Lombrichi

I racconti di Nicola Quagliata

Lombrichi

Tra tutti i posti di terra dove scavare con le mani per trovare casentari, il munnizzaro sopra il quartiere Petrazzi, tra l’ultima fila case del paese e la montagna, dal terreno tiepido, morbido e fertile, era il posto dove se ne trovavano numerosi, lunghissimi e grassi.

Peppi Ciavula, che i genitori non mandavano più a scuola e che il padre portava spesso con sé a lavoro, da noi tutti era considerato uno grande, e lo guardavamo con rispetto ed ammirazione perché era arrivato dove noi ancora dovevamo arrivare, in un elmo militare di ferro arrugginito, che aveva trovato sopra lo stradone, perduto o abbandonato dai soldati americani al loro passaggio,  ne teneva più di dieci, immersi in acqua e terra scura. Peppi diceva che si nutrivano di terra ed erano gli unici animali a nutrirsi di terra.

Con la mano li faceva emergere per mostrarli con orgoglio e vanteria. Descriveva i caratteri e gli umori di ciascuno di essi, soffermandosi su quello che gli era più affezionato. Raccontava di ciascuno la storia, dal momento del suo ritrovamento nella buca scavata, ed indicava le buche dove erano stati ritrovati. Si lamentava che quando suo padre lo portava con sé a lavoro, non aveva dove lasciarli e sua madre non gli permetteva di farli entrare in casa dentro l’elmo dei soldati; però aveva un posto sicuro dove lasciarli di notte quando andava a dormire.

Questo posto non lo conosceva nessuno e la mattina quando andava a riprendere l’elmo e contava i suoi casentari ne trovava quanti ve ne aveva lasciati il giorno prima.

Se qualcuno paragonava,o confondeva i casentaricon  qualche altro animale, lui lo correggeva, dimostrando la differenza enorme tra i due, soffermandosi soprattutto sulle personalità e sui caratteri delle diverse specie. Era in questo un attento osservatore, ed era bravo a raccontare quello che noi non vedevamo e che in realtà nemmeno lui aveva mai visto se non che nella sua mente. Lui non aveva mai visto il passaggio dei soldati americani, non era nemmeno nato, però ne parlava come se gli fossero passati davanti, con la puzza di nafta dei camion carichi di farina e carne in scatola.

E parlava delle cose che tutti avevamo sotto gli occhi e che solo lui vedeva perché avere delle cose sotto gli occhi non è la stessa cosa che vederle, era come se lui le reinventasse con parole e ragionamenti, e le animasse dandogli nuova forma e carattere.

Gli animali del confronto erano quelli che accendevano la fantasia, che si muovevano in luoghi lontani, che qualcuno che era andato al cinema aveva visto, e ne parlava.

Noi nei pressi del munnizzaro oltre ai lombrichi nell’elmo di ferro arrugginito di Peppi, vedevamo solo farfalle, grandi, colorate e leggere che sembrava galleggiassero in aria, e che ad avvicinarle il vento le allontanava e rendeva irraggiungibili, e farfalle piccole e colorate che saltavano da un fiore all’altro, e non mancavano mai, c’erano in ogni stagione.

Erano gli animali della giungla i prediletti della immaginazione. Serpenti, leoni e tigri, e gli elefanti con le proboscidi, e Peppi, facendoci paura, distorcendo la voce,  diceva “quannufiniscinuchisti finisci purulumunnu”.

Il primo paragone veniva fatto con il serpente.

Era un serpente della foresta il casentaro? No! I serpenti hanno i denti ed hanno il veleno e mordono e si attorcigliano ed avvolgono e stringono e soffocano le prede.

I casentari non hanno zampe e non saltano, quindi non sono tigri. Sono pesci? I pesci vivono nel mare che è salato, e i casentaridentro la terra. E non hanno le ali quindi non possono essere aquile. Non c’era modo di trovarvi un animale simile per poterci fantasticare e costruire storie da raccontarci, non erano proprio adatti ai giochi dell’immaginazione, non c’era modo di rianimarli nella vita fantastica, e restavano dentro l’elmo metallico di Peppi. E noi attorno a guardarli perplessi.

Da un giorno all’altro PeppiCiavula sparì e dei casentari non si seppe più nulla, l’elmo rimase come un ricordo su cui fantasticare, ed ora se lo metteva uno in testa ora se lo metteva un altro. Peppe Ciavula con la famiglia era partitoin treno per Milano a lavorare. In luoghi fantastici con paesi fantastici tra Misinto, Solaro, Turati e Saronno c’era una fonderia  che aspettavano Peppe e suo padre a lavorare.

CONDIVIDI
Commenti Facebook
Articolo precedenteTrapani è “un campo minato”
Articolo successivoIl Covid fa bene solo alle mafie “Per il 70% degli intervistati hanno più potere”