“La Castellammare sotterranea”, visita agli antichi granai

CASTELLAMMARE DEL GOLFO. Ieri, giorno di Santo Stefano, molti cittadini e turisti hanno potuto visitare le antiche fosse granarie del corso Garibaldi pedonale di Castellammare del Golfo. L’evento è stato organizzato dalla sottosezione del CAI di Castellammare e dal Comune. Gli esperti del CAI hanno permesso ad adulti e bambini di visitare i granai accompagnati dalla musica dei maestri Joe Margagliotti e Stefano Di Stefano, gustando del panettone e del vin brulè.

Quella di ieri è stata sicuramente un’occasione unica per poter ammirare la “Castellammare sotterranea” emersa nel centro storico nel 2013 durante i lavori di metanizzazione. Infatti non sono molte le visite organizzate durante l’anno, tanto che nel 2015 l’ex consigliere Giacomo Asaro con un’interrogazione interrogava l’Amministrazione sulle modalità di fruizione delle fosse granarie.

I primi due granai di Castellammare sono venuti alla luce durante i lavori di metanizzazione del 2013, altri due a distanza di pochi mesi grazie al lavoro di alcuni geologi. Le fosse hanno un diametro di circa 10 metri e una profondità di circa 9 metri. Dei quattro attualmente scoperti, anche se gli esperti sostengono che in realtà sarebbero molti di più, soltanto tre sono accessibili. Tutti sono collegati tra di loro ma l’ultimo in ordine di scoperta non è ancora accessibile, in quanto necessita di altri interventi di messa in sicurezza. All’interno delle fosse granarie l’Ingegnere Simone Cusumano, a Capo dell’Ufficio Tecnico del comune, ha spiegato: “Si tratta di tre fosse granarie uguali scavate nella roccia e successivamente rivestite di mattoni in cotto, stiamo predisponendo la messa in sicurezza del quarto e poi cercheremo di individuare gli altri. Soltanto il primo granaio rinvenuto – sottolinea ad Alqamah.it Simone Cusumano – è stato rivestito di mattoni di cotto allineati, perché veniva usato per conservare il grano più pregiato. Gli altri si trovano allo stato grezzo”.

Il fondo di tutti e tre i granai inizialmente era in “basolato”, oggi quasi totalmente coperto dalla terra. “Queste fosse granarie – conclude Cusumano – erano già emerse nel corso degli anni, durante la realizzazione dell’acquedotto e degli scarichi fognari, poi sono state ricoperte”.

Dai rilievi effettuati dopo la scoperta dagli studiosi l’utilizzo è stato collocato tra il 1300 e il 1500.  A spiegare la loro utilità la volontaria del CAI Nuccia Lo Nano: “Si tratti di depositi per il grano già conosciuti dagli storici locali nel 1906. Durante i lavori per la realizzazione dell’acquedotto nel 1878 queste fosse vennero riempite di materiale e chiuse. Nel 2013 invece sono state svuotate dalla terra e dai detriti e valorizzate. Sicuramente – spiega Nuccia Lo Nano – oltre a questi quattro ce ne sono ancora altri che presto si spera saranno individuati e valorizzati. Tutte le fosse sono a forma di tronco di cono e scavate nella roccia. La fossa principale in cui inizia la visita è quella b, l’unica rivestita in cotto per renderla impermeabile in quanto qui veniva conservato il grano più pregiato, ovvero quello maiorca. Il pozzetto d’ingresso – aggiunge –  ha un diametro di circa 73 centimetri ed è alto 42 centimetri. Inoltre ci sono due fori rivolti a nord-est che servivano per i liquami, perché in seguito non furono più usati come granai ma come pozzi neri. Questa fossa presenta una parete che restringe il granaio che risale all’800, anno in cui sono state realizzate le fognature. La capienza dei granai è di circa 500 salme (ogni salma nella zona di Castellammare corrispondeva a circa 238 kg). Il metodo di conservazioni dei cereali risale al neolitico, ma ne parlano anche alcuni scrittori latini. Questi di Castellammare erano dei depositi utili per il vicino porto, quindi il grano veniva conservato per molto tempo, e poi, tramite il vicino scivolo chiamato “caricatore”, veniva portato fino alle barchette che a loro volta caricavano il grano sui velieri. Il grano veniva quindi messo in queste fosse e chiuso ermeticamente con una chiusura in pietra e della legna per evitare infiltrazioni e soprattutto per favorire la fuoriuscita di anidrite carbonica, in modo da poter essere conservato più a lungo. Queste sono state una sorta di casseforti per il grano, uno dei beni più preziosi dell’epoca. Il gran veniva custodito dentro le fosse gratuitamente, il custode non chiedeva soldi però, visto che il grano nel tempo tendeva a gonfiarsi di circa il 15% del suo iniziale volume, questo andava al custode”.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.