Mare Jonio, intervista alla portavoce Alessandra Sciurba: “Rimettere al centro la vita e la dignità delle persone”

50 persone salvate dalla “Mare Jonio”e l’indagine della Procura. Parla la portavoce Alessandra Sciurba: “Inchiesta utile per fare chiarezza. La Libia non è un porto sicuro, sui corpi dei migranti evidenti segni di torture”. Intanto la nave ieri è stata dissequestrata 

Foto Mich Seixas mediterranearescue.org

La Mare Jonio, nave italiana del progetto “Mediterranea Saving Humans” attualmente ormeggiata al porto di Lampedusa, è stata dissequestrata ieri pomeriggio dopo dieci giorni dal “sequestro probatorio” voluto dalla Procura della Repubblica di Agrigento. Indagati, con l’accusa di concorso in favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il Comandante Pietro Marrone e il Capo Missione Luca Casarini. Quest’ultimo verrà interrogato nei primi giorni della prossima settimana. Le indagini sono coordinate dal Procuratore Luigi Patronaggio.

Casarini è già stato sentito a Lampedusa dal Procuratore aggiunto Salvatore Vella e dal Pubblico Ministero Cecilia Baravelli. Dopo l’interrogatorio di Casarini dei giorni scorsi, si apprende dall’ adnkronos, l’iscrizione sul registro degli indagati con l’accusa, in concorso con Marrone, di aver violato l’articolo 1099 del codice della navigazione, ovvero di aver disobbedito all’ordine della Guardia di Finanza di spegnere i motori. Per la stessa vicenda è stato sentito nelle ore successive allo sbarco a Lampedusa anche il Comandante Marrone.

Una vicenda, come per il caso Diciotti e Sea Watch, che ha diviso il Governo Giallo-Verde e continua a creare divisioni e spaccature nel Paese. Il dibattito politico, acceso e ridondante, però, continua a perdere di vista il tema delle vite umane.

La Mare Jonio ha soccorso in mare, lo scorso 18 marzo, 50 persone su un gommone in avaria a 42 miglia dalle coste libiche. La segnalazione era arrivata dall’aereo di ricognizione Moonbird della ong Sea Watch che avvertiva di una imbarcazione alla deriva in acque internazionali. La Mare Jonio è una nave “giovane”, inaugurata l’anno scorso, che ha come unica missione “il monitoraggio del mediterraneo per evitare morti in mare”. Oggi la nave, dopo il sequestro probatorio finalizzato ad acquisire elementi utili alle indagini, è stata dissequestrata in quanto “non sussistono più le ragioni che giustificherebbero il sequestro della nave”. Ne abbiamo parlato con la portavoce di “Mediterranea”, la Dott.ssa Alessandra Sciurba.

Partiamo da quel 18 marzo: Un gommone alla deriva e 50 persone da salvare. La prima critica che vi è stata avanzata: “perché non li avete riportati in Libia”?

Foto Mich Seixas mediterranearescue.org

“Perché avremmo violato una decina di convenzioni internazionale a tutela dei diritti umani. In Libia le persone vengono torturate, vendute, stuprate e rimesse nelle mani dei trafficanti. Esiste il principio di refoulement (non respingimento), un principio fondamentale del diritto internazionale contenuto nella Convenzione di Ginevra. Questo principio ci dice che un rifugiato non può essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate (il divieto si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver quest’ultima formalizzato o meno una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento, ndr). Tra l’altro l’Italia è già stata condannata nel 2012 dalla Corte Europea dei Diritti Umani per aver riportato in Libia su motovedette italiane delle persone. Non riportandole in Libia abbiamo ubbidito al diritto internazionale. Comunque nessuno ci ha ordinato di farlo, né i libici né il centro di coordinamento. Ma una cosa è sicura: le persone non possono essere riportate in Libia.

In sostanza la Libia non è il cosiddetto “porto sicuro” più vicino.

Alessandra Sciurba, foto Facebook

“Esattamente. Basta guardare il rapporto del dicembre 2018 dell’Onu oppure l’ultimo di Medici Senza Frontiere su quello che succede nei centri libici. Le immagini delle torture sistematiche subite dalle persone sono state diffuse recentemente anche dalla rete televisiva britannica Channel 4. Tra l’altro lo stesso sito della Farnesina ci dice di non andare in Libia perché ritenuto Paese altamente pericoloso”.

 È un paradosso Italiano.

“È un paradosso internazionale che ci sia una zona SAR (Search and Rescue) in cui i libici possono coordinare il soccorso pur non avendo un porto sicuro, questo è un grande paradosso del diritto internazionale. Le zone SAR vengono auto attribuite dai Paesi, l’unico luogo in cui si può contestare l’auto attribuzione è il Tribunale Internazionale del diritto del mare di Amburgo, ma può sollevare la questione soltanto uno Stato. Nessuno Stato in questo momento ha interesse a farlo”.

