Continua il processo a Rino Giacalone per aver offeso la reputazione di un mafioso

rino giacaloneTRAPANI. Si è svolta ieri mattina dinanzi il Giudice Monocratico del Tribunale di Trapani, Gianluigi Visco, l’udienza del processo a carico del giornalista trapanese Rino Giacalone, direttore di Alqamah.it, reo di aver “offeso la reputazione di un mafioso”.

In aula, oltre agli avvocati di fiducia di Rino Giacalone, anche una delegazione di volontari di “Libera” e di “Libero futuro” a sostegno del giornalista. Per la parte civile i familiari del defunto Mariano Agate, moglie e figli, che hanno querelato il giornalista, difesi dall’avvocato Cardinale Celestino.

Nell’udienza di ieri sono stati sentiti come teste lo stesso Giacalone e il Capo della Squadra Mobile di Trapani Giovanni Leuci.

Alle prime domande poste dal PM, in riferimento alla frase “pezzo di merda”, Giacalone ha risposto che “quella in oggetto è una frase famosa che ha fatto sempre parte di me avendo seguito la vicenda di Peppino Impastato.” Rino Giacalone, lo ricordiamo, è sotto processo per avere definito il boss Mariano Agate “un pezzo di merda”, frase che secondo la difesa di Rino è parte della famosa frase di Peppino Impastato “la mafia è una montagna di merda”.

“L’articolo nasce in una situazione ben precisa, il momento del ricordo del giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto e il processo Rostagno. L’Agate – spiega Giacalone rispondendo alle domande del PM- rappresenta la mafia trapanese, la massoneria. Se la mafia è una montagna di merda lui rappresenta un pezzo di quella montagna. Non ho offeso la persona, ma ho citato un capo mafia che ha molte responsabilità in provincia di Trapani.”

Si tratta sicuramente di un processo storico unico nel suo genere che segnerà, in un modo o nell’altro, il modo di fare antimafia e informazione in Italia.tribunale-trapani

Il fatto in questione riguarda un articolo pubblicato sul blog “Malitalia” dal titolo “Don Mariano Agate è arrivato al capolinea”. Un articolo che non è stato digerito dalla vedova Rosa Pace e dai figli che hanno così querelato il giornalista chiedendo 50 mila euro di risarcimento.

Durante il dibattimento diverse volte Giacalone ha spiegato che “la definizione di reputazione non sembra che si possa attribuire al Mariano Agate, in quanto capo mafia condannato diverse volte per reati di mafia”. Sicuramente un boss dal “pedigree” importante a giudicare dalle numerose vicende che lo hanno visto protagonista in provincia di Trapani e non solo.

A fine della deposizione Giacalone ha lasciato delle dichiarazioni spontanee, spiegando meglio il concetto: “La mia affermazione può essere umanamente comprensibile ma non può offendere la reputazione di un mafioso. Nasce da un indignazione morale e in un contesto storico preciso. Non può più essere considerata offesa, è entrata ormai nel linguaggio letterario”. Lo stesso Giacalone ha ricordato che non è stato preso nessun provvedimento da parte dell’ordine dei giornalisti nei suoi confronti, segno che non ha leso il codice deontologico. Durante la lettura della memoria di Giacalone, i familiari presenti in aula hanno più volte scosso la testa in segno di disapprovazione per le parole espresse dal giornalista.

Infine, Giacalone ha ricordato anche la figura di Mauro Rostagno e del collega morto proprio in queste ultime ore, Santo Della Volpe, che oggi doveva essere proprio in Tribunale al suo fianco. Sentito anche il Capo della Squadra Mobile Giovanni Leuci sui fatti che riguardano la reputazione del boss mafioso.

Nella prossima udienza sarà sentito Salvo Vitale per chiarire meglio il concetto “la mafia è una montagna di merda”.