Mafia, a Trapani Messina Denaro ancora capo indiscusso. Castellammare del Golfo “collante” tra Sicilia e Stati Uniti

Dalla relazione semestrale della DIA emerge “una mafia dalla notevole forza intimidatrice”. La città di Castellammare ancora al centro dei rapporti con gli Stati Uniti. La mafia trapanese che esce fuori dalla “fotografia” della Direzione Investigativa Antimafia

La semestrale relazione della DIA, quella relativa ai primi sei mesi dell’anno scorso, ci pone l’ennesima fotografia di Cosa nostra siciliana. Sempre la stessa, con i piedi ben saldi sul territorio, ma con la testa ai grandi affari, soprattutto quelli relativi alle scommesse online. Una mafia ancora composta dai 4 mandamenti storici: Trapani, Alcamo, Castelvetrano e Mazara del Vallo, composti da 17 famiglie mafiose che si distinguono “per la notevole forza intimidatrice” – scrivono gli uomini della DIA.

La struttura della famiglie 

Una mafia sempre più in difficoltà a causa di arresti e confische, ma sempre pronta a risorgere dalla ceneri. Le posizioni di vertice dei mandamenti mafiosi di Trapani ed Alcamo – rileva ancora una volta la DIA – risultano stabilmente detenute da noti esponenti delle storiche famiglie mafiose con un sistema di successione quasi “dinastico”. Quella di Castelvetrano continua a fare riferimento al latitante più pericoloso d’Italia Matteo Messina Denaro. Ad Alcamo invece la reggenze della famiglia mafiosa si è tramandata nella famiglia Melodia e adesso, dopo la morte dell’ultimo storico padrino alcamese Ignazio “u dutturi” Melodia, la leadership è in bilico tra vecchi e nuovi capi che si fanno strada per riempire i posti lasciati vuoti.

Più dinamica appare la situazione del mandamento di Mazara del Vallo, la cui valenza negli equilibri di Cosa nostra è tradizionalmente rilevante avendo rappresentato nel passato una delle articolazioni mafiose più importanti per l’affermazione della leadership corleonese. A Mazara, infatti, la questione della reggenza sta attraversando una fase di transizione, non priva di tensioni, a seguito degli arresti avvenuti a conclusione delle operazioni “Anno Zero” ed “Eris”, che lo scorso anno avevano colpito i vertici del mandamento. A queste attività si aggiunge l’operazione “Scrigno”, conclusa a marzo 2019, che ha documentato l’esistenza e l’operatività anche sull’isola di Favignana di un’articolazione di Cosa nostra gerarchicamente dipendente dalla famiglia mafiosa di Trapani, il cui capo veniva messo a conoscenza di ogni controversia, per la conseguente composizione o risoluzione. Ma non solo. La fase di transizione deriva anche dalla morte dello storico capo mafia Mariano Agate, il boss condannato all’ergastolo per la strage di Capaci, per l’omicidio del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto e iscritto alla loggia massonica Iside 2 (così come risultava iscritto alla stessa loggia l’altro boss castellammarese Mariano Asaro).

Castellammare ancora “ponte” per l’America

La relazione del primo semestre del 2019 della DIA, presentata in Parlamento dal Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, cita anche il ruolo forte della città di Castellammare del Golfo nello scacchiere siciliano, ma soprattutto internazionale. Una città storicamente ritenuta “collante” tra la Sicilia e l’America. “Si rammenta come una delle cinque storiche famiglie mafiose operanti a New York sia originaria di un paese della provincia, Castellammare del Golfo. Pur in assenza di evidenze di specifici collegamenti in atto, – scrivono gli agenti della DIA – le attività investigative nella vicina Palermo, hanno fatto emergere rinnovati contatti tra Cosa nostra e le similari organizzazioni statunitensi”. La famiglia in questione è quella dei Bonanno, il cui grande capo è stato Joe “Banana” Bonanno, il potente boss della famosa “Guerra Castellammarese” scoppiata a New York nel 1930. Attualmente il reggente della famiglia Bonanno è Michael Mancuso, scarcerato nel marzo del 2019. L’ultima imponente operazione antimafia in cui si fa riferimento in maniera diretta ai legami tra la mafia castellammarese e americana risale al 2014, denominata “New Bridge”.

