Il marciapiede di Popò 4 – Giornate d’agosto

L’ora si è fatta tarda, la strada comincia a diffondere calore nell’aria, il silenzio dei bimbi ormai rientrati in casa è riempito solo dal frinire di una cicala, l’ombra della palazzina si assottiglia, sempre più vicina a Popò e agli altri frequentatori mattutini del marciapiede. Da diverso tempo nessuno più dice niente, il caldo li stordisce, li fa sonnecchiare. Sono solo in attesa che il sole li sfiori, segno che l’ora di pranzo è arrivata, il momento di rientrare ognuno nella propria casa a rianimare la discussione con il tizio del telegiornale. Un’automobile piuttosto buffa, dalla forma tutt’altro che aerodinamica, entra dal lato opposto della piazza. La sentono più che vederla, il motore diesel che soffre per la salita con l’aria condizionata accesa, la ventola che stride la propria disapprovazione verso chi la costringe agli straordinari a quelle temperature. Poi l’auto, dopo un’indecisione, invece di proseguire verso il centro del paese, continua il percorso attorno alla piazza percorrendola in senso antiorario fino a trovarsi di fronte al marciapiede di Popò e ai suoi occupanti. Forse avranno bisogno di un’indicazione, riflette Popò, quando vede abbassarsi il finestrino dell’auto dalla parte del passeggero davanti. Una bella signora bionda con occhiali, cinquantina, dal viso un po’ spigoloso, si sporge dal vetro e domanda di un indirizzo che lui non afferra, forse perché intorpidito, oppure è vero che non ci sente più come prima. Gli altri attorno gli sembrano più stonati di lui, perciò decide di alzarsi per gentilezza nei confronti degli occupanti di quella strana vettura. Ma riesce appena a compiere il primo passo che uno scatenato ragazzo, occhiali scuri, visiera con miniventilatore incorporata, camiciona maniche corte stampata azzurra e arancione, è già saltato fuori dal portello posteriore brandendo in mano quello che sembra un incrocio tra un vassoio e un borsello rigido. Popò rimane fermo indeciso sul da farsi, mentre il borsello si apre a serranda rivelando lo schermo di vetro scuro di un computer. Intanto il guidatore dell’auto, un uomo maturo, forse sessantino, non robusto ma con la pancia che si indovina sotto la polo verde, occhiali da sole con lenti sfumate, si avvicina a passo svelto e le mani aperte davanti a sé con gesto pacifico di chi mostra di non essere armato. Finalmente la cicala (che Popò ritiene si annidi sul primo Falso pepe sulla destra, di fronte casa di Vito lu Pirollu, al quale però essendo sordo fastidio non dà) decide di concedere una breve tregua agli astanti, per cui Popò percepisce: “… Americano, se si potesse fare una foto”. Popò non capisce, ma gentilmente si gira verso Petro l’Americano: “Petro, i signori qui vogliono che gli fai una fotografia”. Petro abbozza ad alzarsi, poi ci ripensa: “La mia machina è in my house, l’haio a casa”. “Forse i signori la vogliono fatta con questo”, risponde Popò indicando il computer, “forse la devi fare tu perché è americano”. “Popò, ma io non lo so usare lu computer, se c’era my son, me figghio…”     “No, guardi, la foto la vuole fare mio nipote a tutti voi, se non vi dispiace. Vede, è americano e gli piace fare delle foto caratteristiche del paese. Per ricordarsi poi del paese quando è in America. Se per voi signori non è un disturbo … lei dovrebbe tornare a sedersi vicino ai suoi amici e mio nipote vi fa una foto”. Popò rimane un attimo interdetto, poi torna al suo posto, all’ombra, ché il sole di quei pochi istanti lo sta già facendo sudare sulla schiena. Il giovane americano pare che si guarda allo specchio, nel vetro del computer, poi dice okay e alza il pollice. A quel punto però Don Minzione protesta: “Ma che foto facisti, a quattro vecchi? Venga almeno la signora a farci compagnia, che la ingentilisce un poco ‘sta foto!”. La signora non sembra d’accordo, dice che non ama mettersi in mostra, non è certo una modella. “Seee, ma lei è più che una modella, signora”, risponde Santino Campo rispolverando galanterie dimenticate, “e poi in confronto a noi…”. “Così la foto se la porta con qualcuno che conosce, che se la porta con qualcuno che conosce”, insiste Nanà Viola. Insomma la signora bionda non può rifiutare, si dirige quindi in mezzo ai pensionati seduti, piazzandosi in piedi dietro di loro, piegata un po’ in avanti, con le braccia dietro le spalle di Nanà Viola e Vitu lu Pirollu, sfoderando un breve sorriso d’occasione. Anche i pensionati in questa foto risultano molto più allegri che nella precedente. Poi i turisti ringraziano, danno la mano a tutti e rapidamente se ne vanno sulla loro auto buffa. Popò e gli altri rimangono in silenzio, ognuno assaporando la novità di quanto appena avvenuto, poi perdendosi nella memoria di fatti accaduti ai tempi di quando erano giovanotti, mi ricordo di quella ragazza bionda che quella volta dal treno mi mandò un bacio – chissà se l’avessi preso quel treno –, della prima volta che andai dal fotografo insieme a mia moglie vestiti da sposi, di quella volta che andammo in gita in macchina fino a Cefalù, senza macchina fotografica ma con tutte le immagini stampate qui in testa.
Poi compare dalla porta Maria, la moglie di Popò, in uno dei suoi soliti vestitini a fiori e nel salutare tutti i presenti, che si accingono a lasciare il marciapiede insieme all’ombra, ricorda che il giorno dopo i due coniugi non ci saranno, impegnati sin dalla mattina presto nel fare la salsa, su nella proprietà della Crocicchia. “Domani c’è scirocco”, annuncia zù Turì lu Picciune. “Non possiamo rimandare”, ribatte Maria, “ci sono le cassette pronte e ci prestano il passatutto quello grosso”. “Anche con lo scirocco, là sopra abbiamo un capanno che ci ripara e l’acqua di un pozzo: stiamo a posto”, ribadisce Popò. “Certo, ora avete tutto là, ma se non vi volete spostare”, suggerisce Santino, “noi invece la salsa la facciamo qua e poi andiamo a pulire tutto all’abbeveratoio di Corso dei Mille. Là c’è acqua a volontà e ci puliamo i pentoloni e il passatutto… è molto comodo, una volta la facciamo assieme”.

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