Pizzolungo “quater”, udienza contro Galatolo

Strage mafiosa del 2 Aprile 1985: oggi udienza preliminare a Caltanissetta

Si apre stamani a Caltanissetta dinanzi al gup giudice Baldo il “Pizzolungo quater”, un nuovo procedimento penale per la strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985. L’attentato destinato all’allora pm trapanese Carlo Palermo e nel quale morirono Barbara Rizzo Asta di 33 anni e i suoi gemellini di sei anni, Salvatore e Giuseppe asta. Erano sull’auto che al momento della deflagrazione di un’autobomba fece da scudo a quella del magistrato. Nuovo imputato della strage è il boss mafioso palermitano Vincenzo Galatolo, in carcere da qualche tempo. Per la strage di Pizzolungo sono stati celebrati tre processi. Il primo contro gli esecutori, tutti appartenenti al clan mafioso di Alcamo, poi assolti, in via definitiva dalla Cassazione, dopo una prima condanna in primo grado. Altri due processi hanno visti condannati in via definitiva i capi mafia Totò Riina e Vincenzo Virga e in un altro ancora i boss palermitani Nino Madonia e Balduccio di Maggio. Adesso si apre un quarto processo. La Procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio del boss palermitano Vincenzo Galatolo e stamane inizierà l’udienza preliminare. Galatolo è accusato di essere stato il mandante dalla figlia, Giovanna Galatolo. «Non appena il telegiornale diede la notizia — ha messo a verbale Giovanna Galatolo — mia madre iniziò a urlare: ” I bambini non si toccano”. Mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa». «Avevo vent’anni – ha raccontato Giovanna – a casa sentivo mio padre che diceva: “Quel giudice è un cornuto”. Poi, si verificò l’attentato. E mi resi conto, anche mia madre capì. Non si dava pace ». Fino a questo momento il movente è stato ricondotto alla strategia mafiosa di quegli anni, di colpire gli investigatori ed i magistrati che operavano sul fronte avanzato della lotta a Cosa nostra. Ma restano ombre sul ruolo di poteri occulti, massoneria e servizi deviati dello Stato. Il pm Carlo Palermo a Trapani da appena 40 giorni aveva già avviato indagini sulle connessioni tra mafia e colletti bianchi, Cosa nostra e imprenditori e stava indagando sui rapporti tra mafia, impresa e massoneria. Tra le indagini che aveva avviato quelli relativi ai cavalieri del lavoro di Catania, Costanzo, Rendo e Graci, i loro contatti con mafiosi trapanesi e le ingerenze in certi affari della loggia segreta Iside 2 di Trapani. La strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985 fu decisa in un summit di mafia che si svolse a Castelvetrano, alla presenza dei capi assoluti di Cosa nostra trapanese, Ciccio e Matteo Messina Denaro, padre e figlio. Lo ha messo a verbale Santino Di Matteo, il pentito al quale la mafia per vendetta uccise il figlio, Giuseppe. Don Ciccio, il “patriarca” della mafia belicina, morto nel 1998 durante la sua latitanza, e il suo successore, Matteo, il capo della mafia trapanese, ricercato dal 1993, custode di mille segreti e di tante trattative. Adesso il nome del boss mafioso palermitano del rione Acquasanta, Vincenzo Galatolo, quale mandante della strage, proietta sulla scena della strage precisi scenari. Il tritolo usato a Pizzolungo è lo stesso usato in altre stragi: dicembre 1984 attentato treno rapido 904, per il quale è stato condannato il cassiere della mafia siciliana Pippo Calò che era pure stato iscritto tra gli indagati per Pizzolungo, stesso esplosivo usato poi nel tentativo di attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone nel 1989, ed è di identica composizione il tritolo trovato in via D’Amelio il 19 luglio 1992, dove furono uccisi Borsellino e gli agenti della sua scorta. Tutti fatti attraversati dal filo di una possibile trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra, mediati da poteri occulti, servizi deviati, e massoneria segreta. Il nome del boss Galatolo compare poi nell’indagine sul delitto dell’agente Nino Agostino, per i suoi incontri, raccontati dalla figlia Giovanna, con il poliziotto Giovanni Aiello, il cosiddetto “faccia da mostro”, così come Galatolo è risultato coinvolto in altri delitti come quello del generale Dalla Chiesa.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.