Rivolta al “Pietro Cerulli”, Procura chiede rinvio a giudizio di 39 detenuti

Per la rivolta scoppiata il 10 marzo del 2020 all’interno della casa di reclusione “Pietro Cerulli” di Trapani, la Procura della Repubblica di Trapani ha chiesto il rinvio a giudizio di 39 detenuti, tutti indagati per i reati di devastazione e saccheggio e per resistenza a pubblico ufficiale. L’udienza preliminare è fissata per lunedì prossimo dinanzi al gup, giudice Giancarlo Caruso. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Francesca Urbani, che assieme al procuratore aggiunto Maurizio Agnello, ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio, si sono avvalse del contributo investigativo della Squadra Mobile di Trapani e del Nucleo investigativo centrale della Polizia Penitenziaria.
I NOMI. Gli indagati sono i palermitani Vincenzo Alaimo, Grancesco Paolo Avvenimenti, Gioacchino Buscetta, Giuseppe Caccamo, Domenico Cintura, Francesco Lo Coco, Pietro Mazzara, Giuseppe Rizzuto; i trapanesi, Alberto Cangemi, Roberto Cordaro, Antonino Di Salvo, Luca Fiorino, Andrea Guarnotta, Sergio Manzo; i catanesi, Orazio Bonfiglio, Vincenzo Di Mauro, Alfio Cristian Licciardello, Marcello Mercurio, Ottavio Roberto Questorino, Maurizio Trapani, Alfio Valvo, Sebastiano Zappalà; i mazaresi, Emir Ben Thameur, Alessio D’Agostino, Damiano Guccione, Ramzi Njim, Vincenzo Piazzese. Ed ancora: Gaspare Di Benedetto (Partinico), Salvatore Di Paola e Umberto Rizzitano (Messina), i marsalesi, Angelo Maltese, Paolo Pace, e inoltre Daniele Sabani e Leonardo Saluzzo (Castelvetrano), Erica Spadafora (Bergamo), e i cittadini extracomunitari, i tunisini Amri Abuda, Achref Kamoun, l’egiziano, Kirolos Samir e infine il marocchino Zakaria Tiouk. Dei 39 indagati, due sono irriperibili mentre sedici sono quelli frattanto tornati liberi.
COSA ACCADDE. La rivolta nel carcere di Trapani, così come altre scoppiate nello stesso periodo in altre carceri italiane, fu legata ai divieti, come la concessione di permessi premio, imposti per far fronte all’emergenza pandemica. Ad essere vietati furono soprattutto i colloqui con i familiari, ma nella stessa occasione i detenuti chiesero un maggiore ricorso ai controlli per la prevenzione del virus, all’epoca parecchio virulente, attraverso i tamponi anti covid. In quella giornata un gruppo di detenuti riuscirono a raggiungere il tetto della casa di reclusione, mentre all’interno, soprattutto nel padiglione “Mediterraneo” destinato ai detenuti comuni, furono incendiati materassi e lenzuola, e danneggiati arredi, bagni e suppellettili di vario tipo come tavoli, computer, e poi ascensori, impianti elettrici, sistemi di sicurezza. Durante la rivolta alcuni agenti della polizia penitenziaria incaricati anche della custodia restarono feriti, e sette di loro assieme alla direzione del carcere, sono stati individuati dalla Procura quali parte offese. La rivolta si concluse nell’arco della stessa giornata, e per fortuna non ebbe le tragiche conseguenze di altre rivolte scoppiate nel resto d’Italia. A fronteggiarla fu un ampio schieramento di vigili del fuoco e delle forze dell’ordine, Polizia e Carabinieri, che all’esterno del carcere dovettero anche occuparsi di un buon numero di familiari dei detenuti venuti a dar man forte ai loro congiunti. A intervenire fu pure un elicottero che si occupò dei detenuti giunti sul tetto dell’edificio per evitare tentativi di evasione.
UN’ALTRA PROTESTA. Nei giorni scorsi un’altra protesta è scoppiata dentro al carcere trapanese. Una contestazione andata avanti per un paio di giorni, la cosiddetta protesta della “battitura”, pentole e oggetti usati per battere contro le sbarre delle finestre. Nell’occasione a protestare furono i detenuti della sezione “Alta Sicurezza”, contro il razionamento dell’acqua calda e le limitazioni per i limiti alla lista spesa, nonché per gli spazi di comunità estremamente limitati.

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