Antonino Scopelliti, un mistero italiano lungo 30 anni

Ma a Reggio insistono ad indagare. Una fonte molto qualificata della Dda dice: “Avola è un indagato sulla base delle sue dichiarazioni. Stiamo cercando riscontri. Sono in corso ancora accertamenti di varia natura”.

“La Calabria è sassi e vento e vendette trascinate nel tempo. Tanto peggio tanto meglio. In Calabria si muore per tirare a campare”. Così scrive il drammaturgo e avvocato Giacomo Carbone nel testo teatrale “Toghe rosso sangue”

Il magistrato Antonino Scopelliti, giudice di Cassazione non tirava a campare. Doveva sostenere l’accusa contro Cosa Nostra al maxiprocesso. Ma la vendetta si trascina nel tempo per una verità che tarda ad arrivare a trent’anni dal maggiore omicidio eccellente avvenuto nella Calabria dei sassi e del vento.

A Campo Piale sopra Villa San Giovanni. Qui trent’anni fa uccisero il giudice Scopelliti. Riavvolgo il nastro della memoria di una storia che ho iniziato a narrare da giovane e che rievoco alla vigilia dell’anniversario senza ancora una verità definitiva.

Avvenne tutto in sordina, pur nella sua gravità. Poi le stragi del 1992, l’irruzione sulla scena pubblica della figlia Rosanna, attivista antimafia, parlamentare di Berlusconi e oggi assessore del sindaco Falcomatà junior, hanno acceso la fiaccola della testimonianza. Ancora non ci sono verità e giustizia. Solo il ricordo di una vendetta.

C’è un’inchiesta aperta a Reggio Calabria. La tenacia del procuratore Bombardieri segue la pista siciliana con cornice calabrese. La Dda ha iscritto nel registro degli indagati sette boss siculi di alto livello. C’è anche Matteo Messina Denaro più altri 11 nomi calabresi. Ma il nome chiave è Maurizio Avola, killer reo confesso di 80 omicidi. Quello che ai giudici reggini e a Michele Santoro in un libro di successo, ha raccontato che lui era il killer con la batteria omicida dei catanesi Santapaola.

Ha indicato nomi, circostanze e ha fatto ritrovare anche un fucile da caccia. Sarebbe quello che ha sparato. Ma la perizia non può accertare nulla. L’arma è troppo vecchia e malandata. Le cartucce annesse, trovate con il fucile in un terreno di proprietà di Avola, invece, sono risultate difformi con quelle rinvenute nell’agosto del 1991. In Calabria non basta un pentito a risolvere un delitto eccellente.

Ma a Reggio insistono ad indagare. Una fonte molto qualificata della Dda dice: “Avola è un indagato sulla base delle sue dichiarazioni. Stiamo cercando riscontri. Sono in corso ancora accertamenti di varia natura”.

Il contesto sembra chiaro dopo trent’anni. Mancano i dettagli del quadro. In Calabria si tira sempre a campare.

Uccidere Scopelliti per fermare Falcone e il maxiprocesso. Tutto deciso in un summit a Castelvetrano. La ’ndrangheta garante del territorio ma non partecipe. Smentendo quello che hanno sempre sostenuto altri collaboratori che hanno prodotto poca giustizia.
Il magistrato, quando fu ucciso, non aveva alta notorietà mediatica. Fu anche rimosso per questo dalla stampa nazionale. Dalla Calabria dei sassi e del vento che alimenta ancora incendi c’era difficoltà a far emergere anche un delitto eccellente.

Era il 9 agosto 1991. In campo Piale di Villa San Giovanni, mentre torna dal mare verso casa, dei killer su una moto uccidono il sostituto procuratore generale della Cassazione Antonino Scopelliti, 56 anni, in vacanza a Campo Calabro suo paese di origine.

