Film di guerra alla tivù

La guerra entusiasma, soprattutto se non si rischia niente.

In TV mi passano davanti per settimane le immagini di queste rivolte o rivoluzioni che avvengono ad un passo da noi, ma sembrano provenire da un altro mondo, o da un altro film americano dall’esito scontato (facciamo fatica a distinguere ciò che è reale dal mondo inventato in televisione)onnello Gheddafi, che per dimostrare giosi loro. Si, tutto andrà a finire bene, i buoni alla fine vinceranno. E così sembra andare quando i Presidenti di Tunisia ed Egitto sono costretti a dimettersi dalle proteste di questi coraggiosi (e forse disperati) giovani del web-maghreb . Allo stesso modo ci aspettiamo che debba andare quando il più crudele di tutti, il colonnello Gheddafi, che con arroganza comanda la Libia mantenendo il titolo militare e non quello di una carica pubblica pseudo-democratica, viene messo sulla difensiva dai suoi connazionali, che inizialmente riescono a liberare molte città. Ma il dittatore resiste e riordina il suo esercito di mercenari pagati grazie al denaro accumulato con il petrolio, e agli accordi fatti nel tempo con i suoi soci italiani.

Mi chiedo per giorni guardando in tivù l’avanzata delle sue truppe e i disperati difensori di Bengasi (e di altre città, che indisciplinatamente a macchia di leopardo pare siano in mano ai ribelli, la carta geografica proposta a Porta a Porta non è ordinata come in un film che si rispetti) perché la comunità internazionale non intervenga, cosa faccia l’UE oltre che parlare di soldi o di conti bloccati. Intanto Gheddafi, il cattivo, riconquista la zona dei terminal petroliferi e allora ai governi d’Europa non conviene più appoggiare i ribelli, è con lui che si dovrà tornare a trattare in futuro.

Quando infine ci si prepara all’ultimo atto, l’attacco a una Bengasi terrorizzata e semi-abbandonata, all’improvviso si strappa all’ONU una risoluzione in favore dei civili e i caccia francesi bombardano la colonna militare di Gheddafi bloccandola alla periferia della città cirenaica. Questo proprio come in un film americano, quando il protagonista abbronzato e prodigo di battute, riesce a salvare la città dallo scoppio dell’atomica staccando un cavo quando il cronometro era giunto ormai a zero.

Che suspence! Con quanto sollievo mi levo sulla sedia per festeggiare l’intervento francese. Arrivano i nostri, appena in tempo! Se si aspettava gli altri, chi doveva comandare, chi doveva far cosa e andare dove, Gheddafi avrebbe soffocato la ribellione e sarebbe stato troppo tardi. La sera partono i missili americani, i tornado italiani (che però forse vanno solo in gita). Che bello, poi, vedere Birgi in televisione, non ci sentiamo più dimenticati in questa punta lontana d’Italia.

L’indomani si vedono i primi morti, risultato dei bombardamenti, festeggiati dai ribelli libici.

E all’improvviso mi sveglio, esco dal film nel quale sono stato costretto in queste settimane. Mi alzo e mi guardo allo specchio. Io, perfino io, che ho appeso al balcone la bandiera arcobaleno, che ho tifato in pantofole per i girotondini, i no-global, il popolo viola, abbonato all’Espresso e a Micromega, frequentatore dei siti di Beppe Grillo, di Emergency e di Greenpeace, mi sono lasciato abbindolare dal richiamo del film di guerra americano. Chissà gli altri allora.

Così apro gli occhi, il giornale, e che trovo?

Le borse stanno riguadagnando tutto quello che avevano perso per il terremoto (con le commesse militari le industrie e le banche vanno a nozze), il problema nucleare viene rinviato di un anno dal governo (così a giugno nessuno si rovinerà la domenica per andare a votare), i processi del Presidente del consiglio sono finiti nel dimenticatoio (e passa sotto silenzio persino una legge sulla prescrizione breve infilata di straforo in una commissione parlamentare). Attento Alberto, qualcuno tenta di fregarti!

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