La mafia, la politica, i delitti e le stragi

Quindici anni addietro l’arresto del capo mafia Vincenzo Virga, espressione di Cosa nostra che stava dentro i salotti e le “logge”. Ancora oggi si indaga sui suoi pericolosi intrecci

vincenzo-virga-300x300Stava nascosto in una azienda agricola dentro al suo territorio, Fulgatore. Fu scovato la sera del 21 febbraio 2001 dalla “catturandi” della Squadra Mobile di Trapani tranquillamente a letto, al piano superiore di una abitazione in mezzo alla campagna, a Baglio Nuovo. Vincenzo Virga finì così in manette, dopo una latitanza di sette anni. Il 24 marzo 1994 era sfuggito ad un blitz dei carabinieri, l’operazione Petrov. Vincenzo Sinacori, anche lui mafioso, braccio destro di Matteo Messina Denaro, quando decise di collaborare con la giustizia raccontò in che modo Virga era riuscito a fuggire prima che i carabinieri giungessero nella sua abitazione, “la soffiata gli arrivò da un giornalista”. Fino a qualche ora prima del blitz, Vincenzo Virga era stato visto seduto in prima fila ad una manifestazione elettorale di Forza Italia, quando candidato di punta, all’esordio in politica, era l’attuale senatore Tonino D’Alì. Quindici anni dopo la storia criminale di Vincenzo Virga continua ad entrare in tante indagini. Le ultime novità arrivano da Caltanissetta. L’ordine di arresto per le stragi del 1992 spiccato dalla Procura nissena nei confronti del latitante MatteoMessina Denaro racconta di un ruolo avuto da Vincenzo Virga. Il tritolo di Via D’Amelio fui consegnato ai boss palermitani da Vincenzo Virga. Conservava ancora parte di quell’esplosivo che era stato usato sette anni prima, nel 1985, per attentare a Pizzolungo alla vita del sostituto procuratore Carlo Palermo, tritolo che fece strazio di tre persone, Barbara Rizzo e dei suoi figlioletti i gemellini Salvatore e Giuseppe Asta. Nel processo di Pizzolungo la perizia sul tritolo aveva già confermato che l’esplosivo usato era identico a quello utilizzato per il fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone, per l’attentato al treno rapido 904 fatto saltare in aria nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, per l’attentato che distrusse la casa dell’ex sindaco di Palermo Elda Pucci. Infine anche la strage del 19 luglio 1992, quella che uccise a Palermo, in via D’Amelio, Paolo Borsellino e la sua scorta. Ma non solo, il nome di Vincenzo Virga è dentro anche al processo per la misura di prevenzione a carico dell’on. Pino Giammarinaro. Nel 1991 Virga stanco oramai di avere a che fare con l’on. Ciccio Canino, decise di appoggiare la candidatura di Pino Giammarinaro, lo incontrò anche e gli diede il suo sostegno con una classica pacca sulla spalla, “stu picciotto è bravo e farà strada”. E’ un nome ancora pesante quello di Vincenzo Virga, ha realizzato quella rete di malaffare che ancora oggi non è del tutto scoperta e si è anche oltremodo allargata. Mafia, politica, affari e massoneria. E’ emblematico come nonostante una serie di condanne, da Pizzolungo fino al delitto di Mauro Rostagno i più a Trapani esprimono diffidenza rispetto alle accuse in capo a Virga, molte delle quali confermate dalla Cassazione. Virga è esponente di quella Cosa nostra che favoriva gli imprenditori che non pagavano il pizzo «ma la quota associativa a Cosa Nostra». Un sistema che era stato ben capito da un pugno di investigatori quelli all’epoca guidati dal Capo della Mobile, Giuseppe Linares, gli stessi che la sera del 21 febbraio fecero sorpresa della loro presenza al boss Vincenzo Virga. Virga fu catturato dopo che i poliziotti avevano scoperto una serie di appalti pilotati, e ad uno ad uno erano finiti in manette imprenditori, politici, funzionari pubblici. Vincenzo Virga era ufficialmente quasi un nulla