Omicidio a Cernusco, arrestato trapanese

Si tratta di Leonardo La Grassa

Dopo quell’esecuzione, spietata e studiata a tavolino, se n’erano andati al bar. Lì, a poca distanza da casa di uno di loro, avevano bevuto e si erano fermati a chiacchierare. Poi avevano ricominciato a “lavorare”, facendo sparire le armi o almeno provandoci. Quello, però, è stato uno degli errori che alla fine li ha traditi, uno degli errori che ha permesso ai carabinieri di ricostruire pezzo dopo pezzo il puzzle dell’omicidio, dando un volto e un nome al mandante e al killer.

Due uomini sono stati arrestati lunedì per la morte di Donato Carbone, il 63enne ex imprenditore edile ucciso lo scorso 16 ottobre nella “galleria” dei box del suo condominio, un palazzo al civico 17 di via don Lorenzo Milani a Cernusco sul Naviglio.

In manette, fermati dai militari della squadra omicidi guidati dal colonnello Michele Miulli e dal tenente colonello Cataldo Pantaleo, sono finiti Leonardo La Grassa – settantadue anni, trapanese, ritenuto il mandante – ed Edoardo Sabbatino, palermitano di cinquantotto anni considerato l’esecutore materiale del delitto, che sarebbe avvenuto per vendetta nell’ambito di un giro di usura di cui facevano parte assassini e vittima.

Il corpo nella Mercedes

Il lavoro degli investigatori era iniziato alle 18.45 del 16 ottobre, quando un residente del condominio in cui viveva il 63enne ucciso aveva segnalato la presenza di un cadavere all’interno di una Mercedes ancora in moto e con la radio accesa.

I militari avevano immediatamente cristallizzato la scena del crimine: il corpo di Carbone ancora nell’auto, con la gamba sinistra fuori dal veicolo, e a terra undici bossoli, di due diverse armi. Una prima grande mano era arrivata da una testimone: una donna che tornando a casa era stata minacciata da un uomo a bordo di una Opel Corsa nera che le aveva intimato di aprire il cancello. Due particolari erano rimasti in mente alla signora: i guanti sulle mani di quell’uomo e, soprattutto, una felpa che aveva addosso con due strisce bianche quasi catarifrangenti.

“Caccia” all’Opel Corsa

Così, i carabinieri hanno iniziato la caccia a una Opel Corsa nera – la donna aveva anche preso parzialmente la targa -, che era poi stata ritrovata alle 21.55 in via Papa Giovanni XXIII a Cologno Monzese ed era risultata rubata a Brescia il 18 settembre. A quel punto, i militari hanno cercato quella macchina nelle varie telecamere di video sorveglianza tra Cernusco e Cologno e hanno guardato tutte le immagini, ore e ore di registrazioni, che potevano aver ripreso il presunto killer.

Da lì è stato ricostruito il “film” dell’omicidio: la vittima che torna a casa con la Mercedes, la Corsa che lo segue nei box, il killer che scende, spara undici colpi con due diverse pistole – una si era inceppata – e quella stessa auto che resta bloccata perché il cancello si è richiuso.

Il brindisi al bar

La seconda svolta è arrivata poco dopo: l’assassino, reso riconoscibile proprio da quella felpa vistosissima e ripreso dalle telecamere del locale, si era infatti incontrato in un bar di Cologno con La Grassa, che nella sua vita ha scontato ventidue anni in carcere per droga e che, per questo, è particolarmente noto ai carabinieri.

Il mandante, però, non era solo al bar. Sempre attraverso le immagini, gli investigatori – coordinati dalla pm Roberta Amadeo – hanno verificato che il giorno precedente insieme al killer aveva effettuato diversi sopralluoghi, che proprio la sera in cui Carbone era stato ucciso si era avvicinato al condominio della vittima e aveva atteso lì come a voler verificare che i piani fossero andati come previsto e che – ancora – poco dopo aveva gettato le due armi nel letto del Naviglio Martesana a Vimodrone.

La felpa “vistosa”

Identificato il mandante, i carabinieri si sono quindi concentrati sul killer e sulla sua “particolarissima” felpa, la stessa che indossava il passeggero della Mercedes di La Grassa durante una “ricognizione” la sera prima dell’omicidio.

Non avendo più visto quell’uomo a Cologno o Cernusco, i carabinieri sono passati a controllare i pregiudicati del Bresciano – l’auto era stata rubata proprio lì – e sono così arrivati a identificare Sabbatino, che di anni in carcere ne ha fatti sedici e che ha un precedente di polizia degli anni ’70 per tentato omicidio.

L’ultima conferma è arrivata a inizio novembre, quando gli investigatori – che stavano ormai stringendo il cerchio – sono riusciti anche a documentare un incontro tra mandante e killer, che si erano conosciuti in passato a Cologno, dove negli anni scorsi aveva abitato anche la vittima.

Quello tra i tre è un rapporto sul quale le indagini sono ancora in corso, ma appare certo – scrivono il pm e il Gip Natalia Imarisio – che l’omicidio sia avvenuto per vendetta all’interno di un giro di usura. E altrettanto chiara appare la pericolosità degli arrestati: “Hanno agito – mette nero su bianco il giudice – con feroce determinazione e freddezza e hanno pianificato le fasi del delitto” e “non può non essere sottolineata l’apparente freddezza con cui gli indagati s’incontrano e consumano bevande al bar subito dopo il delitto”.

*fonte MilanoToday.it

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