“Siamo vivi, impauriti, noi in mare andiamo per pescare e non per far guerra”

Mazara: il ritorno in porto del motopesca “Aliseo” dopo le mitragliate subite giovedì dai libici. I loro racconti, le parole del sindaco Quinci e del vescovo Mogavero: “La questione è politica, c’è un dilemma drammatico da risolvere”

“Sono vivo” è stato l’urlo col quale Giuseppe Giacalone, il comandante del motopesca “Aliseo”, ha salutato dal ponte di comando la moglie Gaetana e il figlio Alessandro che erano in banchina dove poco dopo le 7,30 si è ormeggiato il peschereccio. Lui e i sei membri dell’equipaggio, tra cui due tunisini, sono rimasti ancora un altro poco a bordo del loro motopesca, prima per gli accertamenti sanitari, quelli più immediati, poi per seguire l’ispezione disposta dalia Procura di Roma che ha aperto l’indagine sull’ennesimo episodio della “guerra del pesce” accaduto giovedì scorso nelle acque internazionali del Mediterraneo davanti la costa libica di Misurata. Giuseppe Giacalone indossa la maglietta verde ancora insanguinata, ha il capo completamente fasciato, una volta a terra l’abbraccio con la moglie Gaetana: “Mi ha detto è finito un incubo, abbiamo pianto – dice la donna – l’ho trovato distrutto e impaurito”. Giacalone si è soffermato a parlare con il comandante della Capitaneria, con le parole e con i gesti ha ricordato quelle ore infinite di inseguimento in mare e poi di quei due militari libici che saliti a bordo lo hanno minacciato facendo il chiaro segno che potevano tagliargli la gola. Visibili i segni del mitragliamento subito dall'”Aliseo” giovedì scorso, vetri in frantumi, i fori sulle lamiere e alcuni strumenti di bordo danneggiati. “Siamo vivi per fortuna tutti” ha poi cominciato così il suo racconto il timoniere dell'”Aliseo” Girolamo Giacalone, mentre il comandante Giuseppe Giacalone

