Quando Enrico Caruso fu fischiato a Trapani

Un episodio cancellato dalla biografia del grande tenore ma raccontato da un libro del ’42. Nel 1896 al teatro Garibaldi il flop in “Lucia di Lammermoor”
di GIACOMO PILATI*

Nel centenario della morte del tenore Enrico Caruso vi proponiamo questo articolo comparso su Repubblica a firma dello scrittore e giornalista Giacomo Pilati.

Forse è successo veramente. Forse è solo una esagerazione letteraria. Forse è una leggenda tramandata fra i santi e i demoni di tufo dei palazzi barocchi del centro storico di Trapani. Un segreto ancora oggi sussurrato a mezza voce dai pescatori al porto. La memoria di un passaggio che ha oscurato per un istante il mito di Enrico Caruso. I fischi della galleria. Il passo incerto. La voce impastata. Gli schiamazzi «ubriacone, ubriacone» e le risa del pubblico del teatro Garibaldi.

Sabato 15 febbraio 1896. Le signore dell’aristocrazia affollavano i tre ordini dei palchi sfoggiando vestiti alla moda di Parigi. Quel sabato c’erano tutti. Notabili, prelati, industriali, banchieri, politici. Una prima è un evento irrinunciabile pure per una piccola città di provincia. Il loggione in alto era gremito. I giudici più severi del bel canto erano gli artigiani: i calzolai, gli scalpellini, i funai. Nessuno pensava di dovere assistere ad una pagina –poi censurata- della storia del celebre tenore. Un giorno da dimenticare. Una luna abrasa per sempre dalla biografia del cantante. Il rocambolesco debutto a Trapani della Lucia di Lammermoor. Complice il vino ambrato, asprigno e robusto delle regie taverne dei marinai. Sarebbe rimasto un pettegolezzo come tanti, se nel 1942 lo scrittore tedesco Franck Thiess non avesse pubblicato con Frassinelli “Il tenore di Trapani”. Un libro dimenticato, una rarità; solo poche copie ancora disponibili fra gli antiquari e i bibliofili. Fra le pagine ingiallite affiora improvvida dal fondo della storia una certezza inquietante. Il fiasco ci fu veramente. E per poco Enrico Caruso, alticcio e confuso, non si giocò la carriera.

Era uno sconosciuto cantante lirico quando arrivò a Trapani al seguito della compagnia di Domenico Cavallaro. Un esordio incerto fin dalle prove; più sicuro e brillante solo alla terza recita. Il resto è leggenda. Ma fino ad un certo punto. Una distorsione della cronaca emerge con lieve delicatezza dai fogli di uno dei giornali dell’epoca, il più vicino alla potente impresa Cavallaro organizzatrice della stagione lirica. Il disastro di Caruso è descritto così nel numero di marzo del Madracchio: «Presentossi alla prima sera con un timor panico straordinario e non ebbe campo di farsi apprezzare subito come egli avrebbe desiderato. Pure l’accoglienza del pubblico fu benevola e in certi punti incoraggiante. Alla fine il giovane artista venne evocato alla ribalta». Mentre il giornale concorrente Turrigny, non esita a svelare l’inganno della prezzolata benevolenza: «Al nostro Garibaldi agisce la compagnia Cavallaro la quale per la claque che l’egregio impresario introduce in platea e in galleria, crede di avere un certo successo. Questa claque però dovrebbe essere disseminata meglio, mentre fa strano contrasto il sentire dalla galleria e dal fondo della platea un debole scroscio di noci secche e le grasse risate del pubblico intelligente».

Il racconto di Thiess, acclamato narratore del Novecento tedesco, seppur infarcito da dettagli fantastici, offre una versione affascinante e verosimile, tanto da essere ripresa dal film del 1951 “Enrico Caruso, leggenda di una voce” con Ermanno Randi e Gina Lollobrigida.

La storia. Il tenore napoletano, deluso per non essere riuscito a guadagnarsi un ruolo da protagonista in nessuna delle opere in cartellone a Trapani, affogò nell’alcol il suo tormento in compagnia di un amico ritrovato fra le viuzze del centro storico. «Furono giorni duri per lui. Ogni tanto lo si vedeva in piccole parti che non offrivano nessuna possibilità di mietere allori. Non aveva saputo fare di meglio che diventare un secondo tenore in una compagnia miserabile». Chiamato sul palco a sostituire il tenore ammalato, si precipitò al Garibaldi in preda all’ebbrezza del vino. «Egli canta fissando qualcosa che fluttua nello spazio al di sopra degli spettatori. Lucia tenta di attirare a sé l’attenzione dell’amante. Ma Edgardo barcolla. Doveva dire “le sorti della Scozia” ma dalla sua bocca escono nettamente le parole “ivi trattar m’è dato le volpi della Scozia”. Una risata scoppietta dalla platea fin su, sul palcoscenico. Sente chiaramente salire dalle file gremite di quella terrificante platea le parole “ubriacone, ubriacone”. Si odono grida come alla Camera dei deputati».

Sostituito in fretta e furia per risparmiargli il linciaggio della galleria, fu richiamato a gran voce sul palco nelle recite successive. Quel giovane napoletano aveva intenerito il cuore dei trapanesi; volevano offrirgli una altra occasione. «Il sipario si alza. Il pubblico scoppia in applausi. Caruso non sa se si trovi in paradiso o all’inferno. Ed egli canta come non ha mai cantato in vita sua».
Ma c’è un’ultima versione dei fatti, quella tramandata al porto, ancora oggi sussurrata dai vecchi marinai come una fiaba proibita.

La racconta in un libro introvabile, edito da Monitor, Mario Cassisa, classe 1919. Caruso si era innamorato della figlia di un marchese trapanese e di fronte al diniego del padre di concedergli la mano, aveva deciso di gettarsi in mare dalle mura di tramontana. «Il tenore dopo l’impatto con le alghe rimase illeso per la morbidezza del banco. Si salvò e camminando sulle alghe verso ovest uscì da porta Botteghelle ritornando in albergo. L’indomani sera ci fu la recita e fu un disastro, il tenore fu sonoramente fischiato perché si presentò ubriaco sul palco. Ma seppe riscattarsi alla replica con una esecuzione impeccabile, meritandosi questa volta entusiastici applausi».

Enrico Caruso si fermò a Trapani con la compagnia dal 5 febbraio al 14 aprile 1896. Archiviata la magra figura della Lucia di Lammermoor, si fece apprezzare nella Cavalleria Rusticana, nella Sonnambula.

Lasciò la città a malincuore. Aveva 24 anni.

* fonte La Repubblica

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