Gli studenti dell’Università di Palermo incontrano Franca Imbergamo “Ancora tanto da sapere sulle stragi di Capaci e via D’Amelio”

Imbergamo Franca“La mafia è oggi soprattutto corruzione. I mafiosi li abbiamo individuati adesso mancano i mandanti, cioè chi ha partecipato alle stragi nascosto nell’ombra . Spesso i silenzi dei politici non sono reati penali ma hanno una responsabilità politica, che va oltre alla responsabilità penale.”

PALERMO. Si è tenuta ieri presso  il Polididattico dell’Università degli Studi di Palermo una lezione con la Dottoressa Franca Imbergamo, magistrato di lungo corso che ha lavorato al fianco di Caselli nel pool palermitano e che oggi lavora alla Direzione Nazionale Antimafia (DNA) a Roma. Attualmente è sostituto procuratore generale di Caltanissetta dove si occupa delle indagini sulle stragi del 92, in particolare delle stragi di Capaci e Via D’Amelio.

L’incontro voluto e organizzato dalla Professoressa Alessandra Dino che insegna Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale all’Università di Palermo, oltre ad essere componente del comitato scientifico della rivista “Narcomafie”. Tra le sue più recenti pubblicazioni troviamo: La violenza tollerata: mafia, poteri disobbedienza; La mafia devota: chiesa, religioni Cosa nostra; Gli ultimi padrini. Indagine sul governo di Cosa nostra.

La Dottoressa Imbergamo ha incontrato  e parlato con gli studenti, rispondendo alle loro domande, sulle stragi e sul rapporto tra mafia e politica. “Ho lavorato per anni nel pool di Gian Carlo Caselli e oggi lavoro all’ufficio voluto fortemente da Giovanni Falcone. All’epoca la DNA era un ufficio che faceva paura, oggi no. Noi oggi abbiamo molti poteri di coordinamento, io mi occupo delle indagini sulle stragi. Oggi il paese si è riempito troppo di retorica. La commozione – sottolinea la Dottoressa Imbergamo – non deve diventare retorica, parola ormai abusata. Oggi in Italia non c’è nessuno che a parole non sia contro la mafia, nei fatti poi è diverso”.

“La mafia è oggi soprattutto corruzione (in politica come in magistratura). ” Non usa mezzi termini la Dottoressa Imbergamo, spiega con parole semplici il concetto chiave che da anni lega l’universo mafioso  e la politica. “Si muore quando si è lasciati soli – diceva Falcone – ma aggiungo io anche quando si fa un passo avanti. – aggiunge diretta – Non si tratta di un fenomeno di bande criminali, la mafia è molto di più. Si tratta di persone che hanno importanti legami sociali con i poteri forti (la criminalità dei poteri, quella dei cosiddetti colletti bianchi, ndr). I mafiosi li abbiamo individuati – aggiunge – adesso mancano i mandanti, cioè chi ha partecipato nascosto nell’ombra. Il caso dell’agenda rossa di Paolo Borsellino per esempio è una vergogna nazionale!”

“Oggi la posta in gioco è alta – sottolinea – c’è ancora tanto da capire sulle stragi. E purtroppo quando si alza il livello di attenzione, quando si va oltre alla semplice retata agli estorsori di un quartiere, si trovano mille difficoltà. Gli omicidi politico-mafiosi (per esempio gli omicidi di Peppino Impastato, del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, di Pio La Torre) ci fanno capire che Cosa Nostra non è un “clan di pastori”.  Ma è qualcosa di più importante”.

“La magistratura non può spiegare tutto, non può svelare una verità storica, ma una realtà processuale, una verità penale. Spesso però  i silenzi dei politici non sono reati penali ma hanno una responsabilità politica, che va oltre alla responsabilità penale. Responsabilità penale e responsabilità politica camminano insieme e questo in Italia, purtroppo, si è dimenticato”.

La dottoressa Franca Imbergamo, che oggi indaga sulla strage di Capaci, spiega un passaggio chiave sulla vicenda che poi è anche al centro del processo sulla trattativa Stato-mafia in corso a Palermo. “Nel marzo/aprile 1992, un commando pedinò Giovanni Falcone a Roma. Lui spesso durante il suo soggiorno romano si “liberava” un  po’ della scorta andando in giro per le vie romane. Il commando doveva uccidere Falcone a Roma, bastava poco. Il nemico numero uno di Cosa Nostra era a tiro, ma poi improvvisamente arrivò un ordine da Palermo, non si doveva fare a Roma ma a Palermo e in modo eclatante. Perché? Evidentemente non bastava ucciderlo. Ecco perché dopo vent’anni ne parliamo ancora. Borsellino aveva capito subito che non si trattava di una semplice strage mafiosa; per questo motivo la sua morte fu accelerata. Quindi è ovvio che non può essere solo una questione di “pastori”. Un mafioso durante un interrogatorio mi disse: “sa qual è la differenza tra me e lei? Noi le sentenze le eseguiamo” si tratta di una mentalità militare. Che bisogno c’era di farla così eclatante la strage? Evidentemente rispondeva alla logica politico-mafiosa”.

Oggi a Caltanissetta di occupa anche delle minacce a Scarpinato, proprio per questo sottolinea: “Mi auguro che ci sia sempre la volontà di tutti i colleghi alla collaborazione. O si lavora tutti insieme o si perde, non è una guerra personale; la lezione di vita di Giovanni Falcone non si deve perdere di vista. Ognuno deve fare la sua parte e lavorare tutti insieme evitando l’esposizione del singolo.”

Infine traccia la linea della nuova mafia e del rientro degli “scappati”: “Oggi armi e droga sono tornati ad essere affari importanti per Cosa Nostra. I legami con le famiglie mafiose americane sono ancora solidi. Anche se oggi la ‘ndrangheta con un sms può far partire una mediazione con i narcotrafficanti colombiani. Ci sono molte persone che possono spostare milioni di euro con un semplice sms. Questi soldi poi entrano nell’economia legale. Tutto questo purtroppo è ancora presente. Non possiamo indignarci per le infiltrazioni nell’Expo di Milano e poi non fare una legge antiriciclaggio seria.”

Conclude infine rivolgendosi direttamente agli studenti: “Scegliete liberamente. Dovete uscire da quest’aula con la consapevolezza e la libertà di scelta”.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.