Le condanne di “Pionica”

Le indagini dei Carabinieri e della Dia di Trapani hanno sgominato il tentativo mafioso di riprendere il controllo delle campagne                di Riccardo Lo Verso *

Nove anni ciascuno di carcere per Vito e Roberto Nicastri. È pesante la condanna inflitta in abbreviato ai due fratelli imputati di concorso esterno in associazione mafiosa. Il giudice per l’udienza preliminare di Palermo Filippo Lo Presti ha condannato anche Melchiorre Leone (9 anni e 4 mesi), Girolamo Scandariato (6 anni e 8 mesi). Assolti Giuseppe Bellitti (era imputato per mafia, assistito dagli avvocati Raffaele Bonsignore e Vito Di Graziano), Vincenzo, Maurizio e Antonino Asaro (imputati di favoreggiamento). I mafiosi, così ricostruirono i carabinieri del Nucleo investigativo di Trapani, del Raggruppamento operativo speciale e gli agenti della della Dia, erano diventati imprenditori. Differenziavano gli affari: dalla produzione di legnami alla ristorazione. Vito Nicastri, conosciuto come “il signore del vento” per i suoi investimenti nell’eolico e a cui sono stati già confiscati beni per oltre un miliardo di euro, finì in carcere insieme ai mafiosi Michele Gucciardi, Salvatore Crimi, Gaspare Salvatore Gucciardi, Vito Gucciardi che hanno scelto il rito ordinario. Sono i boss che guiderebbero le famiglie mafiose di Salemi e Vita, storiche alleate dell’inafferrabile Matteo Messina Denaro che ne avrebbe goduto dell’appoggio economico nell’arco della sua lunga latitanza. Secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido e i sostituti Gianluca De Leo e Giacomo Brandini, i Nicastri avrebbero messo le loro aziende a disposizione per gli affari sporchi dei boss trapanesi. “Dottore come minchia ragiona secondo lei viene da Palermo e si fotte cento ettari di terreno… chi la manda?”. Comincia così, con le minacce che avrebbe ricevuto, il racconto che ha fatto saltare l’affare fiutato dai boss. Erano già riusciti ad aggiudicarsi all’asta, tramite alcuni imprenditori compiacenti, una tenuta di Giuseppa Salvo ed avevano messo gli occhi sulle proprietà del marito, Antonio Maria Salvo, nipote di Ignazio, l’esattore mafioso di Salemi. Nel caso della moglie fu Roberto Nicastri a comprare i terreni per 138 mila euro. Poi avrebbero costretto la donna a ritirare una richiesta di espianto dei vigneti, facendo schizzare il valore a 530 mila euro con i diritti di reimpianto. Il tutto grazie alla partecipazione della Vieffe Agricola di San Giuseppe Jato dei cugini Leonardo Ficarotta e Paolo Vivirito. I cento ettari di Antonio Maria Salvo si trovano in contrada Sant’Egidio a Mazara del Vallo. L’unica offerta presentata in Tribunale – i Salvo sono sommersi dai debiti – fu quella dell’imprenditore palermitano che, dopo una iniziale ritrosia, ha raccontato la sua versione: “Dopo aver espletato le varie incombenze, io e mio padre, lasciammo lo studio del notaio Salvo rendendoci subito conto che per le scale alcune delle persone presenti nello studio del notaio ci stavano seguendo; si trattava, in particolare, di due individui maturi dell’età apparente compresa tra i cinquanta ed i sessanta anni, un ragazzo più giovane ed una signora dall’aspetto distinto”. La minaccia proseguì: “Giunti per strada, a ridosso dell’ingresso dello studio notarile, le due persone più mature ci raggiunsero ed uno dei due, il più anziano, mi afferrò per il braccio”. E pronunciò la frase minacciosa. Poi capirono “che si trattava del proprietario del terreno andato all’asta, “un certo Salvo Antonio”. Solo successivamente è emerso che nel 2013 aveva ricevuto la visita dell’agronomo Melchiorre Leone che voleva comprare i terreni. Anche quel tentativo andò a vuoto. Dietro ci sarebbe stata la regia del boss di Salemi, Michele Gucciardi.  Per Vito Nicastri i guai giudiziari non sono finiti. Il 18 dicembre inizierà il processo per il giro di mazzette alla Regione che ha per protagonista anche Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia e consulente della Lega. A Roma è finito sotto inchiesta l’ex sottosegretario leghista Armando Siri, accusato di corruzione.
*fonte LiveSicilia.it
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