neanche lontanamente da pensare.

E poi c’era anche la difficoltà della individuazione del reato. C’era al cimitero la salma di un morto ammazzato, il cancello d’ingresso chiuso, col camposantaro dentro che aveva ricevuto l’ultimo ordine di servizio dal Comune il giorno prima l’arrivo del morto da Salemi, in cui gli veniva richiesto di mantenere chiuso il cimitero e non avendo ricevuto altri ordini di servizio se ne restava chiuso nel camposanto, i figli gli passavano il mangiare dal cancello, anche la pasta ancora calda dentro al portapranzo.