LA FAVOLA DELLE REGIE TRAZZERE DI SICILIA. CAPITOLO V-PARTE I. Le avventure delle strade armentizie dette trazzere nel corso dei secoli. Da re Ruggero II (1.105) a re Filippo I D’Austria (1580).

DI ANTONINO MESSANA

            Spesso leggiamo o sentiamo dire da più parti che “cambiano le bandiere (in questo caso i governi) ma i problemi fondamentali restano a galla”. Infatti, il problema delle antiche Regie Trazzere è rimasto in auge dalle Costituzioni federiciane, e fino a oggi non risolte anzi aggravate, in primo luogo dai Borboni, poi dal Regno d’Italia che per la Sicilia di concreto non ha fatto quasi nulla, ed infine dall’Ufficio Trazzere che ha disegnato e cosparso arbitrariamente tutto il territorio Siciliano di ben 11.500 Km.

            Tutte le pagine precedenti dei quattro capitoli già pubblicati in questa rubrica sono state arricchite di documenti e perfino prove testimoniali dell’inesistenza, in Sicilia, della totalità di trazzere e le pubbliche strade inique e nella maggior parte percorribili o con cavalli e muli, o addirittura a piedi. Tuttavia, questo V capitolo è dedicato non più alle comuni strade ma solamente alle “Vie Armentizie” chiamate “Regie Trazzere” ed in particolare alle vicende succedutesi a partire dalla fine del  1700 con più di mezzo secolo di provvedimenti legislativi ed anche esecutive emanati dai Borboni, senza alcun risultato definitivo. Nell’affrontare l’argomento devo necessariamente cominciare dalle radici rispolverando brevemente parti già descritte. Partiamo, questa volta, da Ruggero II, secolo XI (Vedi capitolo II-parte II, pubblicato il 9 gennaio 2016) come argomento introduttivo, perché troviamo una primissima base d’appoggio alle vicissitudini delle Regie Trazzere con il concetto, già esposto, di “pubblico demanio” (Vedi capitolo I-parte VII, pubblicato il 31 ottobre 2015 ed anche capitolo II-parte IV, pubblicato il 5 marzo 2016). A tal proposito Antonino Lo Presti  a pagina 21 del suo libro (1864) scrive (riporto i brani così come sono testualmente scritti, eventuali imperfezioni sono da attribuire al linguaggio di allora): “Se il demanio non fu noto ai Romani, egli è una legittima importazione della monarchia…e con la monarchia venne mano,  mano sviluppandosi…. La fondazione della monarchia invero depose in Sicilia il germe delle Regalie; perocchè Ruggiero malgrado la viva resistenza e l’ostinata guerra mossagli dalla baronale e feudale famiglia, brutta distillazione della superbia umana, ed ultima forma storica della vita patriarcale, ebbe a dichiararsi padrone di tutto il territorio nazionale. Fu questa la fonte del rialzamento del potere regio e delle infrastrutture…. Sotto Ruggiero nacque il cadasto, detto cedolario, o descrizione delle pubbliche e private proprietà”.

            Le parole che abbiano letto, a mio giudizio, sono travolgenti per almeno due motivi:

1) non c’è ombra di dubbio che il demanio è una conseguenza dell’impossessamento  dell’intero territorio al potere regio che dona le sole terre ai baroni senza le strade;

2)l’abbandono (dopo almeno cinque secoli dal corpus juris civilis di Giustiniano 535 d.C.), da parte di re Ruggero della teoria romanistica delle servitù rustiche che riguardava i sentieri campestri (cioè le strade di campagna) ed il diritto d’acquedotto che la dottrina del tempo li ha classificato come “cose proprie” (Res mancipa. Vedi capitolo I-parte VII, pubblicato il 31 ottobre 2015) crea ed impone d’autorità il demanio statale, tutt’ora vigente. Così Ruggero scambia autorevolmente un semplice e comodo diritto di passaggio qual è la servitù, con un vero è proprio diritto di proprietà. In altre parole la corona si accaparra, con il marchingegno della teoria demaniale, la proprietà (che è un diritto assoluto, erga omnes ) delle strade.    Nascevano quindi le cosiddette “Regalie” e tutte le strade prendevano la denominazione di “Strade Regie”. Anticipo che i Re di Sicilia non hanno lasciato traccia di elenchi di strade e della loro larghezza. Unico riferimento fa capo ai Romani con le strade consolari e con una classificazione e regolamentazione delle larghezze di ciascuna strada.

