La mafia dei “camaleonti”

Cosa ci dice la relazione della DIA presentata in Parlamento? Un mafia colpita da arresti e confische, ma che continua a mantenere la sua natura violenta e affaristica

Dalla relazione del primo semestre del 2018 della DIA (gennaio – giugno), emerge ancora una volta una forte presenza della mafia trapanese sul territorio, la stessa di sempre. Una mafia che mantiene la propria natura ed è capace di monopolizzare la gestione delle più remunerative attività illegali e condizionare in modo consistente il contesto socio-economico dell’intero territorio provinciale. La mafia trapanese mantiene la sua suddivisione in mandamenti (composti in totale da 17 famiglie mafiose): Trapani, Alcamo, Mazara del Vallo e Castelvetrano. Quest’ultimo è territorio indiscusso del pericoloso latitante Matteo Messina Denaro, che resta a capo della provincia, scollandosi dal territorio palermitano che per il “dopo-Riina” ha scelto di ricostituire la Cupola provinciale e nominare il nuovo capo, indicato dagli inquirenti nell’operazione “Cupola 2.0” nel vecchio boss Settimo Mineo.

La mafia trapanese continua ad avvalersi  degli ormai rodati modelli operativi, caratterizzati dalla forza dell’intimidazione e dall’impiego di professionisti e soggetti insospettabili, quella cosiddetta zona grigia formata dai colletti bianchi. In particolare professionisti, con ombre anche nella massoneria deviata. Non più una piovra come siamo abituati a vederla, ma piuttosto una mafia camaleontica con un occhio ai nuovi affari. Una green mafia, a passo con i tempi, ma che mantiene intatte le sue radici sporche di sangue. Scommesse online, cemento, intimidazioni, green economy, grande distribuzione.

L’incessante attività si contrasto messa in campo dallo Stato ad oggi non è ancora bastata per “stanare” u siccu. Ma su questo fronte continuano le operazioni mirate all’abbattimento del muro di omertà e del reticolo di protezione di cui lo stesso gode da decenni. Tantissimi sono stati i provvedimenti restrittivi, i sequestri e le confische, ma nonostante tale pressione, l’organizzazione criminale non presenta segnali di cambiamento organizzativi, strutturali o di leadership. “La struttura – si legge nella relazione della DIA – continua a mantenere la tradizionale unitarietà e gerarchia, disciplinata da regole vincolanti, che le consentono di rimanere fortemente ancorata al territorio d’origine. Strategie tuttora ispirate dal latitante Castelvetranese, il quale continuerebbe a ricoprire, sebbene con progressiva difficoltà, il duplice ruolo di capo del mandamento di Castelvetrano e di rappresentante provinciale di Cosa nostra”.

La pericolosità della mafia trapanese, quindi, continua a manifestarsi anche attraverso le consuete condotte estorsive in danno di imprenditori e commercianti, spesso accompagnate da danneggiamenti ed atti intimidatori di vario genere. Una modalità che resta ancora tra le principali delle famiglie mafiose trapanesi. “Mafia e cemento” è un binomio consolidato in questa provincia, come evidenziato dalle recenti operazioni antimafia.

“Dagli esiti delle recenti attività d’indagine, – continua la relazione della DIA – è emerso che Cosa nostra trapanese, oltre che nei tradizionali comparti economici (quali il movimento terra, le costruzioni edili, la produzione di conglomerati bituminosi e cementizi, con particolare attenzione agli appalti e subappalti pubblici, nonché la grande distribuzione alimentare e la produzione di energie alternative), si è significativamente infiltrata nel settore delle scommesse e dei giochi on-line, nonché nel business delle aste giudiziarie legate a procedure esecutive e fallimentari, potendo far leva sul capillare controllo del territorio con il tradizionale e sistematico ricorso all’intimidazione e all’assoggettamento”.

La relazione cita alcune delle operazioni che hanno inferto un duro colpo a Cosa nostra trapanese. Come l’operazione denominata “Pionica”, che portò in manette anche l’imprenditore alcamese Vito Nicastri accusato di aver favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro con ingenti somme di denaro. Le indagini hanno approfondito, tra l’altro, le infiltrazioni di Cosa nostra trapanese negli investimenti immobiliari relativi a terreni agricoli posti all’asta nell’ambito di procedure esecutive.

