Il ricordo di mamma Felicia che sfidò la mafia: “Il suo coraggio è ancora simbolo per tutte le donne”

15 anni fa la scomparsa di mamma Felicia, la donna che sfidò la potente mafia di don Tano Badalamenti. A Cinisi sulle orme di Peppino e Felicia la casa è ancora aperta e accoglie ogni giorno giovani da ogni parte d’Italia

CINISI. A “Casa Memoria” Felicia e Peppino Impastato di Cinisi è un via vai di giovani, amici, attivisti, parenti, che non hanno dimenticato Felicia. Quella donna minuta, ma forte come una roccia. Con coraggio ha affrontato la mafia e la sua stessa famiglia per arrivare alla verità sull’uccisione del figlio Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978. Ucciso e fatto saltare in aria sui binari della linea Palermo Trapani.

La sua immensa forza è diventata famosa al pubblico italiano e internazionale grazie alla pellicola diretta da Marco Tullio Giordana “I 100 passi” che ha ripercorso tutta la storia di Peppino Impastato, giornalista e militante di Democrazia Proletaria.

Nei giorni scorsi, in occasione delle iniziative per il quindicesimo anniversario dalla scomparsa di Felicia Bartolotta Impastato, a Cinisi si sono svolte una serie di giornate di memoria, riflessione, condivisione e impegno a lei dedicate.

La lotta in casa

Il marito Luigi era un mafioso della famiglia di Cinisi, guidata dal boss Tano Badalamenti che prese il posto del vecchio capo bastone Cesare Manzella. Quel boss che verrà chiamato da Peppino e dai suoi compagni “don Tano Seduto grande capo di Mafiopoli” nelle trasmissioni di Radio Aut.

La lotta di Peppino divenne presto la lotta di Felicia. Lei, donna dal grande coraggio, quotidianamente si ritrova contro quel marito che non riconosce più e difende il figlio, anche quando il padre lo caccia fuori di casa. Si trova tra due fuochi fino alla morte del marito in un incidente stradale molto “sospetto”. Da lì Felicia intuisce che Peppino rischiava la vita. Il padre era una forma di “garanzia” sulla vita di Peppino. Pochi mesi dopo, il 9 maggio 1978, la tragica uccisione del figlio.

La verità nonostante tutto

Felicia non si arrende. La morte di Peppino non ferma la sua lotta. Anzi, da quel momento continua anche per lui. Questa piccola grande donna diventa subito un simbolo al femminile nella lotta alla mafia. Fino alla fine dei suoi giorni ha aperto le porte della sua casa per raccontare la storia di Peppino. Si è schierata parte civile contro il boss Badalamenti, ha testimoniato in Tribunale contro chi aveva ordinato l’omicidio del figlio. Non ha esitato guardando negli occhi i mafiosi che conosceva bene. Felicia non avrebbe mai immaginato di diventare un simbolo per tutte le donne che oggi combattono la mafia. Lei l’ha fatto nella sua città, dalla sua casa. Negli anni in cui di mafia non si parlava per paura.

La sfida al boss Badalamenti

Felicia, da quel maledetto 9 maggio 1978, non ha mai spesso di cercare verità e giustizia per il figlio Peppino, sfidando la potente mafia stragista dei corleonesi. La mafia di don Tano. Un boss specializzato nel traffico di eroina con legami importanti anche in America. Felicia al figlio Giovanni dirà: “Tu non devi parlare. Fai parlare me, perché io sono anziana, la madre, insomma non mi possono fare niente, a te si”. Una forza straordinaria quella di Felicia. Le consigliavano di non frequentare i compagni di Peppino, i giornalisti, e di lasciare stare la giustizia. Ma lei non si tirò indietro. Testimoniò in Tribunale e aprì le porte di casa sua ai giovani, fermando tutti quelli che passavano per il corso principale di Cinisi per parlare di Peppino.

La sentenza di Condanna all’ergastolo per don Tano “Toro seduto” Badalamenti arrivò nel 2002. Dopo anni di lotte, Felicia ha vinto nel nome di Peppino. Prima della condanna di don Tano il caso di Peppino Impastato fu archiviato due volte, nel 1984 e nel 1992. Ma Felicia non ha mai smesso di credere nella giustizia, ottenendo verità per quell’omicidio per troppo tempo dimenticato e archiviato come “atto terroristico”.

Il boss Badalamenti, l’uomo della Pizza Connection,  morì 2 anni dopo in un carcere americano. La sua casa, distante 100 passi da quella di Peppino, oggi è stata confiscata e affidata all’associazione che porta il nome di Peppino, oltre ad essere sede della Biblioteca Comunale. Da luogo simbolo del potere mafioso di Cinisi, a luogo di cultura per i giovani. Gli eredi di don Tano Badalamenti da Cinisi sono andati via: il figlio Vito, inserito nel 2002 nell’elenco dei 10 latitanti più pericolosi e poi rimosso nel 2012, oggi è un’uomo libero e potrebbe anche far rientro a Cinisi. L’altro figlio, Leonardo, è tornato in Italia dal Brasile dove venne arrestato e poi scarcerato nel 2009 nell’operazione “Mixer-Centopassi”. Oggi vive a Castellammare del Golfo con il figlio Gaetano (omonimo del boss) e l’anziana madre, Teresa Vitale, moglie di don Tano Badalamenti. Per Leonardo, che in Brasile si faceva chiamare Carlos Massetti, vige ancora il divieto di raggiungere la città di Cinisi, ma presto potrebbe anche tornare in città. Intanto vive da libero cittadino a Castellammare del Golfo.

