Trattativa Stato-mafia, il pentito Messina: “Andreotti punciutu. Volevo uccidere Bossi”

PALERMO. Si è tenuta ieri l’udienza sulla trattativa Stato-mafia presso l’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, davanti la Corte d’Assise. Chiamato a deporre il collaboratore di giustizia Leonardo Messina. Presenti in aula i pm Del Bene, Tartaglia e Di Matteo. Presente anche Massimo Ciancimino.

Leonardo Messina, mafioso della famiglia di San Cataldo in provincia di Caltanissetta, fece arrestare in passato più di duecento mafiosi collaborando con Paolo Borsellino. Messina risponderà alle domande dei pm come testimone assistito.

Inizia l’esame il dott. Di Matteo: “Ha mai fatto parte di Cosa nostra?” “Io sono nell’ambiente di Cosa nostra fin da piccolo. Sono mafioso di settima generazione, solo mio padre si è salvato, poi è toccato a me prendere in mano la famiglia. Ero il braccio armato di Luigi Calì e ho giurato con lui, solo successivamente sono stato affiliato alla famiglia di San Cataldo. Da uomo d’onore ho commesso un omicidio, poi sono diventato sotto capo della famiglia di San Cataldo e successivamente ho cambiato mandamento passando con i corleonesi di “Piddu” Madonia, diventando suo uomo di fiducia.” Il pentito Messina rispondendo alle domande del pm Di Matteo ripercorrendo gli anni della sua affiliazione e quelli successivi.

“La notte della morte del giudice Falcone in carcere i boss brindarono con champagne. Io invece provavo dolore. Le parole della moglie di quell’agente di scorta mi hanno fatto riflettere. La mia vita era cambiata, da qualche tempo non volevo più fare parte di Cosa nostra perché non c’erano più regole.” Così Leonardo Messina racconta quel conflitto interiore che lo ha portato alla collaborazione. “Ho iniziato a collaborare con Borsellino perché lui mi ascoltava per ore. Da me voleva solo la verità”.

Poi continua raccontando gli anni passati al fianco di Liborio “Borino” Miccichè e “Piddu” Madonia. “Con Miccichè eravamo culo e camicia, ci vedevamo più volte al giorno. Per ordine di Madonia invece mi occupavo di appalti nel centro della Sicilia e andavo ad intimidire gli imprenditori. Ho anche ucciso. Mi sono occupato della cocaina e soprattutto delle armi. Mi sono occupato anche degli appalti per l’illuminazione di Vallelunga, di un Istituto Tecnico e uno magistrale di Caltanissetta.”

“Madonia – continua Messina – non si occupava solo di Caltanissetta, è riduttivo dire così, ma di altre tre o quattro provincie. Incontravo Madonia sempre, anche durante la sua latitanza, a Bagheria”.

Continuando a rispondere alle domande del Pubblico Ministro Di Matteo, si sofferma sulla questione politica, concentrandosi soprattutto sulle vicende legate al Maxi processo di Palermo. “Loro (Madonia, Miccichè, ndr) parlavano di politica riferendosi a Lima, Andreotti e Carnevale. Erano convinti che il Maxi processo non avrebbe creato tanti danni perché c’erano queste persone che ci davano garanzie.” Poi Messina continua dicendo che “La mafia ha il potere economico (i soldi) e quello politico, nessuna altra organizzazione ha questo potere”.

Leonardo Messina è stato uno dei primi pentiti a parlare del ruolo di Andreotti in Cosa nostra. “Mi è stato detto chiaramente che Andreotti era un uomo d’onore, un punciutu. Un nostro affiliato. Su Andreotti c’era un chiacchiericcio continuo. Successivamente – continua – c’è stata una fase di confusione perché si era saputo che il Maxi processo non sarebbe passato da Carnevale (soprannominato l’ammazzasentenze, ndr). Tutto finisce lì. Dopo i politici si sono allontanati. Si iniziano a lamentare di Andreotti, Lima e altri. C’è stato così il momento in cui Cosa nostra non ha votato più la Democrazia Cristiana ma i socialisti. Martelli aveva preso i suoi impegni, anche se poi non li ha mantenuti”.

Continua spiegando anche la struttura di Cosa nostra e della commissione nazionale “in Cosa nostra c’è anche la commissione nazionale che regola i rapporti tra le organizzazioni criminali italiane. Mi era stato detto chiaramente. Riina era stato eletto capo nazionale. La commissione regionale si occupava invece di grandi appalti e grandi omicidi”.

Poi si sofferma sulla sua idea di eliminare Umberto Bossi durante un comizio a Catania. “Bossi ce l’ha con noi meridionali, ora vado e lo ammazzo”. Ma viene fermato da Miccichè. “Miccichè mi disse che era intoccabile perché uomo di Miglio che era a capo della Lega Nord e Miglio era uomo di Andreotti.” Racconta anche del progetto politico della mafia di creare la “Lega del Sud e diventare Stato.” Poi racconta un fatto davvero curioso. “Avevo comprato dal Giappone un apparecchio che ci permetteva di sapere l’ubicazione dei posti di blocco. Successivamente lo avevo messo nelle disponibilità dell’organizzazione.”

“Sono stato contattato dai servizi segreti e dalla massoneria” proprio su quest’ultima si sofferma. “Miccichè mi disse che almeno due uomini d’onore per famiglia dovevano entrare. Ma io non ero molto convinto”.

Infine parla della famosa riunione in cui si decise la morte di Falcone e dei “traditori”. “ Miccichè un giorno, durante una riunione con due imprenditori locali, mi parlò di una riunione provinciale importante, con Riina e altri importanti esponenti di Cosa nostra. Due giorni dopo Miccichè mi disse che si era deciso la morte di Mutolo (già collaboratore di giustizia) e il giudice Falcone. io però non conoscevo Mutolo, non sapevo il motivo di quella decisione”.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.