Racconti migranti/2. La storia di William: “Sono scappato dalla Nigeria che ero ancora un bambino”

Dagli anni in Nigeria all’uccisione del padre e della madre, fino all’arrivo in Italia. Il racconto di chi cerca un futuro migliore

Foto Massimo Sestini

ALCAMO. “Ho lasciato il mio Paese ancora minorenne per cercare una vita migliore”, inizia così la storia di William, nome di fantasia, 18enne nigeriano in Italia dal maggio del 2017. Ancora bambino decide di lasciare la sua città, dopo aver fatto qualche lavoretto come venditore di scarpe. In Nigeria frequentava la scuola. William è uno sveglio, gli piace molto studiare e imparare cose nuove. Suo padre era un politico locale, ucciso dai soldati nel 2000. Da lì rimane da solo con i fratelli più piccoli e la madre. Poi, nel 2009, venne uccisa anche la madre, così William cresce con i nonni che si prendono cura di lui e degli altri fratelli e sorelle. La morte della madre segnerà profondamente la sua vita tanto da spingerlo, una volta cresciuto un po’, ad abbandonare la sua città. Né i nonni anziani né lo zio riuscivano più a pagargli la scuola, così, non avendo altre possibilità, decide di partire: “Era il 2015 quando presi questa decisione, non avevo altra scelta. Dalla Nigeria andai in Niger e trovai lavoro come muratore, ma durò poco. Dopo 3 mesi mi spostai in Libia e anche lì ho lavorato come muratore e facevo anche le pulizie in casa”.

In Libia era diventato uno schiavo: o lavorava per un capo che poi gli avrebbe pagato il viaggio con il barcone o lavorava gratis sperando poi che lo stesso capo/padrone lo facesse imbarcare. Non aveva altra scelta. In Libia finisce anche in carcere, una struttura fatiscente in cui la convivenza con gli altri è davvero molto dura: “Era brutto, non si mangiava molto e non c’era abbastanza acqua per tutti. Non si riusciva neanche a dormire, e ogni tanto picchiavano qualcuno che si lamentava.”

Poi un giorno decide di provare ad imbarcarsi per l’Europa, per raggiungere l’Italia. “Ho cercato di prendere la barca che stava per partire, ma i ribelli, militari, non so bene chi, ci hanno bloccato e catturato. Per non farmi scappare mi hanno rotto una caviglia con il calcio del fucile.” Racconta momenti drammatici William, nel “fuggi fuggi” generale i ribelli armati hanno fermato più persone possibili in ogni modo, colpivano per non farli scappare. Viene così portato in un carcere libico, un centro che li avrebbe poi espulsi, ma certamente non gratis. Non aveva soldi, con la gamba sempre dolorante. Non riusciva a camminare bene, ma se voleva uscire dal carcere doveva lavorare: “Per farci uscire ci picchiavano, volevano da noi i soldi. Così sono stato costretto a lavorare anche con la gamba rotta per cercare di uscire.” In Libia, tra Tripoli e Sabrata, rimane quasi 2 anni. Fino a quando trova il modo di uscire dal carcere e imbarcarsi su un gommone della speranza. Si è imbarcato di buon mattino. Il gommone era piccolo e si stava molto stretti. Erano circa 130 persone, molte donne incinte e bambini. Nella calca, durante la traversata, sono morti un ragazzo e la sua fidanzata. Morti soffocati. Schiacciati.

Foto Ansa

A portarli in salvo dal mare una nave, probabilmente una ong tedesca, che li conduce al porto di Catania: “Non ricordo bene, ma era una nave grande, credo fosse tedesca. – racconta William – Dal centro di Catania mi hanno trasferito a Marsala, lì ho studiato e conseguito la terza media. Mi piacerebbe continuare a studiare ma vorrei anche lavorare, mi piace molto il settore turistico”. William infatti ha da poco fatto un piccolo stage come animatore in un villaggio turistico di Rimini. “Mi piacerebbe anche fare un lavoro simile qui, l’importante è lavorare. L’Italia mi ha già dato una bella opportunità, mi piacerebbe farle altre in futuro”. Ogni tanto sente i fratelli rimasti in Nigeria, stanno bene, ma lui di tornare non ne vuole sapere: “il futuro è una cosa imprevedibile, non si può decidere o prevedere come sarà. Io, come molti altri, siamo qui perché cerchiamo ospitalità. Tornare per ora è impensabile.” Sul cosiddetto decreto Salvini, oggi diventato legge, preferisce non dire molto: “Certo, sono un po’ preoccupato, ma non ho paura. Io non ho mai fatto del male a nessuno e qui voglio lavorare e costruire la mia vita. Salvini non conosce le nostre storie, non conosce la nostra realtà. Adesso voglio solo continuare a studiare e magari trovare un lavoro, poi si vedrà.”

Foto di copertina Ansa

La prossima storia sarà pubblicata domenica 6 gennaio 2019.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.