Racconti migranti/7. La storia di Adama: “Non sono mai andato a scuola, qui ho imparato a leggere e scrivere”

Dalla scuola negata in Mali all’arrivo in Italia. La fuga di un quindicenne verso la libertà

Foto SOS Mediterranee

“Non ho mai frequentato la scuola in Mali, non mi è stato permesso.” Infanzia negata e scuola vietata. È il racconto di Adama, nome di fantasia, 17enne del Mali da due anni in Italia. La sua è una storia comune a molti, realtà difficilmente immaginabili ma terribilmente attuali. Lui è nato in un piccolo paese maliano, da una famiglia modesta, ma numerosa. Nel suo Paese c’è un’usanza: se un fratello non riesce ad avere figli il fratello ne “regala” uno dei suoi. Di quel figlio il padre non ne vorrà sapere più niente. Non lo ascolterà, non lo proteggerà. Adama cresce così nella famiglia di suo zio, ma non viene trattato bene. Lavorava nei campi dalla mattina alla sera. Ancora piccolissimo viene impiegato nella raccolta di pomodori, melanzane, meloni e cipolle. Non ha frequentato la scuola neanche un giorno, la sua scuola era la campagna. Se si ribellava, se voleva andare a scuola come i suoi coetanei, lo picchiavano. Adama inizia a stancarsi di quelle violenze, di quelle sofferenze. Le botte, le giornate sotto il sole. Era piccolo, a dieci anni basta un pallone per essere felici. Lui non chiedeva molto, giocare e studiare come gli altri. Voleva essere felice e libero, rincorrere un pallone tra i campi mentre gli adulti lavoravano. Non gli fu permesso. In Mali l’infanzia viene negata anche così, opprimendo i sogni dei bambini. E questo Adama lo aveva capito sulla propria pelle.

Non ancora quindicenne decide di scappare. La scintilla tanto attesa arrivò una mattina: “Per punizione non mi hanno fatto mangiare per un giorno intero. Stavo male, così decisi di andare via.” Prende un autobus da solo e raggiunge la capitale Bamako. Lì girovaga per un po’, poi un signore si accorge di lui e gli procura una prima assistenza: un letto, un tetto e qualcosa da mangiare. Viene accolto bene in una piccola comunità. Ma non durerà molto, così decide di raggiungere la vicina Algeria. Lì conosce alcuni ragazzi, più grandi di lui. Lo accolgono nel loro gruppo. Si affeziona molto a un ragazzo in particolare che lo tratterà come un fratello: “Mi voleva bene. Con lui ho provato a lavorare un po’, non avevo soldi”. Adama inizia così a fare il muratore, anche se piccolino era riuscito a conquistarsi la fiducia degli altri ragazzi.

Foto Polizia di Stato

Un giorno l’amico gli propone di andare in Libia da alcuni suoi parenti per poi provare a raggiungere l’Europa. Così Adama, che non aveva nessun altro oltre lui, decide di seguirlo. Partono presto, su un grosso pick-up insieme ad altri ragazzi. Ad attenderli giorni difficili nel deserto, sotto il sole cocente. Adama sul fuoristrada affronta un lungo viaggio, quei granelli di sabbia sembravano infiniti e gli penetravano dentro l’anima. Timide lacrime pian piano scavano un solco sul viso, ma lui, anche se molto giovane, decide di essere forte e di non guardasi indietro. I giorni passano e la stanchezza lentamente inizia a farsi sentire: poco cibo, poca acqua e molto caldo. “Ero il più giovane del gruppo, mi aiutavano e mi volevano bene.” All’improvviso però il loro mezzo viene bloccato da alcuni soggetti armati non identificati. Volevano dei soldi e, armi in pugno, iniziarono a minacciare. Entrambi avevano già pagato per affrontare il deserto e per il successivo viaggio in gommone. L’amico di Adama viene ucciso perché non aveva soldi e si era opposto, gli sparano senza pietà. Per gli altri si aprirono le porte di un centro di detenzione in Libia, a Tripoli. Adama rimane da solo, ma non si abbatte. Sa che deve crescere in fretta per affrontare la vita. “Adesso posso dire di essere stato in un carcere, sul momento non riuscivo a definirlo così. Era un centro in cui stavamo raccolti come pacchi postali. Eravamo tantissimi. Io ero il più piccolo del gruppo e non mi hanno fatto del male fisicamente, ma psicologicamente è stato terribile. La gente sparava a chi si ribellava, spesso picchiavano duro. Un clima insopportabile per chiunque.”

Foto Ansa

Tre mesi di inferno, tra liti e violenze. Fino a quando non riescono ad andare via, lui e un altro gruppo di ragazzi. Lo aiutano a raggiungere la spiaggia di notte. Lì assiste a un fiume di uomini, donne e bambini che si accalcavano per salire su un grosso gommone. “Eravamo circa 120 persone. Siamo partiti con la luna alta, il mare iniziò presto ad agitarsi e con lui anche le persone a bordo. Per me era la prima volta in barca, in verità era la prima volta che vedevo tutta quell’acqua insieme.” Adama non conosceva il mare, non sapeva neanche quale fosse il suo nome. Quella distesa infinita di acqua gli provocava ansia e l’orizzonte era sempre troppo lontano. La paura di morire affogato era sempre più forte. Fino a quando la mattina successiva una nave, che lui ricorda essere italiana, li portò in salvo. “Siamo arrivati al porto di Catania, lì ci hanno identificati e trasferiti. Io sono andato subito a Mazara del Vallo in un centro per minori non accompagnati.” Resta a Mazara circa dieci mesi, inizia a frequentare la scuola. “Ho frequentato alcuni corsi di alfabetizzazione e ho imparato a leggere e scrivere.” Oggi si trova a Marsala da circa un anno e tra pochi giorni diventerà maggiorenne. Adesso è iscritto all’istituto Alberghiero e sta studiando da cuoco. “Mi piacerebbe lavorare in cucina, però sono molto appassionato di auto e moto,vorrei provare a fare il meccanico un giorno”.

“Qui a Marsala mi trovo bene, sto bene fisicamente e nel tempo libero sto imparando anche a suonare la chitarra nel centro sociale di Sappusi. Salvini? Ne ho sentito parlare, molti miei amici del centro di accoglienza sono scappati via. Sono andati in Francia o in Spagna per paura della sua legge, io invece vorrei restare qui e continuare gli studi. Certamente un po’ questa “Legge Salvini” mi fa paura, non voglio essere trasferito altrove o scappare via dall’Italia. Non ho proprio voglia di affrontare un altro viaggio, soprattutto non adesso che finalmente ho trovato serenità”. Adama non parla bene l’italiano, ma riesce a farsi capire e ha una gran voglia di imparare. A tratti è il suo sorriso che parla per lui.

“Ogni tanto sento mia madre al telefono, lei è ancora in Mali e sta bene. È felice di sapere che anche io sto bene e che adesso studio e suono la chitarra. Mio padre invece non lo sento. Lui non mi ha perdonato. La fuga per lui è stato un fatto grave. Imperdonabile.” Adama oggi sorride, il peggio è passato. Adesso ha fatto conoscenza anche con il mare. A Marsala certamente quello non manca e lui, finalmente, non ha più paura dell’orizzonte.

La prossima storia sarà pubblicata domenica 17 marzo 2019.

Foto di copertina SOS Mediterranee.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.