      Da qui inizia un male endemico che. da allora fino ad oggi, cioè dopo quasi mille anni non c’è cenno di guarigione. Allora non ci resta che andare per gradi e leggere le smancerie commesse dai regnanti nel corso dei secoli fino ai nostri giorni.

Restando in tema di “regalie e di demanio” Federico Barbarossa perfezionò il concetto di demanio ereditato da Ruggero II e ne fece anche uno spirito d’orgoglio e una coscienza con un preciso scopo di conservazione (aggiungerei perpetua. Infatti, la servitù con il non uso prolungato si estingue e ritorna al legittimo proprietario; il demanio anche il non uso prolungato il diritto non si estingue mai) . Il Barbarossa affermò il rispetto delle “Regalie” allargandolo ai lidi, alle vie pubbliche, al diritto di coniare le monete, ai porti ed ai beni vacanti (cioè che non hanno un padrone o meglio un erede). Questi beni fanno parte delle Regalie o del demanio pubblico. Qui sotto ho ritenuto opportuno riportare quest’ultimo brano del libro di Lo Presti in originale, per dimostrare la scientificità dell’opera. Ci accorgiamo pure che l’avvocato Lo Presti non è solo un giurista ma anche uno storico.

In questa maniera il Barbarossa addiviene ad una duplice distinzione: le Regalie, che appartengono alla corona denominate anche “Demanio Regio” e il “Demanio Pubblico”, creando peraltro una confusione tra le due classificazioni. Lo Presti a pagina 25 scrive che “il demanio regio cesse una parte al demanio pubblico molto più sotto l’influenza del regime costituzionale, dello Stato addimandasi”. La frase vuole indicare che il pubblico demanio ha ereditato nel tempo i beni della corona e che è un istituto tipico degli Stati costituzionali.

       Il catasto del 1938 ha indicato molte strade della Sicilia “Regie Trazzere”. Per esempio nel territorio di Alcamo ne ha indicato quattro e non diciotto come ha fatto l’Ufficio Trazzere, con larghezze diversificate e nessuna di m. 38 circa. Per di più, a mio modesto giudizio il catasto conosceva benissimo che trattavasi di “Regalie”(parola sempre in auge e mai dimenticata da nessuno) non di strade armentizie. Vuoi che una Regalia è larga circa m. 38? Immagino che nessuno l’abbia mai pensato, e di certo nessuno l’abbia espressamente detto.

      A pagina 26 il nostro autore afferma che anche le trazzere fanno parte del demanio come le strade pubbliche, a meno che non c’è una legge che li colloca in vie pubbliche. Qui sotto riporto il testo originale. E’ interessante leggere che le trazzere sono, senza ombra di dubbio, strade destinate al passaggio degli animali e fanno parte del demanio pubblico e non più delle Regalie del Principe. Altra lettura interessante ai nostri scopi è la definizione di trazzera (vedi capitolo II-parte I, pubblicato il 19 dicembre 2015) e che le medesime a quell’epoca erano considerate Regalie perché destinate al passaggio degli animali. Benissimo! Allora, il Re dava i feudi e tratteneva le Trazzere (Regalie).

