Rosa fresca aulentis[s]ima ch’apari inver’ la state,
le donne ti disiano, pulzell’ e maritate
Sono in pochi a non associare questi versi al suo compositore, il più noto tra i poeti locali, Ciullo D’Alcamo, citato addirittura da Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia (I, XII, 6) come esempio della lingua dei siciliani di media condizione.
Il poeta fu molto probabilmente un esponente della Scuola Siciliana che si sviluppò in Sicilia dal 1166 al 1266 ed ebbe il suo fulgore nella prima metà del XIII secolo, presso la corte di Federico II di Svevia.
Dal tono burlesco e dai personaggi dell’opera giunta sino a noi, gli studiosi hanno ipotizzato che si potesse trattare di un giullare e per molto tempo si è ritenuto di origine popolare ma, ultimi studi, hanno stabilito che il poeta non poteva che appartenere ad una classe sociale piuttosto elevata, sia per le conoscenze storiche e culturali che si evidenziano nel componimento sia per il tipo di linguaggio, a volte colto ed elevato con espressioni d’origine provenzale, rieccheggianti modelli espressivi tipicamente cortesi. Ciò nulla toglie al sapore popolaresco e al carattere parodico di questo componimento in cui si mima il linguaggio cortese con intento ironico.
Il Contrasto “Rosa Fresca Aulentissima” è l’unica opera a noi pervenuta di Cielo D’Alcamo. Si tratta di un componimento poetico formato da 160 settenari in cui si sussegue, attraverso un botta e risposta, un dialogo realistico tra l’amante che incalza e la donna che, prima sdegnosa, finisce poi col cedere alle lusinghe. La composizione del Contrasto, tenendo conto dell’analisi del testo, pare sarebbe da collocare tra il 1231 e il 1250, anno della morte di Federico II.
Tale datazione farebbe riferimento ad una strofa presente nel testo del Contrasto:
“Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?
Una difensa mèt[t]oci di dumili’ agostari;
non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha ‘n Bari.
Viva lo ‘mperadore, graz[i’] a Deo!
intendi, bella, quel che ti dico io?”
La citazione della “difensa” e degli “agostari” fanno intuire che il componimento poetico sia stato scritto tra la promulgazione delle Costituzioni Melfitane del 1231 e la morte dell’imperatore.
Per “difensa”, o “defensa” si intende una norma inserita proprio nelle Costituzioni Melfitane attraverso la quale uno stupratore, colto in flagrante, che avesse pagato sul momento una forte somma di denaro (gli “agostari”) e avesse gridato “viva l’imperatore” non poteva essere né accusato di stupro né tanto meno aggredito, pena per gli eventuali aggressori l’impiccagione sul posto.
Aprendo una piccola parentesi proprio su tale norma, anche in questo caso molteplici sono le correnti di pensiero sull’effettivo scopo che Federico II intendeva raggiungere. Per alcuni si tratta palesemente di una forma di tutela dei nobili e in tal senso i versi del Contrasto sarebbero una critica a tale legge. L’interpretazione data data da altri sarebbe invece quella di ritenere la defensa una tutela del popolo, poiché applicandola si toglieva la giurisdizione del caso ai giudici locali, che potevano quindi essere corrotti proprio da coloro che appartenevano ai ceti più elevati, e la questione arrivava direttamente al vaglio dell’imperatore.
Della prima corrente di pensiero fa parte anche Dario Fò che nel suo Mistero Buffo del 1997 dissacra l’importanza da sempre data al Contrasto e analizza proprio questa parte relativa alle Costituzioni Melfitane:
E che cosa è questa defensa? Fa parte di un gruppo di leggi promulgate a vantaggio dei nobili, dei ricchi, dette “leggi melfitane”, volute proprio da Federico II, per permettere un privilegio meraviglioso a difesa della persona degli altolocati. Così, un ricco poteva violentare tranquillamente una ragazza; bastava che nel momento in cui il marito o i parenti scoprivano la cosa, il violentatore estraesse duemila augustari, li stendesse vicino al corpo della ragazza violentata, alzasse le braccia e declamasse: “Viva lo ’mperadore, grazi’ a Deo!” Questo era sufficiente a salvarlo. Era come avesse detto: “Arimorta! Attenti a voi! Chi mi tocca verrà subito impiccato”. Infatti chi toccava l’altolocato che aveva pagato la defensa veniva immediatamente impiccato, sul posto, o un po’ più in là.
Sebbene Fò dissacri l’importanza da sempre data al Contrasto e riduca l’importanza da sempre data allo stesso autore, riducendo il tutto ad un giullare con poche conoscenze e di derivazione popolare, il fatto stesso che egli ne parli, denota quanto Cielo d’Alcamo sia importante per la letteratura italiana. (Dario Fò – Mistero Buffo – Rosa fresca Aulentissima)
Senza ovviamente nulla togliere al premio Nobel, un altro illustre personaggio a cui tanto deve la lingua italiana, ossia Dante Alighieri, cita Ciullo D’Alcamo ma in maniera diametralmente opposta: lo inserisce nel De vulgari eloquentia come esempio della lingua siciliana, inserendo così il Contrasto nell’opera che mira a studiare l’eloquenza della lingua volgare in maniera esaustiva ed enciclopedica.
Ma cosa sappiamo effettivamente di Cielo D’Alcamo?
Di fatto tutto ciò che lo riguarda è avvolto da innumerevoli dubbi ancora non del tutto risolti. La prima diatriba che coinvolge il poeta è quella, neanche a dirlo, del nome.
Cielo o Ciullo? D’Alcamo o Dal Camo? Quello del nome resta un dubbio tuttora aperto, mentre invece sembra ormai del tutto certa la provenienza dalla Sicilia, considerando anche la citazione di Dante, che annovera il poeta, come abbiamo detto, tra gli esempi della lingua siciliana che appare caratterizzata da “quell’espressionismo vernacolare che durerà fino all’età barocca”.
In merito alla questione del nome, Cielo appare per la prima volta negli indici apposti dal cinquecentista Angelo Colocci al Codice Vaticano 3793, il quale evidentemente disponeva di fonti a noi sconosciute e tali da potergli imputare la paternità del Contrasto. Cielo è il probabile travestimento toscano di Celi (antico siciliano Miceli ossia Michele); l’ipotesi Ciullo è invece ormai scartata e deriverebbe da una cattiva ricopiatura del nome. Difatti la variante Ciulo nasce nel ’600 e non si giustifica se non con una svista, una cattiva lettura, di altri studiosi che del resto non ebbero altre fonti che le carte del Colocci.
Tale variante si è poi conservata, ed anzi si è presentata anche nella forma Ciullo, che è sembrata una derivazione da Vincenzo attraverso il suo diminutivo Vincenzullo.
Sebbene le certezze riguardanti il nostro antico concittadino siano davvero poche, resta fuori da ogni dubbio che di lui si è tanto parlato negli ambienti letterari italiani e che il Contrasto rimane uno dei componimenti più antichi in lingua volgare giunti fino a noi in forma scritta.
Anche se poco o nulla sappiamo della sua vita o delle sue opere resta l’“affetto” per un personaggio che tanto ha fatto parlare di sé e che, in ogni caso, ha dato lustro alla nostra città.