andava via con i Carabinieri che negli uffici della Guardia Costiera di Mazara lo hanno sentito per un paio di ore su incarico dei magistrati rimani e infine è stato accompagnato al pronto soccorso dell’ospedale per medicare le ferite al capo e ad un braccio. Ai giornalisti presenti in banchina è stato il timoniere Girolamo Giacalone a ripercorrere quelle ore di “guerra” nel Mediterraneo. “Noi eravamo in navigazione, non avevamo le reti calate in mare, ci stavamo spostando in una zona di mare, acque internazionali, a 45 miglia dalla costa tra Misurata e Tripoli. Ci hanno inseguito per un paio di ore ma hanno cominciato subito a sparare, dapprima colpi di avvertimento, volevano farci fermare, poi i colpi sono stati diretti alla nostra imbarcazione. Io e il comandante siamo rimasti nella cabina di comando, il resto dell’equipaggio si è riparato nella parte bassa del peschereccio, vicino alla ghiacciaia, posto più sicuro per ripararsi dai colpi. Sparavano per uccidere – dice ancora il timoniere dell'”Alkiseo” e hanno continuato a sparare, un totale forse di 100 colpi, nonostante la nostra Fregata “Libeccio” fosse vicinissima e per tutte le fasi dall’inizio dell’inseguimento c’erano a sorvolare sopra di loro un elicottero della Marina Italiana e un Aereo della Guardia Costiera. Ma loro non hanno mai esploso un colpo per fermare quella motovedetta”. Una vera e propria sfida in mare: “Quando ci siamo fermati – prosegue Giacalone – due militari libici sono saliti armati a bordo, ci hanno detto che eravamo fortunati perché non erano armati di cannoncini, se li avessero avuti ci avrebbero affondato, poi ci hanno fatto vedere delle bottiglie molotov che erano pronti a lanciarci contro. Hanno preso il comandante e lo hanno portato sulla loro motovedetta, poi sono risaliti e hanno tentato di farci riprendere la navigazione verso un loro porto nonostante affiancato al peschereccio ci fosse già la Fregata “Libeccio”. Cosa che non è però accaduta. Non so cosa sia successo forse per questione politica ci hanno lasciati liberi”. A poca distanza dal timoniere c’è la sua famiglia: ” “Da due giorni non dormo e non vedovo l’ora di vedere mio marito – dice la moglie Carmela Palumbo – erano stati sequestrati, poi chissà cosa è accaduto. Sono intervenuti da Roma con una telefonata e li hanno fatti andare”. L'”Aliseo era partito da Mazara lo scorso 14 maggio, doveva restare a pescare sino a fine mese, ma quello che è successo ha interrotto ogni attività di pesca. “Sono state giornate agitate – ha detto ancora il timoniere – siamo partiti preoccupati, ma noi andiamo in mare per lavorare, non per finire bersaglio dei libici. Domenica con altri sei pescherecci al largo di Bengasi, e siamo stati avvicinati da un gommone libico che ha sparato, colpendo il peschereccio “Michele Giacalone”, nonostante la presenza di un’altra unità della nostra marina, la Fregata “Alpino”, anzi quel gommone è passato proprio vicinissimo a questa nostra nave, prima di cominciare a sparare. Forse non li hanno visti, ma la loro presenza è stata provvidenziale, così come è stata provvidenziale la presenza della “Libeccio” per quanto poi successo il giovedì successivo”. Adesso a parte l’indagine giudiziaria adesso c’è da affrontare la questione politica. “Da decenni i libici ci sparano e ci sono scappati anche i morti tra i nostri pescatori, poi passata l’emozione e l’indignazione del momento, tutti dimenticano, noi invece no, ogni partenza da qualche tempo è segnata dalla paura di non riuscire a ritornare” ci dice Mimmo Asaro armatore e pescatore mazarese che assiste da lontano a quanto accade in banchina. “C’è stata una recrudescenza di questi interventi, so cosa significa avere esplosi contro colpi di mitraglia, io sono stato prigioniero in Libia per sei mesi, mi hanno confiscato un peschereccio e poi ho vissuto una esperienza uguale a quella dell'”Aliseo”, quando ero a bordo del “Luna Rossa”, abbiamo contato allora, era il 2010, 96 fori sulle fiancate di quel motopesca”. In banchina ancora c’è chi ci dice che nella stessa zona di mare rivendicata come propria dai libici, vanno a pescare pescherecci maltesi, turchi ed egiziani, “ma la Libia non li disturba, solo i nostri vengono presi di mira”. Una “guerra” condotta solo contro i pescherecci di Mazara. “C’è una parte della milizia libica che agisce con l’intento di fermare i nostri motopesca – afferma il sindaco di Mazara Salvatore Quinci – Settimana prossima sarò a Roma per incontrare i ministri degli Esteri e della Difesa, va costituito tavolo con il ministero della Pesca, c’è un intero comparto che è in difficoltà e va aiutato con dei percorsi e progetti più impegnativi, che non possono essere soltanto quelli di difendere i nostri pescherecci”. “La barca è colpita ma soprattutto sono colpiti gli uomini, quelli dell'”Aliseo” hanno rischiato la morte, ma anche tutti quelli che qui a Mazara vanno per mare – ha detto il vescovo mons. Domenico Mogavero – a questi uomini chiediamo di avere coraggio a tornare in mare perché per loro significa lavoro, per la città significa sviluppo economico, ma è assurdo che gli si debba chiedere di avere coraggio, assurdo perché c’è una sicurezza che non viene garantita, questi nostri marinai pescano con la paura che potrebbe accadere loro qualcosa di brutto. E’ un problema grave che va affrontato a livello politico con il nuovo Governo di Tripoli, anche se provvisorio, speriamo che si rompa l’incertezza e ci sia una forza politica per garantire tutela a questi nostri pescatori. L’ambiente dei pescatori ,mazaresi è molto scosso e provato, due episodi nel giro di pochi giorni non fanno ben sperare, guai se le cose restassero così. Dire ai nostri pescatori di non andare in quella zona di mare, come ha fatto il Governo italiano, proprio per una carenza di interlocuzione con la Libia, è una posizione garantista, il Governo dice state attenti perché la vita vale più del pesce, dal punto di vista politico può reggere, dal punto di vista economico no, è evidente che emerge un dilemma drammatico che va però risolto”.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.