“Ho smesso di fare il pescatore”

Mazara: parla il comandante dell'”Aliseo” Giuseppe Giacalone, ferito dalle mitraglie dei libici. “Non torno più in mare”

La maglietta verde sporca di sangue la indossa ancora quando nella tarda mattinata lo intervistiamo. Il comandante dell'”Aliseo” Giuseppe Giacalone, giovedì scorso rimasto ferito dalle mitragliate sparate da una motovedetta libica che ha tentato il sequestro del motopesca mentre navigava a 34 miglia dal tratto di costa tra Misurata e Tripoli, dopo essere stato dapprima in Capitaneria per essere sentito dai Carabinieri del Ros che indagano sull’accaduto su delega della Procura di Roma, e poi essere andato in ospedale a farsi medicare la ferita provocata al capo da un proiettile che per fortuna lo ha colpito di striscio, ha accolto nella sua casa i giornalisti. “Ho accettato di essere intervistato – ha detto – per annunciare che il pescatore Giuseppe Giacalone non esiste più. Ho smesso di fare il pescatore, penso anche di bruciare il libretto di navigazione, io in quel mare non andrò più”. Non nasconde la paura, “sono rimasto vivo, anzi siamo rimasti vivi, ci hanno sparato addosso per ucciderci, per farci affondare”. Mentre parla gli sono vicini la moglie Nuccia, e Alessandro, anche lui pescatore, con il padre armatore della società proprietaria della barca. Non c’è l’altro figlio, Giacomo, è in mare con l'”Anna Madre”. Giacomo fu uno dei 18 pescatori tenuti sequestrati a Bengasi in quei lunghi 108 giorni, da settembre sino a dicembre scorsi. Sono proprio questi due episodi messi assieme che hanno indotto Giacalone a prendere la decisione di non essere più un pescatore.
Questo il racconto di quelle lunghe e drammatiche ore in mare di giovedì scorso.
“I libici si sono avvicinati alla nostra imbarcazione e hanno iniziato a sparare ad altezza d’uomo, ho contato più di cento colpi, i vetri in frantumi del finestrino mi hanno investito in pieno, un proiettile mi ha sfiorato la testa. Così ho visto che perdevo sangue. Giovedì pomeriggio stavamo recuperando le reti e via radio la nave della Marina militare italiana ci ha avvisato di puntare la prua verso Nord e navigare a massima velocità – racconta Giacalone – abbiamo chiesto il perché, ma non ci è stato riferito. Dopo un’ora abbiamo deciso di andare verso la Grecia. Così ho chiesto al cuoco di preparare il pranzo e poi via verso Nord-est. Dopo due ore di navigazione mi sono accorto che sulla nostra testa sorvolava un elicottero della Marina militare mi sono affacciato dalla porta sinistra della cabina di comando e mi sono accorto che c’era una motovedetta libica che veniva verso di noi. Viaggiavano a una velocità di 35-40 nodi, ho chiamato via radio la Marina Militare comunicando cosa stava succedendo. I libici si sono avvicinati, noi eravamo relativamente tranquilli, avevamo capito che erano militari di Tripoli, con loro abbiamo pensato il nostro Governo dialoga e invece hanno iniziato a sparare ad altezza d’uomo. Ho richiamato la Marina e, a quel punto, mi è stato riferito di fermare i motori. I militari libici sono saliti a bordo, erano tre, armati. Mi hanno minacciato mimando il taglio della gola, in quel momento avevo vivo il ricordo di cosa ha vissuto mio figlio Giacomo rimasto sequestrato 108 giorni a Bengasi, mi è crollato il mondo addosso”. Momenti carichi di tensione, “da una parte la motovedetta libica, dall’altra la Fregata “Libeccio”, mi aspettavo un impegno più incisivo della nostra marina, ci seguivano mentre loro ci sparavano addosso, mi sono sembrati immobili in attesa di chissà quale evento, mentre i libici sembravano intenzionati a sequestrarci, poi d’improvviso la decisione di liberarci, il comandante libico mi ha salutato dicendo sorry, sorry, quasi a scusarsi di quello che avevano fatto. Noi gli abbiamo regalato un barattolo di Nutella”. “Non tornerò più a mare, a costo di bruciare il libretto di lavoro, la mia famiglia è distrutta. Oramai sono stanco. Giuseppe Giacalone pescatore è morto. Rischiare la vita è troppo ormai ho deciso di smettere”. E questa maglietta che indossa ancora? “Non verrà lavata, resterà così, la metterò in una cornice”. La delusione del comandante Giacalone è rivolta al nostro Governo, “nessuno ci ha chiamato”. Come scrive l’agenzia Agi “tra i miliziani libici che hanno sparato contro il peschereccio Aliseo ce n’era uno addestrato dall’Italia a Messina e parlava italiano come ha ancora detto Giacalone. Dopo quelle scuse, il comandante libico si è offerto di portarmi in ospedale a Khoms, “noi siamo tornati qui ma nessuno ha pensato di mandare in banchina al nostro arrivo un’ambulanza, io in ospedale sono andato accompagnato dai miei amici e familiari”.

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteDenise Pipitone, il legale di Piera Maggio: “Lavoriamo sulle nuove intercettazioni”
Articolo successivoSalah
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.