L’Italia in questi ultimi anni ha firmato degli accordi con la Libia. Sono stati dati strumenti e motovedette come “argine” all’immigrazione.

“Questi accordi firmati nel 2017 dal precedente Governo sono sicuramente molto gravi. Perché di fatto hanno dato a un Paese in mano alle milizie para militari la delega di gestione della vita e della morte di centinaia di migliaia di persone. Tutto questo se non sarà giudicato da un tribunale del presente sarà sicuramente giudicato dal tribunale della storia.”

Foto Mich Seixas mediterranearescue.org

Tornando al 18 marzo. Quali sono state le prime parole dei migranti una volta a bordo?

“Erano molto spaventati. Alla fine del soccorso, quindi una volta a bordo della Mare Jonio, sono arrivati i libici. Erano paralizzati dal terrore. La gioia di essere stati salvati da noi italiani si è tramutata in terrore nel momento in cui hanno visto la motovedetta libica. Sono riusciti a calmarsi solo quando sono andati via. Per chi passa dalla Libia non c’è incubo più grande che tornare lì a subire torture o a morire. Hanno parlato poco con noi, erano esausti e lo sbarco alla fine è stato rapido. Abbiamo visto nei loro occhi il terrore, i discorsi non si sono concentrati sui motivi della loro fuga dal Paese d’origine, ma sull’orrore vissuto nei centri di detenzione in Libia. Quel terrore ce l’avevano ancora vivo negli occhi.”

Avevano segni sul corpo?

“Si, molti di loro portavano dei segni evidenti sul corpo, compatibili con le storie che raccontavano”.

Alcuni di loro avevano già tentato la fuga verso l’Europa.

Alessandra Sciurba, foto Facebook

“Esattamente. Questo ormai succede quasi a tutti. Si è creato un sistema per cui le stesse persone diventano vittime di tratta all’infinito. Cioè prima o morivi in mare o arrivati al porto, adesso invece o muori in mare o vieni catturato e riportato indietro. E tutto ricomincia da capo: torture, denaro estorto alle famiglie ecc. C’è una continuità tra la cattura in mare da parte della cosiddetta guardia costiera libica e il traffico di esseri umani.”

Sulla strada del ritorno a Lampedusa l’ordine di “spegnere i motori”. Perché non avete ubbidito all’alt della Guardia di Finanza?

“Qualcuno ha fatto il paragone con il “blocco stradale”, ma è ridicolo. In autostrada non ci sono onde alte 2 metri e mezzo. Fermare i motori di un rimorchiatore di 41 anni in mezzo al mare in tempesta vuol dire mettere a rischio la sicurezza di tutte le persone a bordo. Il Comandane di una nave ha come primo obbligo la tutela di tutte le persone a bordo, per questo motivo era un obbligo che non poteva essere rispettato. Tra l’altro subito dopo alla Mare Jonio veniva dato un punto di fonda a 300 metri da Lampedusa, per condizioni meteo avverse. Quindi mi pare evidente che non si potevano spegnere i motori. Nel momento in cui c’è stato dato il punto di fonda abbiamo accolto immediatamente la Guardia di Finanza a bordo e abbiamo collaborato durante la loro ispezione. Per noi non c’era nessun problema all’ispezione delle Fiamme Gialle, ma la priorità era mettersi in sicurezza. Quell’alt, quindi, era un ordine impossibile da rispettare in quel momento.”

Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini immediatamente disse, con un tweet, “porti chiusi”. Ma il diritto internazionale non lo prevede …

“No. E neanche il codice della navigazione italiana che all’articolo 83 spiega chiaramente che è il Ministro delle Infrastrutture che può, per motivi di pubblica sicurezza, per ragioni ambientali, di salute ecc., impedire l’ingresso di una nave. Non il Viminale. Ma deve essere un provvedimento scritto e motivato. Niente di tutto questo è mai accaduto. Diciamo che “porti chiusi”, ad oggi, è solo un hashtag”.

Avete avuto la sensazione di “un nuovo caso Diciotti”?

Foto Mich Seixas mediterranearescue.org

“La nostra missione è monitorare e denunciare le violazioni dei diritti umani senza mai sottrarsi all’obbligo etico e giuridico di salvare persone che hanno bisogno. Quando ci si trova a dover salvare delle persone si pensa soltanto a portarle al sicuro, come impone il diritto. Siamo in un mondo al rovescio in cui si viene criminalizzati per aver salvato delle persone. Per noi la cosa importante è soltanto questa: portare le persone salvate in un porto sicuro. Noi rispettiamo il diritto e ci auguriamo che anche i Governi lo rispettino. Noi non abbiamo nessuna immunità, ci prendiamo le responsabilità delle nostre azioni fiduciosi nel fatto che alla fine la verità prevalga. Siamo profondamente convinti del nostro operato dal punto di vista etico, ma soprattutto giuridico”.