Ma nella città di Castellammare del Golfo ci sono anche altri scarcerati eccellenti, tornati in libertà dopo aver scontato la pena, coinvolti in varie operazioni antimafia: Crimiso, Tempesta, Cemento del Golfo e altre. Quelle citate sono soltanto alcune delle operazioni antimafia contro la locale famiglia mafiosa messe a segno recentemente da Carabinieri, Polizia e Finanza. Gli ultimi scarcerati in ordine cronologico sono Mariano Asaro (con obbligo di dimora a Dattilo) e Mariano Saracino. Sempre nella città di Castellammare è tornato anche il figlio di don Tano Badalamenti, Leonardo.

Ma il riferimento nella relazione della DIA alla città di Castellammare come “collante” con l’America, sembrerebbe anche quello relativo all’ultima operazione antimafia che ha portato in carcere il boss di Sciacca Accursio Dimino. Infatti è emerso il ruolo centrale di alcuni uomini di Castellammare, soprattutto di quelli emigrati negli States, nel portare avanti gli interessi di Cosa nostra anche della provincia di Agrigento.

Il ruolo centrale  della città di Castellammare nelle dinamiche mafiose emerse anche nel 2002 dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè: “…Trapani e in particolare il paese di Castellammare del Golfo rappresentano una delle zone più forti della mafia, non solo perché la meno colpita dalle forze dell’ordine, ma soprattutto perché punto di riferimento non solo di traffici normali, come droga e armi, ma anche luogo dove si incontrano alcune componenti che girano attorno alla mafia. È un punto di incontro della massoneria, ma anche per i servizi segreti deviati”.

La cocaina torna centrale 

“Le strutture mafiose della provincia di Trapani, non sembrano generalmente ricercare proiezioni esterne a livello nazionale e internazionale, nonostante gli storici legami con Cosa nostra americana e con articolazioni della camorra e della ‘ndrangheta” – si legge nella relazione. Tuttavia nel primo semestre dello scorso anno si è registrata un’attività investigativa che ha messo in evidenza la capacità dell’organizzazione mafiosa trapanese di operare anche in campo internazionale. Infatti, la Squadra Mobile di Trapani, nel corso di un’indagine finalizzata all’individuazione di un latitante mazarese (poi catturato nel corso del semestre successivo), affermatosi nel traffico di cocaina con funzioni di broker operante tra il nord Europa e il sud America, documentava come lo stesso avesse organizzato e stesse coordinando, dalla Bolivia, una spedizione marittima di un grande quantitativo di cocaina dal Perù all’Australia. L’intervento delle Autorità francesi nelle acque della Polinesia, promosso dall’Italia, ha consentito nel maggio dello scorso anno di sequestrare 436 kg di droga e di arrestare i due skipper di una barca a vela e un altro soggetto originario di Mazara del Vallo, conosciuto per essere stato in contatto, in passato, con esponenti mafiosi ed un peruviano. La cocaina, quindi, sembra essere ancora un mercato di primaria importanza per la mafia trapanese.

In conclusione, la figura della primula rossa Matteo Messina Denaro, a capo del mandamento di Castelvetrano e al vertice della mafia trapanese, costituisce ancora il principale punto di riferimento per le questioni di maggiore interesse dell’organizzazione, nonostante la lunga latitanza. “U siccu” risulta quindi ancora il capo indiscusso della mafia trapanese. Infatti in diverse operazioni è emerso il suo ruolo di “mediatore” per evitare conflitti, nell’ottica di continuità con la stagione della sommersione avviata dal boss Bernardo Provenzano. “Benché il boss continui a beneficiare di un diffuso sentimento di fedeltà da parte di molti membri dell’organizzazione mafiosa trapanese, – scrivono dalla DIA – non mancano segnali di insofferenza da parte di alcuni affiliati per una gestione di comando difficoltosa per via della latitanza che tende a riverberarsi negativamente tralasciando le questioni importanti per gli affari dell’organizzazione”. Messina Danaro, in attesa del suo “tramonto” definitivo, quindi, resta ancora il capo indiscusso della mafia trapanese.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.