Quando nell’impervio posto dell’agguato arriva il procuratore della Repubblica è molto turbato. Dichiara ai giornalisti: “E’ la prima volta che la mafia uccide un magistrato a Reggio Calabria”. Ma quale mafia? Quella calabrese chiamata ’ndrangheta, coinvolta in una feroce e cruenta guerra intestina tra clan rivali? O quella siciliana? Siamo ancora qua a capire l’ennesimo mistero italiano.

A Campo Piale, sono le due strade che conducono all’omicidio di Nino Scopelliti: il maxiprocesso a Cosa Nostra, che Gratteri oggi vuole eguagliare, e la tregua della feroce guerra di ’ndrangheta tra i De Stefano e i Condello.

La mafia uccide solo d’estate, ha spiegato Pif che nel 1991 non poteva manifestare per quell’omicidio. Perché la Calabria era già sassi e vento.

Ricordo tutto di quel 9 agosto 1991. La Bmw del giudice trovata nella scarpata. L’aveva acquistata 19 giorni prima. Una telefonata anonima l’aveva segnalata caduta in un dirupo. L’attentato era avvenuto alle 17,30 dopo una giornata a mare. Incidente stradale, poi circola la voce del suicidio. Alle 19, l’Ansa, non c’erano i siti come oggi, batte la notizia che mette in moto gli inviati di tutta Italia: “Ucciso in Calabria magistrato di Cassazione”.

Arrivarono il presidente della Repubblica Cossiga e Giovanni Falcone per i funerali a Campo Calabro, il paese del giudice. Qui i parenti hanno lasciato tutto intatto nella casa natale di Nino Scopelliti. Nello studio c’è la foto del 1959 quando si era laureato in Giurisprudenza a Messina, la borsa dove aveva messo anche le carte del maxiprocesso di Palermo, un tagliacarte. Ricordi per una vendetta trascinata nel tempo.

I miei ricordi di cronista segnano l’informativa della Dia del 1993 che indica la pista palermitana. Ci furono anche due esposti anonimi contro l’avvocato Giorgio De Stefano. Giacomo Lauro, pentito di ’ndrangheta, riferisce di una confidenza di Nino Saraceno: “Questa pace si è costruita sul sangue innocente del giudice Scopelliti”.

Nitto Santapaola mandò l’imbasciata? Oggi Avola riferisce di un misterioso informatore. Chi era? Pentiti molti tra Calabria e Sicilia. Il catanese Domenico Farina sostiene di aver assistito personalmente in una casa di Africo Nuovo all’incontro tra Totò Riina e Domenico Condello che avrebbe deciso pace e omicidio. La vulgata raccontava che il capo dei capi fosse travestito da prete. Elementi buoni per una fiction da girare prossimamente. Per la verità non vale nulla. Tanto peggio, tanto meglio. Tanti indizi, poche prove. Seguimmo un processo a Reggio Calabria finito a niente in sostanza. La Cupola assolta. Di quel processo ricordo Totò Riina con la camicia che ai giornalisti racconta che il processo era una montatura di Violante e dei comunisti. Fu il giorno di gloria del processo Scopelliti per i media del tempo. In Calabria si tira a campare anche quando c’è di mezzo il capo dei capi.

Di Scopelliti ricordo molte storie minime. Antonino Caponnetto, seguendo la trasmissione “Lezioni di mafia” su Raidue, osserverà che sul rullo che apriva la trasmissione, tra i nomi delle vittime, non avevano posto quello del giudice calabrese.

Strade a piazze ne ricordano il nome e il sacrificio in Calabria, a Bari, a Mucinasso. Chissà perché alla Cassazione non hanno voluto intitolare un’aula a Scopelliti.

Al paese del giudice, a Campo Calabro, sotto una pianta d’ulivo è scritto su una lapide: “La tua parola ha spezzato il silenzio di una terra che non sa più tacere”.

La Calabria forse parla troppo oggi, ma è ancora sassi e vento e vendette trascinate nel tempo, a trent’anni dall’omicidio Scopelliti.

Intanto si cercano riscontri. Sono in corso accertamenti.

Verità e giustizia aspettano ancora.

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