La nave ieri è stata dissequestrata della Procura di Agrigento. Voi avete dichiarato che l’indagine “sarà utile per fare chiarezza”, in che senso?

“Esatto. Siamo convinti che finalmente un’indagine farà chiarezza. Perché alla propaganda politica preferiamo gli atti. Quest’inchiesta sarà un precedente giudiziario importante. Attualmente gli indagati sono due, il nostro Comandante e il Capo Missione. Quest’ultimo verrà sentito nei prossimi giorni e sarà un interrogatorio che avrà lo stesso spirito di quello del Comandante Marrone, cioè totalmente collaborativo. Per noi è fondamentale collaborare al massimo per arrivare alla verità. Ieri pomeriggio intanto è stato notificato al Comandante della nave il Decreto di dissequestro. Un atto di giustizia che sgombra il campo, senza ombra di dubbio, dalle letture della vicenda diffuse nell’ultima settimana da certa propaganda politica”.

Il progetto Mediterranea però non si ferma con questa indagine, è corretto?

Foto mediterranearescue.org

“Il nostro progetto abbraccia la terra e il mare. Abbiamo un equipaggio di terra che si è mobilitato con diverse iniziative sul territorio. Perché l’obiettivo principale di Mediterranea è ricostruire, insieme a tutte le persone che in questi anni così difficili hanno perso la voce, una rotta dell’umanità. Cioè un percorso collettivo, ampio, plurale, trasversale, che rimetta al centro il valore della vita e della dignità di tutte le persone. Un percorso che disveli la strumentalizzazione delle migrazioni per creare divisioni e falsi problemi. Andare in mezzo al mediterraneo per noi ha significato anche riprendere voce per dire che la vita e la dignità delle persone vengono prima di tutto e che bisogna ricominciare a rimettere al centro i diritti. È molto pericoloso quando passa il messaggio che per avere più diritti bisogna toglierli agli altri. Per questo motivo il progetto Mediterranea non si ferma qui”.

Cosa vi preoccupa in questo momento?

“In questo momento siamo molto preoccupati perché non ci sono navi della società civile in mare. La Mare Jonio, fino a ieri ormeggiata sotto “sequestro probatorio” nel porto di Lampedusa, può finalmente riprendere la navigazione. Abbiamo ricevuto alcuni giorni fa la notizia di un gommone in mare con 41 persone a bordo, partito da Sabratha. L’idea che ci siano queste persone che vagano in mare, con tutte le navi della società civile ferme, fa male. Perché in mare si muore o si viene riportati in Libia. E tutto questo accade nel silenzio e senza testimoni. È la cosa che ci preoccupa di più in questo momento. Per noi la necessità di tornare in mare a svolgere la nostra missione di tutela dei diritti umani nel mediterraneo, appare più urgente che mai”.

Nel nostro Paese un tema così delicato sembra essersi ridotto a “mero tifo da stadio”, soprattutto sui social. Con la conseguente “disumanizzazione di una parte di società”. Lei è d’accordo?

Alessandra Sciurba, foto Facebook Mediterranea Saving Humans

“Diciamo di si, è una sensazione che abbiamo avuto. Abbiamo oltrepassato una linea di non ritorno, dove tutto è possibile. E diventa difficile anche parlare di diritti. La vita sembra non avere più un valore. Così andiamo soltanto verso una società della paura e del rancore. La percezione, quindi, è proprio quella che ha detto lei. E l’idea di Mediterranea va proprio nella direzione opposta, cioè un’azione concreta che è anche una metafora molto grande, poter dire che c’è ancora un alternativa e una nuova rotta. Siamo davvero felici dell’amore, dell’affetto e del sostegno che molti hanno manifestato nei nostri confronti fin dal primo giorno. Grazie al crowdfunding abbiamo raccolto oltre 600 mila euro in soli quattro mesi, e sono soltanto piccole donazioni: parrocchie, circoli culturali, associazioni, semplici cittadini, che volontariamente contribuiscono a questo nostro grande progetto. Questa è Mediterranea: una piattaforma di associazioni e singoli cittadini davvero enorme, composta da realtà diverse e molto belle.”

È stato detto che la Mare Jonio è “la nave dei centri sociali”.

“Hanno tentato di semplificare dicendo “la nave dei centri sociali”, perché chiaramente fa paura, in un momento come questo, la bellezza, la poesia, la ricchezza culturale di una nave che tiene insieme così tante differenze sotto un’unica idea: mettere al centro la vita e la dignità delle persone in un momento in cui sono continuamente calpestate”.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.