tenente, piccolo imprenditore, qualche terreno agricolo, una modesta pensione, quando nel 2001 venne arrestato gli fu confiscato un patrimonio pari a 7 miliardi di vecchie lire. Il “coccodrillo” o “u gioielliere” veniva soprannominato, “coccodrillo” per via della sua bramosia di denaro, “gioielliere” perchè la sua attività, assieme alla moglie, era quella del gioielliere, e un altro suo fiudato amico era un altro che si intendeva di gioiellerie, Vito Mazzara da Valderice, tutti e due condannati per tanti delitti, da quello dell’agente della penitenziaria Giuseppe Montalto, ammazzato l’antiviglia del Natale del 1995 e andando indietro quello del giornalista Mauro Rostagno nel 1988. Angelo Siino, il ministro dei lavori Pubblici di Totò Riina, raccontando del suo primo incontro con Virga disse che quel giorno a Partinico Virga arrivò accompagnato proprio da Vito Mazzara. A Siino Vincenzo Virga affidò la gestione degli affari trapanesi, poco tempo ancora e la mafia di Virga ottenne il più importante dei risultati, «gli imprenditori non sono più delle vittime, ma diventano anche aguzzini». Le aziende di Virga sono ricovero sicuro per i summit di mafia, come succedeva alla Calcestruzzi Ericina, una impresa che la mafia rivoleva indietro a tutti i costi dopo che lo Stato l’aveva confiscata. Una battaglia questa che la mafia ha perduto nel nome di un grande prefetto, Fulvio Sodano. Sodano difendeva le imprese confiscate e un giorno dal senatore D’Alì, intanto diventato sottosegretario all’Interno, si sentì dire che così facendo stava facendo il favoreggiatore. In tante storie trapanesi Vincenzo Virga lo si ritrova sempre, o da protagonista o anche da comparsa, ma lui c’è sempre. Per decenni la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti è stato un affare del boss Virga, dalla “Promozionale Servizi” che si occupava dei rifiuti speciali dell’ospedale Sant’Antonio Abate, sino alla impresa che gestiva l’impianto di riciclaggio di contrada Belvedere a Trapani, “trasi munnizza e nesce oro” era solito dire il boss, quando una indagine mandò all’aria il controllo dell’impianto di contrada Belvedere, il figlio del boss, Pietro Virga pensò addirittura di incenerirlo, con un pugno di complici allagò di benzina il piazzale e appiccò le fiamme. Allontanatosi però si accorse che non accadeva nulla, a fare le spese della sua reazione rabbiosa fu chi aveva portato la benzina, pensava che avesse fatto male il suo lavoro ma dovette attendere un paio di mesi, quando fu arrestato, per sapere che il piano era stato scoperto in tempo dai poliziotti, che stavano nascosti mentre loro allagavano di benzina il piazzale e con l’aiuto dei Vigili del Fuoco allagarono di acqua e schiuma il piazzale così da fermare sul nascere le fiamme. Virga in Tribunale si è comportato come altri mafiosi, “io sta Cosa nostra non la conosco”, il suo erede, Ciccio Pace, diventato capo mafia grazie ad un pizzino di Virga che dava l’ordine agli imprenditori di mettersi dalla parte di Pace, addirittura venne intercettato a dire “sta mafia ni ruvinau a tutti” e però imponeva forniture e pizzo. D’altra parte a Trapani mai parlar male della mafia, meglio attaccare l’antimafia. Vincenzo Virga in carcere continua a ricevere così sostegno, “la mafia non esiste” si continua a dire. E negli anni di Vincenzo Virga lo dicevano anche i mafiosi stessi seduti a tavola, “la mafia non esiste” e giù tante risate. E oggi si continua a ridere, e si dice che addirittura esiste una mafia dell’antimafia. Non vi preoccupate mentono sapendo di mentire. A Trapani la sostanza del vivere civile è sempre la stessa, in altri paesi ci vuol coraggio a fare i delinquenti, da noi ci vuol coraggio ad essere persone per bene.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.