Una indagine avvelenata

Assolto con formula piena anche in appello il commercialista e amministratore giudiziario Luigi Miserendino. Nel 2017 la Finanza lo arrestò accusandolo di complicità con l’imprenditore Ferdico dei cui beni sequestrati era amministratore giudiziario. Tutto infondato, ma nell’inchiesta qualche manina ha mosso le pedine per farlo finire apposta sotto inchiesta

Una pagina giudiziaria della quale alcuni magistrati palermitani dovrebbero oggi vergognarsi. I giudici di primo e appena ieri di secondo grado hanno reso giustizia a Luigi Miserendino, 54 anni, professionista palermitano, commercialista, per anni amministratore di beni sottoposti a sequestro e confisca da parte dei Tribunali delle Misure di Prevenzione di Trapani e Palermo. Era accusato di favoreggiamento, i giudici anche in appello hanno applicato la formula del fatto che non sussiste. Integerrimo amministratore che qualcuno ha voluto inguaiare forse per togliersi qualche sassolino dalle scarpe nei confronti del professionista il cui nome è legato a doppio filo con la vicenda della Calcestruzzi Ericina, l’azienda confiscata al boss mafioso Vincenzo Virga e che la mafia voleva far fallire proprio mentre Miserendino da amministratore giudiziario si stava adoperando per salvarla e per proteggere gli occupati dalla disoccupazione. La Calcestruzzi Ericina Libera grazie a lui e al prefetto Fulvio Sodano, quello tacciato dall’allora sottosegretario all’Interno senatore D’Alì di essere favoreggiatore della Calcestruzzi Ericina sebbene fosse un bene appartenente a quello Stato del quale il politico era rappresentante istituzionale, e grazie al lavoro di magistrati, giudici e poliziotti, è diventata una impresa gestita dalla cooperativa che i suoi dipendenti sono riusciti a costituire. Di nemici, nel corso della sua carriera, Miserendino se ne è fatto diversi e non solo tra i mafiosi. L’ultimo suo incarico fu quello della gestione del Villaggio Kartibubbo di Campobello di Mazara, appartenuto all’imprenditore Calcedonio Di Giovanni, il resort per decenni sicuro nascondiglio di mafiosi latitanti e dove sono state censite anche partecipazioni del noto mafioso Mariano Agate. Ma dapprima era stato anche l’amministratore di un albergo a San Vito Lo Capo appartenuto all’appena defunto Michele Mazzara, il cosiddetto “Berlusconi di Dattilo”. Anche il Panoramic fu salvato attraverso la costituzione di una cooperativa tra i suoi dipendenti. Fu anche amministratore dell’azienda Mannina, un bene restituito poi all’imprenditore Mannina che ebbe pure a ringraziarlo per avergli riconsegnato un bene non fallito. Qualche “no” gli è costato caro, non sappiamo se hanno avuto refluenza nell’indagine della Procura di Palermo e della Guardia di Finanza che nel 2017 portò al suo clamoroso arresto. Certo è che nell’elenco di chi si è visto negare fiducia da Miserendino c’è il famoso pluri amministratore giudiziario Cappellano Seminara, quello finito condannato con l’ex capo delle misure di prevenzione di Palermo, giudice Saguto, e anche pare qualche colletto bianco che gli avrebbe consigliato un giorno di essere più malleabile e di avvicinarsi a certe congreghe massoniche. Oggi c’è di certo che quell’arresto non doveva essere nemmeno pensato, e che i magistrati che hanno indagato si sono dimenticati di fare i dovuti riscontri. Miserendino fu accusato di essere stato complice dell’imprenditore Ferdico dei cui beni era amministratore giudiziario. I magistrati sostennero che non aveva adempiuto ai suoi obblighi e di relazionare al Tribunale delle Misure di Prevenzione di Palermo ciò che di irregolare aveva trovato e di avere nascosto i tentativi di Ferdico, vero e proprio ricco imprenditore del settore commerciale palermitano, si riprendersi in qualche modo i suoi beni. Sarebbe bastato andare a fare le ricerche nella cancelleria del Tribunale di Palermo, come fece subito il suo difensore, l’avvocato Monica Genovese, per trovare quelle relazioni, una di queste addirittura aveva portato al sequestro contro Ferdico anche di una villa rimasta fuori dal sequestro. Ma non solo a saperlo erano i giudici delle misure di prevenzione. C’è in particolare una relazione di Miserendino con la quale fu evidenziata l’intromissione di Ferdico in certe iniziative commerciali. Altro che copertura. Una relazione che finì anche in Procura a Palermo che indagò Ferdico, la stessa Procura che poi nell’atto di accusa contro Miserendino dimenticò del tutto questa circostanza. “Tanto – scrisse il Tribunale di primo grado – sarebbe bastato per allontanare dal Miserendino i sospetti di favoreggiamento”. Quello che è successo nell’immediatezza del suo arresto fu di una inaudita gravità. Certe “penne” si sbizzarrirono ad accusare già condannandolo, molto male si disse anche dell’associazione Libera alla quale Miserendono pur non appartenendone era parecchio vicino. Fedele sostenitore di quell’antimafia sociale che col suo arresto più di qualcuno si impegnò per tentare di demolire. Miserendino non faceva parte di alcun cerchio magico e conoscendolo noi non abbiamo mai avuto dubbi sulla sua estraneità sin dal primo momento. Anche perché lo avevamo visto con la solita schiena dritta testimoniare anche in importanti processo di mafia. Quello presentato alla pubblica opinione prima e poi nell’aula di giustizia fu un castello di carte che si era subito afflosciato mentre i pm insistevano sulla sua solidità, arrivando in primo grado a chiedere la condanna, negata però dal Tribunale. In appello a chiedere l’assoluzione è stato il procuratore generale che bocciò così l’appello presentato da zelanti e però ciechi pm. La richiesta di assoluzione è stata condivisa dai giudici della prima sezione penale della Corte di Appello. La richiesta accolta fa prefigurare che stavolta non ci sarà alcun ricorso, toccherebbe alla Cassazione, contro la parte della sentenza che riguarda Miserendino. Ci viene da scrivere che adesso tanti dovrebbero pensare di chiedere scusa al professionista, anche quei leoni da tastiera che sulle pagine social hanno ulteriormente frantumato la sua profonda onestà. Oggi dovrebbero rivolgere lo sguardo verso i veri “cerchi magici” dentro i quali a tavolino fu costruita questa parte dell’indagine che in appello ha trovato conferme di colpevolezza per Ferdico ed i suoi veri complici, imputati colpevoli per estorsione e intestazione fittizia di beni.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.