Niente ci fu- Beatrice Monroy

Ade che rapisce la piccola Kore per sfizio, lasciando la madre Demetra in preda ad un dolore inconsolabile: sembrano segnate da un destino atavico le vite delle donne siciliane, quello dell’obbedienza e del rispetto verso il potere costituito degli uomini, di un’ esistenza fatta di mezze parole e silenzi saturi di significati. E sì che di cose da raccontare ne avrebbero quei corpi spesso sformati dalle troppe gravidanze che, al dovere di madri, hanno sacrificato ogni sogno di istruzione e indipendenza. Eppure qualcosa sembra non funzionare nel dicembre del ’65: in una Alcamo di coppole (immancabili in storie come queste e, troppo spesso, odiosi cliché per altrettanto ridicoli  personaggi) e fuitine, la storia quotidiana precipita nella storia ufficiale, quella dei libri di scuola, che, di li a poco, vedrà la cancellazione del matrimonio riparatore. Già, perché nell’Italia di quegli anni, grazie al Codice Rocco, anche lo stupro non era più stupro se a questo seguiva il matrimonio: e sì che in quel modo se ne erano risolte di camurrie. Così sarebbe stato anche per Franca Viola: la sua colpa? Quella di essere tanto, troppo bella e di aver fatto per questo invaghire di lei Filippo, membro di una nota famiglia mafiosa. Ostinato e deciso ad averla ad ogni costo, Filippo non si arrende al rifiuto del padre, organizza la fuitina, a torto sicuro della protezione dei suoi, e a Bernardo, che a lasciargli in sposa la figlia sembra non pensarci nemmeno, fa bruciare la casa e la vigna. Tutto questo rimane però solo da sfondo nel racconto della Monroy che, forse peccando per chiarezza narrativa, ci porta direttamente nei pensieri della piccola Franca: niente ci fu, vorrebbe urlare da quel letto che non si rassegna a pensare come suo e tornare a casa, dai genitori, dalle amiche che temono e pregano per lei e per loro. Ma è piccola e in fondo vuole solo che le cose si sistemino per il meglio, per questo la troviamo, confusa, a sperare che i suoi si convincano e finalmente poter tornare a passiari pi lu cassaru, accanto al marito, con la sua dignità ora ripulita. E se per lei, come per Kore, l’intervento di una serie di forze, tanto l’onorevole Corrao, quanto gli stessi Melodia convinti che quel Filippo stesse facendo troppo scrusciu, sarà salvifico, è dovuta a tutte le altre donne che come e più di lei hanno sofferto per quel corpo e quello spirito violato l’indignazione che la Monroy sembra voler provocare. Semplice, come le vite delle persone che racconta, pieno di canzoni, articoli di giornali che ricostruiscono il clima del periodo, di lunghi monologhi quasi teatrali che restituiscono i pensieri della ragazza e di  incursioni nelle vite di altri eroi normali (da Danilo Dolci a Peppino Impastato) a cui la cultura dell’antimafia ci ha abituato, il testo sembra infatti più un inno appassionato all’essere donna offeso e umiliato, che un racconto fedele della vicenda. Interessante il “dizionarietto per riflessioni” che, in appendice, ci porta dritti a quei significati spessi, stratificati, contraddittori che, in una cultura in cui parrari assai è pericoloso e pesare le parole vitale, contraddistinguono ogni espressione.

Beatrice Monroy, Niente ci fu, Edizioni la meridiana, 2012  (pp. 110;  € 13,50)

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