Caso Saguto, la Cassazione conferma alcune accuse e ne annulla altre

Si farà un nuovo processo a Caltanissetta per rideterminare le pene

La Corte di Cassazione conferma alcune accuse, ma ne annulla altre. L’ex giudice Silvana Saguto non va in carcere, almeno per il momento. E non ci va nessun imputato del suo “cerchio magico”. La Suprema Corte ha rinviato il processo a una nuova sezione della corte d’appello di Caltanissetta, per rideterminare le pene nei confronti dell’ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo (in appello aveva avuto 8 anni e 10 mesi) e degli altri imputati che rischiavano il carcere, pure per loro sono cadute alcune contestazioni.
Si tratta del marito dell’ex giudice, l’ingegnere Lorenzo Caramma (in secondo grado aveva avuto 6 anni e 2 mesi); dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, il “re” degli amministratori giudiziari di Palermo (7 anni e 7 mesi); erano stati condannati pure il suo successore, il professore Carmelo Provenzano (6 anni e 10 mesi) e il commercialista Roberto Nicola Santangelo (4 anni e 2 mesi).
È una sentenza molto articolata quella emessa ieri pomeriggio dalla sesta sezione della Cassazione. L’avvocato Ninni Reina, che difende l’ex giudice e il marito, dice: «Siamo moderatamente soddisfatti per questa decisione, ma continua il dramma per i miei assistiti, per i quali non è ancora finita».
Si tratta del marito dell’ex giudice, l’ingegnere Lorenzo Caramma (in secondo grado aveva avuto 6 anni e 2 mesi); dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, il “re” degli amministratori giudiziari di Palermo (7 anni e 7 mesi); erano stati condannati pure il suo successore, il professore Carmelo Provenzano (6 anni e 10 mesi) e il commercialista Roberto Nicola Santangelo (4 anni e 2 mesi).
È una sentenza molto articolata quella emessa ieri pomeriggio dalla sesta sezione della Cassazione. L’avvocato Ninni Reina, che difende l’ex giudice e il marito, dice: «Siamo moderatamente soddisfatti per questa decisione, ma continua il dramma per i miei assistiti, per i quali non è ancora finita».
Regge l’accusa principale contro Silvana Saguto, quella di avere intrattenuto un patto corruttivo con l’avvocato Cappellano Seminara, cadono invece alcune ipotesi di falso. Altre accuse di peculato per alcuni compensi, contestate a Cappellano, Caramma, Provenzano e Santangelo, vengono invece riqualificate in truffa.
Un nuovo processo si farà anche per il tenente colonnello della Guardia di finanza Rosolino Nasca, anche per lui annullata con rinvio la condanna a 2 anni e 8 mesi per corruzione. Definitiva invece la condanna per l’ex prefetta di Palermo Francesca Cannizzo, che in primo grado aveva avuto tre anni (il reato è stato però riqualificato, da tentata concussione a tentata induzione indebita).
Assolti invece definitivamente il preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna, Roberto Di Maria (difeso dall’avvocatessa Renata Accardi); Maria Ingrao, la moglie di Provenzano, e Calogera Manta, la cognata. Assolto anche l’avvocato Walter Virga, che era stato condannato in appello a un anno e 4 mesi, per la Cassazione Silvana Saguto non gli impose in studio la fidanzata di suo figlio. Il legale, difeso dall’avvocato Enrico Sorgi, viene assolto perché il “fatto non sussiste”, la Cassazione ha annullato senza rinvio.
Hanno scritto i giudici di Caltanissetta, nella prima sentenza di condanna: «Da questo processo è emerso il mercimonio della gestione dei beni sequestrati e l’approfittamento, a vari livelli, del ruolo istituzionale ricoperto». Era il settembre 2015 quando scattarono le perquisizioni, anche nel suo ufficio. Ma già allora le intercettazioni del Gruppo tutela spesa pubblica del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo avevano già svelato gli incarichi pilotati, le razzie e gli sperperi fatti dagli amministratori del “cerchio magico”, e poi ancora le raccomandazioni e le mazzette alla giudice. Fatti così gravi che già nel 2019 Silvana Saguto è stata radiata dalla magistratura. Ora, arriva la condanna definitiva per una sfilza di reati, dalla corruzione alla concussione, all’abuso d’ufficio. «Una serie eterogenea di reati – si legge ancora nella sentenza di primo grado – posti in essere mediante una così grave distorsione — per tempi, modalità e protrazione delle condotte — delle funzioni giudiziarie da avere arrecato, oltre che danni patrimoniali ingentissimi all’erario e alle amministrazioni giudiziarie, anche un discredito gravissimo all’amministrazione della giustizia».
Ha segnato un prima e un dopo nell’antimafia l’inchiesta coordinata dalla procura di Caltanissetta. Ecco cos’era diventata la gestione dei beni sequestrati: «Un quadro di desolante strumentalizzazione della funzione giurisdizionale — lo chiamano i giudici — a favore di una gestione privatistica, caratterizzata da un intreccio di rapporti personali e di condotte fondate sul dato costante dell’assoluta marginalizzazione dell’interesse pubblico connesso alle funzioni giurisdizionali». Un “sistema” di segnalazioni e raccomandazioni per le nomine nella gestione dei beni sequestrati. Segnalazioni ad alto livello, come quella fatta dall’ex prefetta Cannizzo per il familiare di un collega.
Così, sono arrivate le condanne, in primo grado e in appello.
La Saguto sceglieva soprattutto gli amministratori giudiziari che le erano fedeli. Prima, solo Cappellano Seminara, che in cambio riempiva di incarichi il marito della giudice. E le portava anche mazzette dentro trolley quando lei era piena di debiti. Ecco cosa c’era dietro: «Silvana Saguto era mossa da uno spasmodico desiderio di assicurare alla propria famiglia un tenore di vita molto più elevato delle proprie possibilità», ha scritto la corte d’appello di Caltanissetta. C’era un “patto di scambio” fra il giudice e l’avvocato che era ormai diventato il “re” degli amministratori giudiziari. “Un accordo corruttivo”, lo chiamano i giudici. E quando le polemiche arrivarono alle stelle, l’allora presidente delle Misure di prevenzione puntò su un altro fidato a cui passare il monopolio dei beni sequestrati, il professore della Kore Carmelo Provenzano, che però ufficialmente faceva da collaboratore del commercialista Roberto Santangelo, era lui l’amministratore giudiziario.
Questa è stata davvero una storia drammatica. Il giovane avvocato Walter Virga, figlio di un magistrato (prima indagato poi assolto da questa vicenda), fu scelto da Silvana Saguto davvero a sorpresa: non aveva l’esperienza e le competenze per gestire patrimoni importanti sequestrati. Ma ricevette lo stesso l’incarico. E poi finì per prendere in studio la fidanzata di uno dei figli della giudice. Intanto, Virga e i suoi collaboratori facevano scempio del patrimonio sequestrato agli imprenditori Rappa, che poi anni dopo verrà restituito agli originari proprietari, con parecchi danni.

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