“Il re regna nel suo regno”

Operazione Ermes 3: Così parlava don Vito “Coffa” Gondola, ma non solo così di se stesso, ma anche del latitante Matteo Messina Denaro. “A iddu unnu pigghiano mai”

Troppa sìcumera fa male, fa male ai mafiosi ma non solo a loro. A chi per esempio pensa di poter dar lezioni di etica, deontologia e moralità, ma spesso lo si fa per coprire proprie malefatte e quando si legge la verità delle cose ciò suscita dolorosi mal di pancia, e allora la medicina è quella di gettare fango addosso a chi provoca queste violente gastriti. La stessa cosa che fanno i mafiosi, che intercettati sono stati sentiti dare dello “scimunito” e (sic) del “mascalzone” al collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, l’imprenditore, cugino del boss latitante Matteo Messina Denaro, morto da qualche anno e che però dopo il suo ultimo arresto nel dicembre 2013 e prima di morire ha sottoscritto un bel po’ di dichiarazioni contro la congrega mafiosa che comanda la provincia di Trapani da quella che è una delle roccaforti della mafia siciliana, Castelvetrano. Qui continuano a contarsi adepti del boss, uomini d’onore usciti dal carcere che sono tornati a riempire le caselle di Cosa nostra rimaste vuote, insospettabili che si prestano a far veicolare i “pizzini” o a mettere a disposizione le loro attività per favorire Cosa nostra, ma ci sono anche gli stravaganti, coloro i quali senza arte e ne parte mafiosa, tifano per il boss, come un giovane esperto di tatuaggi che ha regalato ai familiari del boss un paio di quadri che ritraggono stile Andy Warhol, la figura di Matteo Messina Denaro, con tanto di corona in testa. Quando venerdì notte i poliziotti della Squadra Mobile di Trapani sono andati a perquisire anche le abitazioni dei familiari del boss, hanno trovato in bella esposizione l’immagine di Matteo, grande e bene incorniciata, cominciando da quella di via Alberto Mario a Castelvetrano dove l’anziana Lorenza Santangelo, vedova del patriarca belicino don Ciccio Messina Denaro, e madre di cotanto mafiosi, i figli Salvatore e Matteo, la figlia Patrizia, suocera di capi mafia importanti come il palermitano Filippo Guttadauro, nonna di Francesco Guttadauro, il nipote prediletto, Il boss a casa sua e delle sorelle c’è, la sua presenza è marcata in questo modo, la primula rossa della mafia trapanese parecchio cauto evita i contatti diretti e non solo con i familiari. I mafiosi intercettati riconoscono che l’organizzazione non è più quella di una volta ma mostrano grandi certezza nel riuscire ad eludere le indagini, sopratutto sono riusciti a togliere di mezzo i “pizzini” del boss, letti e distrutti immediatamente. Gli ordini continuano ad arrivare, così come al latitante arrivano i messaggi dai suoi favoreggiatori, e in mezzo a questi sembra certo che viaggino anche le lettere dei suoi familiari. La madre anziana e malata vive nella casa dove ha vissuto con don Ciccio Messina Denaro, assistita dalla figlia Rosalia, la moglie di Filippo Guttadauro e la madre di Francesco, suocera di quel tale Luca Bellomo, marito della figlia, che si occupava di una grossa ditta di arredi, un marchio internazionale. Da via Alberto Mario pare che qualche “pizzino” a don Matteo sia stato mandato, almeno questo ai tempi in cui, un paio di anni addietro a comandare per conto del boss era l’anziano salemitano Vito “Coffa” Gondola. Uno che andava dicendo di essere “un re nel suo regno”, ovviamente la frase era rivolta al capo mafia per eccellenza, Matteo Messina Denaro, in assoluto il capo della mafia trapanese. E’ poca cosa essere capo della mafia della provincia di Trapani e non anche il capo della mafia palermitana sempre povera di veri boss? Non è poca cosa perché come racconta da ultimo l’indagine “Ermes 3” è una mafia che resta infiltrata, che controlla il territorio, che si occupa di appalti, che è riuscita a rallentare la costruzione del nuovo ospedale di Mazara, che ha avuto in mano nel periodo di massimo splendore la costruzione di parchi eolici, che si occupa di fare investimenti sull’isola di Malta e che custodisce tesori, come quello mai trovato posseduto dal leader delle scommesse on line Carlo Cattaneo, socio del cognato del latitante. Questi settimanalmente contava gli incassi, come risulta dalle indagini della Dia di Trapani, nell’ordine medio dei 250 mila euro, sono riusciti a sequestrargli solo beni per 350 mila euro, il denaro contante è finito da qualche parte. Pensare che denaro liquido sia puntualmente arrivato al latitante non è cosa azzardata. Matteo Messina Denaro insomma emerge come un mafioso che non si occupa solo di mettere “pali” come diceva Totò Riina quando fu intercettato in carcere a parlar male di quello che era stato un suo figlioccio. Il carattere mafioso di Matteo Messina Denaro sembra sempre di più essere quello che lo rende simile se non superiore a don Binnu Provenzano. I mafiosi sono stati ascoltati dagli investigatori della Squadra Mobile di Trapani che da qualche tempo sul piano investigativo sono giustamente tornati ad essere protagonisti nella ricerca del latitante, almeno per quanto riguarda la Polizia, a sostenere che secondo loro quello che molti è inevitabile, la cattura del boss, “non succederà mai”. E magari poi facevano della ironia, “se c’è questa persona se non c’è…lo cercano”. Don Vito “Coffa” Gondola furbo è stato ascoltato dire che lui conosceva solo don Ciccio (Messina Denaro ndr), nemmeno al figlio maggiore di questi, Salvatore, “chiddu chi travagghiava na banca”, addirittura neanche a Matteo, “era picciriddo un mu ricordo, unsaccio se era alto o basso, magro o grosso”.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.