      A mio giudizio,  il trapasso o il passaggio delle terre, dalla corona al feudatario, richiedeva necessariamente un documento scritto soprattutto per stabilire i confini tra i  feudi e le strade di collegamento con paesi e città. Qualcuno ci vuole spiegare come avveniva questo passaggio? Perché non c’è lo spiega l’Ufficio Trazzere, considerato che ha scritto le “Relazioni comprovanti le demanialità” delle 11.500 Km. di Regie Trazzere destinate al passaggio degli animali? A tal proposito ho consultato alcuni testi di Storia dei Feudi ed il Nobiliario Siciliano non ho trovato nulla sulle strade. Supposto che documenti di passaggio tra corona e feudatari non venivano redatti, mi domando: a chi appartenevano in origine le trazzere? Sicuramente non potevano appartenere al Re per l’assenza di un potere politico. Infatti, se è vero che le trazzere si sono formate in epoca arcaica (III millennio come scrive Santagati) e gli uomini di allora presumo che acquistarono le terre con la semplice occupazione perché (res nullius) non esistevano proprietari (modo di acquisto originario della proprietà terriera); allora, le trazzere le hanno tracciate solo gli uomini di buon accordo per incontrarsi e per le ragioni più disparate poiché abitavano in terre lontane. Concludo affermando che la teoria giuridica dei Romani  che considerava le strade di campagna via rustiche e quindi servitù era corretta. Solo con un atto autoritario, come ha fatto Re Ruggero, impossessandosi dell’intero territorio del suo regno ha fatto nascere, come già detto le Regalie, senza neppure classificarle ed elencarle e citarle al momento delle cessioni delle terre ai Baroni. Inoltre voglio sottolineare  che la Regalia è una normalissima strada atta a far passare due carri nei sensi opposti, cioè non più di metri quattro di larghezza.  Ritornerò sicuramente su  questo problema alla fine del capitolo e con maggiori riflessioni che assommeremo, man mano, che verranno illustrati i vari provvedimenti emanati nel corso dei secoli. Già anticipo  che i successivi Bandi, Proclami e Dispacci disposti dai Borboni, non indicano in concreto alcuna strada o trazzera.     Da quest’ultimo brano del Lo Presti leggiamo, peraltro, che il termine trazzera  è stato usato per la prima volta nel dispaccio vice-regio del 21 aprile 1785. Purtroppo non è così.  Intanto è vero che il dispaccio vice-regio del 1785 chiama in causa le trazzere ma, tuttavia, non ha il primato che invece appartiene ad un bando inviato alla città di Licata nel 1505. Esattamente il 16 febbraio 1505 che impone una larghezza di una corda e mezza a caricare per le trazzere di quella città. Qui sotto riporto lo stralcio del bando. L’argomento dei “Bandi” e la loro validità verrà in seguito  approfondito.

ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO-MAESTRO SEGRETO N.16 BUSTA 275

Mi dispiace correggere il mio maestro Lo Presti, ma nel Bando della Reale Segreteria del 1505 diretto a Licata abbiamo letto con chiarezza la parola “trazzera”. Non è un errore ma semplicemente una svista per non avere fatto le ricerche sul fondo Real Segreteria.

Da sottolineare ancora, se la parola trazzera nei secoli passati era sconosciuta e senz’altro nota la parola strada, denominata o “Regalia” o strada demaniale, perché le trazzere come strade armentizie, puta caso, diverse dalle comuni strade sono sconosciute? Qualcuno è in grado di darci una risposta? Forse perché non esistevano in Sicilia?

E’ ammesso che esistevano come venivano denominate? Immagino “Strade Regie” e non cos’altro pensare? Spero che qualcuno c’è lo comunichi. I Romani li hanno chiamati actus (Vedi capitolo I-parte VII, pubblicato il 31 ottobre 2015). A tal proposito propongo, in originale, un brano della pagina 19 del nostro autore Lo Presti.

 In parallelo con il termine “Tratturo” già  in questa epoca esisteva  una copiosa letteratura  (vedi capitolo II-parte I, pubblicato il 5 marzo 2016).

Proseguendo con l’argomento trazzere arriviamo così a re Federico II (Vedi capitolo II-parte 4, pubblicato il 5 marzo 2016) e alle costituzioni di Melfi del 1231 (COSTITUZIONE DEGLI ANIMALI DA AFFIDARE AI PASCOLI [Constitutio de animalibus in pascuis affidandis]). Ecco le parole iniziali del titolo IV delle medesime Costituzione riportate brevemente dal Lo Presti a pagina 29 e 30: Visti i reclami degli abitanti delle Puglie, i soprusi e le violenze che commetteansi  a danno degli armenti transitati, ordinava l’imperatore di non permettersi al proprietario della terra o bajulo della stessa esigere alcun compenso in qualunque contrada, tanto di terre demaniali che di terre di Conti o Baroni…(per un approfondimento vedi capitolo II-parte IV, pubblicato il 5 marzo 2016)

