“Lo chiamavano…il tonno”

Processo “Artemisia”: l’accusa cita il primo teste e le difese serrano le fila

Quella di oggi pomeriggio, di fatto, dopo alcuni rinvii di carattere tecnico, da ultimo anche il virus del Covid che ha colpito uno dei difensori degli imputati, è stata la prima udienza del processo originato dall’operazione dei Carabinieri del marzo 2019 denominata “Artemisia”. Immediatamente si è palesato il clima che segnerà il dibattimento, con l’accusa che tenterà di portare in aula in modo immediato le risultanze investigative e le difese che in tutti i modi cercheranno di ridurre gli spazi di manovra. Il processo però appare nelle mani di un presidente di collegio, il giudice Franco Messina, parecchio attento e puntiglioso nel far proseguire il dibattimento senza concedere niente a nessuno e a mantenerlo interno dei canoni del codice. Se l’udienza fosse proseguita come previsto ci sarebbe stato sicuramente un primo punto pieno per l’accusa che in aula come primo teste ha portato l’ex comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri di Trapani, maggiore Diego Berlingieri, che però si è dovuto interrompere per un malore per fortuna non grave. Tornerà in aula il 2 maggio prossimo. Il maggiore Berlingieri, oggi in servizio nel Ros calabrese, rispondendo alle domande del pm Francesca Urbani, ha fatto riferimento alla genesi dell’indagine tra ipotesi di corruzione e di costituzione di una loggia massonica segreta. Una indagine sviluppatasi sui rapporti dell’allora deputato regionale del Nuovo Centro Destra, Giovanni Lo Sciuto – presente in aula, difeso dall’avv. Celestino Cardinale – con il presidente dell’Anfe – centro di formazione professionale – Paolo Genco e il presidente delle commissioni per il riconoscimento delle invalidità presso l’Inps, Rosario Orlando. Terzo capitolo delle indagini dei Carabinieri di Trapani, per come ha anticipato il maggiore Berlingieri, le fughe di notizie che sarebbero giunte a Lo Sciuto su indagini in corso che lo riguardavano. Rapporti essenzialmente basati su corruzione e scambio di consenso elettorale. Le difese più volte hanno interrotto il teste, contestando anche di rendere testimonianza scorrendo le pagine dell’informativa, sebbene si tratta di un documento investigativo a sua firma, ma il presidente del collegio ha respinto le obiezioni. Sin da subito è emerso che il racconto dell’investigatore è ricco di particolari che fanno apparire Lo Sciuto, il principale degli imputati, a capo di un “cerchio magico” che addirittura era in grado di giungere fin dentro le stanze del ministero degli Interni, a Roma, Palazzo del Viminale. Particolare il rapporto tra Lo Uscito e Genco. Quest’ultimo presidente dell’Anfe così prezioso per gli “affari” del deputato regionale, che nella cerchia del parlamentare veniva soprannominato “il tonno”. I due erano intercettati: all’ascolto apparivano “legati l’uno all’altro – ha detto il maggiore Berlingieri – da un patto do ut des, l’uno serviva all’altro”. Genco così avrebbe usato Lo Sciuto per ottenere “protezione” nell’ambito politico per fare arrivare finanziamenti dal mondo della formazione all’Anfe, Lo Sciuto avrebbe usato Genco per ottenere fondi per le campagne elettorali ed assunzioni. Il potere di Lo Sciuto poi è servito a Genco per arrivare a incontrarsi a Roma con l’allora prefetto Mario Morcone, all’epoca a capo del Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione. Ci sarebbe stato un progetto che l’Anfe – associazione nazionale famiglie emigrate – puntava ad avere finanziato dal ministero degli Interni. Episodio che risale quando a capo del Viminale c’era l’agrigentino Angelino Alfano, leader del Nuovo Centro Destra al quale apparteneva Lo Sciuto. L’incontro tra Genco e Morcone ci fu, agevolato su richiesta di Lo Sciuto da Giovannantonio Macchiarola, capo della segreteria del ministro Alfano, e che si trattava di un progetto parecchio delicato gli investigatori dell’Arma lo dedussero dall’atteggiamento di grande prudenza tenuto al telefono dal politico. Quando Macchiarola voleva essere specifico nel tema da trattare, Lo Sciuto lo interruppe subito…”non sono cose da parlare per telefono”: “Non è una cosa per telefono … io eventualmente te lo mando, Giovanni Antonio. Te lo mando là. Se tu hai 10 minuti, te lo mando. Lui per ora è a Roma”. La testimonianza però si è chiusa a questo punto per il malore del teste. Proseguirà alla prossima udienza.

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteLo sponsor era Costa
Articolo successivoDomenica di sport ad Erice: Vivicittà e Trofeo mountain bike
Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.