Condannato per le minacce

Catania, il boss Ventura minacciò di morte il giornalista Paolo Borrometi

La prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania ha condannato per minacce di morte, tentata violenza privata, aggravata dal metodo mafioso, il boss di Vittoria, Gian Battista Titta Ventura nei confronti del vice direttore dell’Agi, Paolo Borrometi. Ventura, considerato dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catania il reggente del clan, comandato dal fratello Filippo, è in carcere, a seguito dell’operazione “Survivors” effettuata dalla Polizia di Ragusa nel settembre del 2017. La Corte d’Appello di Catania ha riformato la sentenza di Primo grado del Tribunale di Ragusa che aveva condannato il Ventura per minacce di morte e tentata violenza privata, con l’aggravante della recidiva ma senza l’aggravante del metodo mafioso. “Ti scippo la testa anche dentro la questura”, aveva minacciato il boss Ventura, in uno dei tanti episodi contestati. I pentiti di mafia Giuseppe Pavone, Giuseppe Doilo e Rosario Avila avevano confermato lo spessore criminale di Ventura, definito “u’ziu, quello che comanda a Vittoria”. Il boss Ventura dovra’ anche risarcire l’Ordine dei Giornalisti nazionale e della Sicilia, la Federazione Nazionale della Stampa, il Comune di Vittoria ed il giornalista Borrometi. Alla sentenza di primo grado si era appellata la Procura di Catania, con il pm Valentina Sincero e il legale di parte civile, Vincenzo Ragazzi perche’ era stata esclusa l’aggravante del metodo mafioso. La difesa di Ventura, con i legali Giuseppe Distefano e Maurizio Catalano, invece si era appellata per la sussistenza del fatto e ritenendo elevata la quantificazione della pena. Nel processo di Appello la Procura generale aveva chiesto la condanna a due anni. La condanna e’ arrivata questa mattina dopo la camera di consiglio di ieri a un anno e dieci mesi, con il riconoscimento dell’aggravante mafiosa, oltre alle minacce di morte e tentata violenza privata nei confronti di Borrometi. Confermato il risarcimento per le parti civili, oltre alla condanna alle spese legali.

Fonte: Agi

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