         In primo luogo quelle Costituzioni sono state emanate per la epocale transumanza in terra di Puglia. Infatti, in Sicilia sono state pubblicate in un secondo momento. Nessuna lamentela o reclamo degli abitanti di Sicilia è stato mosso fino al 1.407. Solo re Martino accenna a reclami. Infine, le Costituzioni neanche accennano a strade o a trazzere, ma dettano norme relative al passaggio di animali in “terre”, sia demaniali che padronali (di Conti e Baroni). Qualcuno è in grado di indicarci dov’erano le strade e le trazzere per dare una conferma alle argomentate Regalie? In altre parole, da dove transitavano gli armenti e quale erano le strade della transumanza in Sicilia in epoca Federiciana? Lo stesso fenomeno accade per tutti gli altri regnati. Successivamente abbiamo Federico III d’Aragona con due provvedimenti: 1) Il capitolo 23 dei Capitoli del regno di Sicilia datato 1296, redatto sui precedenti imperiali; 2) segue il capitolo 37 dello stesso anno 1296 e dello stesso Federico d’Aragona (per un approfondimento Vedi capitolo III-parte I, pubblicato il 2 aprile 2016). Per facilitare la lettura riporto nuovamente, qui sotto, la traduzione dei capitoli dal latino.

Ho sottolineato le frasi importanti ai nostri fini. Non sono nominati né strade, né trazzere ma terre dei appartenenti non solo a Conti o Baroni, ed a qualunque proprietario. Il provvedimento dell’Aragonese non citando trazzere o strade, cioè diritti pubblici come abbiamo visto sono le Regalie o meglio il Demanio, dispone solamente una sorta obbligazione di fare.  Obbliga semplicemente i suddetti proprietari ad  ospitare gli animali nelle loro terre  e permettergli di cibarsi e dormire, questa volta per due notti (nelle costituzioni di Melfi era prevista una sola notte).

         A pagina 31 il Lo Presti scrive: E’ il medesimo sistema di favore; che anzi vantaggiato per essersi allungata di due giorni la stazione dei fondi transitati, rivolto sempre a fiaccare quella sete di indiviso dominio che poggiando su soprusi finiva nell’angaria: cosa affatto incompatile col desiato incrento della pastorizia di così utile e generale aspettazione.

         L’autore Lo Presti evidenzia “l’astio insanabile” tra la Corona e i Baroni tanto che dalla lettura ricaviamo che il capitolo è stato emanato non tanto per incrementare la pastorizia che era scarsa, ma per colpire i Baroni, fino ad allungare la sosta a due notti. Sicuramente due notti di sosta non potevano che ritardare l’arrivo a destinazione. E poi,  due giorni su quiei luoghi a quale scopo? Mi sembra evidente il sorpruso verso i Feudatari.

Il capitolo 37 ricalca esattamente il precedente capitolo 23 con la sola differenza che stabilisce una sanzione a carico dei trasgressori che ricevono il carnaggio.  Anche qui sotto riporto la traduzione del capitolo ed ho sottolineato alcune frasi  importanti ai nostri fini. Come  solitamente abbiamo letto, le trazzere non vengono nominate, pertanto il capitolo impone ai proprietari una semplice “obbligazione di fare” come sopra detto e cioè, dare ospitalità, pastura e un luogo per dormire agli animali  in transumanza (non c’è cenno dei luoghi di sosta nei percorsi come nei Tratturi) solo per due notti, a partire dal terzo giorno devono pagare il carnaggio. Il pagamento dopo il secondo giorno come lo interpretiamo? Rispondo subito! Gli animali non si cibano e non dormono nella Trazzera cioè nella proprietà della corona o demaniale, ma all’interno dei terreni dei Conti, Baroni o privati. Se pascolavano e dormivano nelle Regalie o Trazzere il pagamento, ovviamente, era dovuto alla corona e non al Barone o altri. Ne discende, senza ombra di dubbio,  che i proprietari (Conti, Baroni, ect..) delle terre attraversati dagli animali in transumanza avevano solamente  un “obbligo di fare per solo due giorni o per il solo passaggio”. Ammesso e non concesso che la transumanza in Sicilia richiedeva una simile necessità di far sostare gli animali addirittura per due giorni. Infatti, abbiamo già scritto che in Sicilia la transumanza è stata localizzata nelle Madonie, Nebrodi ed Etna e per brevi tratti, giusto per arrivare alle zone marine e viceversa (Vedi capitolo II-parte IV, pubblicato il 5 marzo 2016). Anche un giorno di sosta, considerati i brevi percorsi dalla montagna al mare e viceversa; anche quel solo giorno potrebbe risultare eccessivo. Infatti, i capitoli che abbiamo spesso letto, sono stati emanati semplicemente per fiaccare l’arroganza dei  feudatari con la scusa di agevolare lo sviluppo della pastorizia che era scarsa e sicuramente per esercitare ed avallare un potere sulle trazzere. Se facciamo un parallelo con i Tratturi (denominati parenti con le Trazzere), chiamate anche strade verdi (Vedi capitolo II-Parte IV, pubblicato il 5 marzo 2016), essi attraversano tre regioni (Abruzzi, Molise e Puglia) ed erano larghi a volte più di m. 111 e, nel percorso, esistevano le “stazioni di posta” con piccoli agglomerati e con slarghi creati appositamente per far dormire gli animali. In Sicilia non potevano esistere luoghi simili perché la transumanza poteva orientativamente percorrere solo alcune decine di Km.