Il ricordo del figlio Giovanni

Il figlio Giovanni, fratello di Peppino, oggi ricorda la madre come una donna dalla straordinaria forza. “È stata considerata una donna ribelle, complice del figlio. È vero, oggi rappresenta un simbolo positivo nel panorama femminile. – ha affermato Giovanni Impastato ad Alqamah.it – È andata contro la sua stessa famiglia e suo marito, non lasciando da solo il figlio. Mia mamma ha sicuramente anticipato i tempi, seguendo le orme del figlio in un momento in cui lo Stato faticava a riconoscere Peppino come una vittima innocente di mafia. Felicia però fino in fondo si è aggrappata a quelle Istituzioni sane che hanno portato alla verità. Oggi la ricordiamo per il suo immenso coraggio, la sua umiltà e la sua razionalità. Fino al giorno della sua morte ripeteva sempre la stessa cosa: “Casa Memoria non deve chiudere”. E noi siamo ancora qua, per Peppino e per mamma Felicia”.

Giovanni, che in questi anni ha portato la storia del fratello e della madre in giro per l’Italia,  ancora oggi gestisce la Pizzeria di famiglia a Cinisi, diventata negli anni anche un presidio di legalità. Nei giorni scorsi ha subito un grave attentato incendiario. Un attentato che lui stesso definisce inquietante, perché vuol dire che quella pizzeria dà ancora fastidio. “Un incendio che ci ha messo chiaramente in difficoltà, ma non molliamo. In quella pizzeria abbiamo avuto come ospiti Roberto Saviano, Giancarlo Caselli, Pietro Grasso, il giudice Borsellino, era un simbolo di legalità e lo sarà ancora. Noi chiediamo l’aiuto delle Istituzioni per continuare a lavorare. La pizzeria deve riaprire al più presto. Quello che mi preme maggiorente oggi è garantire l’occupazione agli 8 dipendenti che in questo momento aspettano con ansia.”

L’eredità morale e culturale di Felicia

“Felicia ci ha lasciato una bella eredità: ci ha chiesto di tenere le porte di questa casa sempre aperte per accogliere tutti, soprattutto i giovani. – ha raccontato Giovanni Impastato ad Alqamah.it – Noi stiamo continuando proprio in questa direzione, trasmettendo il pensiero di Peppino alle nuove generazioni. Un pensiero non solo di lotta e di impegno civile, ma soprattutto educativo. Casa Memoria esiste proprio per volontà di Felicia e rappresenta la sua eredità per tutta la collettività. Cinisi – ha sottolineato Giovanni Impastato – in passato non ha saputo interpretare al meglio questo messaggio, ma le cose negli anni sono molto cambiate. Proprio in occasione di questo 15° anniversario dalla scomparsa di mia madre abbiamo accolto in questa casa tantissimi giovani di Cinisi e non solo. Noi giriamo molto le scuole per incontrare gli studenti, sicuramente sono segnali importanti di cambiamento. Sono però processi lunghi e ogni giorno bisogna insistere e lavorare in questa direzione”.

“Ci ha lasciato un’importante eredità morale che riguarda principalmente “Casa Memoria”: cioè portare avanti la il ricordo di Peppino trasmettendo i suoi messaggi educativi e culturali ai giovani . Ai ragazzi che incontro qui a “Casa Memoria” – ha aggiunto ad Alqamah.it Luisa Impastato, figlia di Giovanni – dico sempre di utilizzare la cultura come strumento principale di opposizione alla mafia, per poter essere responsabili, consapevoli e soprattutto liberi. Questo fondamentalmente rappresenta l’eredità morale di nonna Felicia”.

Il cammino sulle orme di Peppino e Felicia

“Proprio oggi (ieri, ndr) è successa una cosa molto importante e per niente scontata: si è inaugurata una casa destinata alla consulta giovanile in un bene confiscato alla mafia in cui lavoreranno sinergicamente tutte le realtà giovanili della città. – ha raccontato ad Alqamah.it Luisa Impastato – Hanno voluto inaugurarla proprio il 7 dicembre. Penso sia davvero un segnale importante per la città, un nuovo inizio anche in discontinuità rispetto al passato. Mia nonna ha avuto come interlocutori proprio i giovani, per questo un’iniziativa del genere rivolta alle nuove generazioni di Cinisi non può che essere un importante segnale anche in memoria di mia nonna Felicia. ”

Il messaggio di Felicia oggi è diventato universale, ha oltrepassato i confini di Cinisi, della Sicilia e dell’Italia intera. “Noi accogliamo centinaia di studenti delle scuole provenienti da tutta Italia ogni giorno, ai quali non raccontiamo soltanto la storia di Peppino, ma anche quella di Felicia: una storia di coraggio, resistenza, forza, anche per il fatto di essere una donna, che rappresenta un elemento in più ancora oggi. Un messaggio al femminile forte che penso abbia aiutato molte donne in Italia a portare avanti determinare battaglie.

Personalmente – ha aggiunto Luisa Impastato – raccontare la storia di Felicia e Peppino è un dovere morale, ma soprattutto una grandissima responsabilità. Da Presidente di “Casa Memoria”, ma soprattutto da nipote di Felicia e Peppino perché è una storia che non ho vissuto in prima persona, ma ho appreso soltanto dai racconti di nonna e papà”.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.