E ancora l’operazione congiunta di Carabinieri e Polizia denominata “Anno Zero”, che portò sotto indagine 22 soggetti, indagati a vario titolo per associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi ed intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle modalità mafiose. Tra i destinatari del provvedimento restrittivo figurano il latitante Matteo Messina Denaro e due suoi cognati, uno dei quali investito del ruolo di reggente del mandamento di Castelvetrano. Tra gli indagati anche un imprenditore di Castelvetrano operante nel settore dei giochi on-line.

“Le indagini – si legge nella relazione – hanno, altresì, rivelato l’esistenza, in seno al mandamento di Castelvetrano, di accese interlocuzioni tra esponenti della famiglia di Campobello di Mazara e quella di Castelvetrano, per porre fine a tali discussioni si sarebbe resa necessaria la forte presa di posizione del cognato di Matteo Messina Denaro”. Tale scenario, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto da sfondo anche ad un omicidio avvenuto a Campobello di Mazara nel 2017. Quindi è “tangibile” la presenza del latitante, chiamato in causa per fare da paciere ed evitare faide interne. Una mafia, quindi, intenzionata a mantenere la strategia della sommersione, inaugurata da Bernardo Provenzano, ma si tratta di una sommersione alla “luce del sole”, vista la disponibilità di armi e quindi la possibilità di intervento mano militare.

Dalla medesima indagine emergono anche i tradizionali “pizzini” che testimonierebbero, ancora una volta, insieme ad una serie di conversazioni intercettate, la “presenza” del latitante sul territorio. “Grazie all’indagine “Anno Zero” – continua la relazione semestrale – è stato dimostrato come il latitante castelvetranese sia ancora oggi l’unico soggetto a cui è necessario rivolgersi per dirimere controversie interne al sodalizio mafioso. Lo stesso, al fine di assicurarsi il costante controllo delle attività illecite e dei relativi proventi, sembra ancora prediligere appartenenti alla propria cerchia familiare, o comunque persone a lui vicine, nei ruoli di vertice dell’organizzazione mafiosa”. Confermata, quindi, la fedeltà dei membri dell’organizzazione nei confronti del latitante.

“L’attività investigativa – continua la DIA – ha anche documentato l’interesse di Cosa nostra per il remunerativo settore dei giochi e delle scommesse on-line. È stato, infatti, dimostrato come l’espansione di una rete di oltre 40 agenzie di scommesse e punti gioco facenti capo ad un giovane imprenditore castelvetranese fosse avvenuta, sia nella provincia di Trapani che nel palermitano, grazie al supporto della famiglia mafiosa di Castelvetrano: questa gli avrebbe garantito protezione nei confronti degli altri sodalizi criminali delle provincie di Trapani e di Palermo in cambio di periodiche dazioni di denaro, dirette sia al sostentamento del circuito familiare del latitante che all’organizzazione mafiosa nel suo complesso”.

A gennaio dello scorso anno è stato eseguito anche un sequestro di beni, per un valore di circa 400 milioni di euro nei confronti di un imprenditore di Mazara del Vallo di un patrimonio del valore di 1 milione di euro, intestato ad una nipote di Matteo Messina Denaro. Non manca neanche il settore delle opere d’arte: infatti “sono stati sequestrati beni per 10 milioni di euro a un commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico, originario di Castelvetrano, già titolare di imprese operanti in Sicilia nei settori del cemento e dei prodotti alimentari. Per oltre un trentennio lo stesso aveva accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati nel sito archeologico di Selinunte da tombaroli al servizio di Cosa nostra, in particolare del noto boss mafioso Francesco Messina Denaro, padre del latitante Matteo”.

Nella relazione si parla anche della pericolosità di alcuni soggetti già detenuti per associazione di tipo mafioso una volta scarcerati. “È anche doveroso segnalare che nel semestre è intervenuta la scarcerazione, al termine di una prolungata detenzione, di due parenti di Matteo Messina Denaro, nonché di un noto soggetto mafioso, già capo della famiglia di Castellammare del Golfo”. Nomi pesanti che si aggiungono ad altre “scarcerazioni eccellenti” avvenute nei giorni scorsi sempre a Castellammare del Golfo.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.