Andando avanti nel tempo arriviamo al 1407 con il capitolo 64 del re Martino (Vedi capitolo III-parte I, pubblicato il 2 aprile 2016).

Anche questa volta ripropongo la traduzione per comodo dei nuovi lettori.

La novità rispetto ai precedenti capitoli è  che re Martino avverte, per la prima volta, che il provvedimento è frutto della lamentela di alcuni sudditi contro Baroni che pretendono i carnaggi dai transumanti nei loro feudi. Poi segue l’obbligo diretto ai Baroni di fare dormire e mangiare nelle loro terre gli animali in transumanza.

Da re Martino arriviamo a Ferdinando I di Castiglia che il 13 luglio del 1414 promulgò il Capitolo 1° dopo appena sei anni del suo predecessore. Lo Presti così lo commenta: “Era un bisogno pressante tener deste in questo vitale argomento le leggi del tempo; può dirsi anzi essere un’insegna onorifica della quale i nuovi re  cotanto pregiavasi. Già a salutare il governo del regno, re Ferdinando sanzionava quella prammatica nei termini medesimi dell’esposte e col titolo ut ne exgantur a transeuntibus carnagia.

         L’appello di re Ferdinando ha lo scopo di tenere a galla le vecchie leggi del regno e se ne fece pure un prestigio così che le trazzere restano beni demaniali ed i Baroni hanno il dovere di ospitare nelle proprie terre gli animali in transumanza.

TRADUZIONE DEL PROFESSORE CARLO CATALDO DI ALCAMO

Nel 1589 con Filippo I d’Austria e con la Sicilia governata dal Vice re Antonio Colonna, il Protonotario del Regno supplicava il Re di confermare le costituzioni ed i capitoli del regno concessi dai predecessori regnanti intorno al tema del transito degli animali per le città, terre, castelli, feudi e territori del regno liberamente e senza pagamenti di carnaggi. Re Filippo si complimento ed approvò l’iniziativa.

Qui notiamo una estensione dei percorsi nel transito degli animali non solo per i feudi di Conti e Baroni, ma estesi ai Castelli e alle Città. Così che le trazzere  si collegavano con  le città.

         Qui di seguito riporto il testo in originale ove leggiamo che dal 1580 e per due secoli, tra una dinastia austriaca e quella borbonica, non sono stati emanati provvedimenti della materia per le sorti del nostro splendito paese (parole usate dal Lo Presti), e sarebbe pure un interrogativo legislativo in vista delle leggi riportate frutto della ricerca e rinvenimento in archivi di atti della pubblica amministrazione che in seguito sono state richiamate e citate.

I provvedimenti in materia di trazzere ricominciano il 21 aprile 1785 con un dispaccio vice regio a firma del Marchese Caracciolo, per un reclamo di un accogliente feudatario di Messina, Barone Moleti. A  partire da questa data e con il nome di un eccellentissimo Barone, ci ricorderanno le antiche leggi, e poi un mondo di provvedimenti volti alla inventariazione, conservazione, reintegrazione inventate, e usurpazioni operate perfino nei feudi.

Adesso mi fermo qui, sperando di avere abbreviato la lettura.

Antonino Messana

La prossima puntata verrà pubblicata Sabato 13 maggio 2017.

Bibliografia

*Lo Presti Antonino-Monografia di DIRITTO PUBBLICO sulle TRAZZERE DI SICILIA  per l’avvocato Antonino Lo Presti, STAMPERIA DI G. B.LORSNAIDER-Palermo 1864.

*ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO (Catena)-Fondo: MAESTRO SEGRETO-busta 275.

*Santagati Luigi– Viabilità e topografia della Sicilia Antica. Volume I. La Sicilia del 1720 secondo Samuel von Schmettau ed altri geografi e storici del suo tempo, Assessorato regionale siciliano ai BB CC AA, Caltanissetta 2006

 

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