Falcone, Pansa e il “gioco grande del potere”

Milano e gli Stati Generali della lotta alle mafie

di Davide Mattiello*
La stagione stragista, che per me inizia il 21 Giugno del 1989 con il fallito attentato all’Addaura e finisce con il fallito attentato all’Olimpico di Roma a fine Gennaio del 1994, è stata l’ultima manifestazione eclatante di quello che Giovanni Falcone chiamava “il gioco grande del potere”, quello che ha a che fare con la tenuta del sistema stesso, con le “gambe del tavolo” insomma. Durante gli Stati generali dell’Antimafia svoltisi a Milano e voluti dal Ministro Orlando, quella stagione è stata più volte evocata, ma per lo più come si fa quando si vuole emozionare con una pagina di storia patria o quando si intende ribadire il fondamento della propria nobiltà nella genia dell’antimafia. Non ho avuto l’impressione che sia stata posta come una questione ancora aperta. Aperta non soltanto per il dovere che abbiamo nei confronti delle vittime e dei loro familiari, che ancora attendono una verità che sarebbe sbagliato aggettivare con “piena”, perché la verità o è tutta o non è verità. Aperta non soltanto perché ci sono oggi almeno quattro Procure che hanno in piedi indagini o processi. Aperta soprattutto perché sarebbe stupido pensare che il “gioco grande del potere” quello che ha a che fare con le “gambe del tavolo” sia finito all’Olimpico nel ’94 o che da allora non abbia più coinvolto le organizzazioni criminali di stampo mafioso. Che fine ha fatto quel “gioco grande” che ha reso grandi le mafie sollevandole dal ruolo di cani da guardia dei padroni?
Indubbiamente le mafie continuano ad organizzare il proprio business traendo vantaggio dalle relazioni con la politica e con l’economia, indubbiamente continuano a caratterizzarsi per quella maledetta capacità di fare paura e usare la violenza. Chi ha ascoltato le relazioni di Gian Carlo Caselli sulle agro mafie, di Pier Paolo Romani sugli amministratori locali “sotto tiro”, di Enza Rando sulle donne che cercano spesso con i loro figli una seconda vita lontana dalla mafia, di Nicola Gratteri sul narcotraffico gestito dalla ‘ndrangheta, di Paolo Borrometi sulle minacce spudorate ricevute per gli articoli che ha scritto, di Giovanni Melillo sulla pervasività economica della camorra campana, ne ha avuto un saggio. Altrettanto chiaramente è emersa la relazione irrisolta tra il bisogno della politica di trovare voti e la capacità di soggetti direttamente o indirettamente legati alla delinquenza di soddisfarlo: i 18.000 voti “made in Genovese” sono soltanto una grottesca puntata della serie. Di più, nelle due giornate milanesi sono emersi fattori incoraggianti come la forte consapevolezza dell’importanza della cooperazione giudiziaria internazionale, il giudizio allarmato ampiamente condiviso sul fenomeno della corruzione sistemica e quindi quello positivo sulle riforme contenute nel Nuovo codice antimafia, il grande impegno di magistratura e forze dell’ordine, tanto quanto di Università e associazioni…
Ma “il gioco grande del potere”? Forse che sia davvero finito con la progressiva marginalizzazione del ruolo internazionale dell’Italia? Forse è questa marginalità che spinge a raccogliere, turandosi il naso, tutte le “gambe” possibili per tenere a galla il “tavolo” nei marosi della globalizzazione che ci prospetta un futuro da colonia cinese? E’ per questo che per qualche autorevole custode del tavolo diventa preferibile persino Berlusconi in caso di emergenza? E’ per questo che della P2 qualcuno sente persino la nostalgia, perché la massoneria di matrice anglo sassone sarà pur sempre preferibile al caos e alla residualità? Il morbo avanza il pan ci manca sul ponte sventola bandiera bianca.
In vero un “lampo” c’è stato, un colpo al magnesio che ha illuminato il futuro che è già presente: l’intervento di Pansa, capo del DIS, cioè dei Servizi di Sicurezza della Repubblica. Se la mafia è e resta questione “di classe dirigente”, allora oggi la classe dirigente va cercata a livello mondiale, tra coloro che hanno in mano soldi, comunque guadagnati, che restano l’arcano più potente e informazioni, BIT. Chi possiede BIT oggi controlla le vite di milioni di esseri umani. Per la prima volta, da Pansa, ho sentito mettere in relazione la evoluzione del fenomeno mafioso, fondato pur sempre sulla forza di intimidazione del vincolo associativo, con “Wannacry”, il virus che ha piantato migliaia di terminali e sistemi informatici per ore. Per cosa? Per rubare un po’ di denaro? per sottrarre informazioni sensibili? O soltanto per dimostrare al Mondo che si può fare, che sistemi militari, ospedali, centrali elettriche sono sabotatili da remoto, senza nemmeno sparare un colpo. La mafia siciliana ha fondato il suo più risalente potere sul controllo dell’acqua potabile in Sicilia. Poi la terra, il calcestruzzo, la cocaina. Oggi l’acqua è il BIT. La “riserva di violenza” servirà sempre, perché il fattore umano è e sarà incomprimibile: qualcuno che se la sarà andata a cercare e che dovrà essere eliminato fisicamente, perché non ricattabile, non mancherà e l’assassinio di Daphne Galizia sta lì a ricordarcelo. In tutto questo l’Italia anziché rinculare, avrebbe una grande missione da compiere, proprio sulla base di questa consapevolezza: lavorare strenuamente per fondare la Repubblica Europea, unica piattaforma capace di dotarsi di strumenti adeguati a questo nuovo e antichissimo “gioco grande del potere”.
* deputato nazionale Pd
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