Le minacce e le risate dei mafiosi

Cosa nostra a Trapani. Blitz antimafia Anno Zero: una vittima per la mafia resta tale per sempre. Il boss è morto? E nelle cosche scoppiano le risate

Cos’è Cosa nostra trapanese? E’ una organizzazione che trova sempre capacità di risorgere grazie ad un tessuto sociale dove la maggior parte preferisce continuare a comportarsi come le famose tre scimmiette, quelle che non vedono, non sentono e non parlano. O quando proprio non possono fare a meno di vedere, ascoltare e parlare, lo fanno in modo tale da non far danno alla mafia, anzi le danno quasi una mano a dissacrare le buone azioni che altri decidono di mettere in campo. Complice spesso una informazione che decide di non raccontare per bene i fatti, di indicare processi utili come inutili, parlare di esagerate procedure di sequestro e confische di beni, di insinuare dubbi anche dinanzi lampanti certezze di colpevolezza o addirittura inventarsi indagini di sana pianta per poi presentarsi garantisti davanti a inchieste vere e fondate. Cosa nostra trapanese sa tenere conto di queste attenzioni, come sa tenere conto dei nemici. Cosa nostra trapanese, noi non lo dimentichiamo, è sopratutto la Cosa nostra delle stragi, delle “trattative” con pezzi dello Stato, sanguinaria e omicidiaria, ed è la mafia che sa essere anche vendicativa, non chiude mai i conti con i suoi nemici. E non abbandona mai la presa sulle proprie vittime. La mafia le vuole tenere strette tra le sue tenaglie.  Anche questo viene fuori dall’operazione “Anno Zero”, quella che ha azzerato i mandamenti mafiosi più pericolosi e attivi, quelli di Castelvetrano e Campobello di Mazara, nel cuore di quella Valle del Belice dove i finanziamenti per creare occupazione si sono perduti nei buchi neri delle casseforti mafiose e dove migliaia sono i giovani, e meno giovani, che da decenni per sfuggire al sopravvivere e per vivere debbono emigrare. La mafia ha inghiottito il loro futuro e a Castelvetrano spesso si è sentito dire, e dalla bocca di sindaci, che “Matteo Messina Denaro non è il primo dei problemi”. E chi tra i politici ha cercato di dimostrare che le cose non stanno così ha subito discredito da parte dei colleghi e l’attacco spietato della mafia. Gli investigatori impegnati a controllare gli indagati ad un certo punto li hanno sentiti discutere di ulteriori azioni criminali da attuare nei confronti di chi aveva pubblicamente espresso pubblico discredito del boss. Si tratta di una vittima (non la citiamo per evitare di metterla ancor più in serio pericolo) che subì un pesante danneggiamento ed i cui autori furono arrestati anni addietro. La “famiglia” mafiosa nei confronti di quella vittima però non hanno cancellato rabbia e rancore, insistenti per porre in essere ancora nuove azioni ritorsive. E così misero in atto una nuova intimidazione. Per poi tradirsi nel corso di una chiacchierata finita intercettata. E lo fecero al passare della loro vittima vicino a loro che stavano discutendo per strada, a Castelvetrano. A parlare Giuseppe Bongiorno, l’autore dell’ultima intimidazione messa in atto e Giuseppe Tilotta. Stavano discutendo con rabbia della presenza della Polizia per le vie della città: “si sono presi l’abitudine di camminare pure in borghese…”. Per continuare stigmatizzando che spesso la loro vittima era stata vista a parlare e ad accompagnarsi con dei poliziotti, cosa che pubblicamente frattanto veniva stigmatizzata da certi politici, nei comizi elettorali di una cmapgna elettorale conclusasi l’anno scorso con lo scioglimento per inquinamento mafioso del Comune di Castelvetrano, : noi, lo sai che dovremmo fare? Gli dovremmo far saltare la macchina a questo merda…per farlo insegnare . Per farlo ridere come dico io… devi vedere che macchina ha… Questo inverno… si ci da fuoco. L’hai capito?…la.. 56  nera  quando gli ho tagliato le gomme me ne sono accorto…qua è… guarda dov’è… La vedi?” questa di fronte..”. In altra circostanza svelano inconsapevolmente agli investigatori che li stavano intercettando il loro pensiero su come punire le loro vittime: “però ricordati coglione che una persona la puoi ammazzare una volta… ma la puoi far soffrire un mare di volte…”. Tradotto: se una persona la uccidi, la puoi uccidere una sola volta, se le tieni in vita puoi farle male più volte. Siamo nella stagione della mafia che ha deciso di non uccidere, per cercare una certa sommersione, ma di usare bene le armi della denigrazione, della delegittimazione, utilizzando incredibili complicità dirette e indirette all’interno della società civile. Siamo nella stagione in cui i mafiosi e i loro complici usano contro quei giornalisti che invece hanno scelto la via del raccontare bene le cose, senza alcun tipo di bavaglio, l’arma delle querele temerarie, se ne contano molte presentate nei Tribunali. Con avvocati che spesso si allargano oltre i confini della deontologia professionale, diventando quasi dei “portavoce” dei mafiosi contro quegli scomodi giornalisti. Ma c’è da sottolineare anche altro. Negli stessi giorni delle intercettazioni a Castelvetrano, pubblici amministratori protestavano per come spesso i giornalisti raccontavano le vicende mafiose della cittadina, sostenendo l’esagerazione concessa ai fatti, e la mafia frattanto preparava e pensava nuovi assalti. A Castelvetrano tanti sono stati nel tempo i pubblici amministratori pronti a invocare quasi il silenzio, la stessa cosa pensava di pretendere l’associazione mafiosa. Quella vittima alla quale volevano bruciare l’auto, dopo averne tagliato le gomme, era stata presa di mira perché aveva deciso di denunciare pubblicamente le malefatte di Cosa nostra e del suo capo latitante, Matteo Messina Denaro, mentre la mafia pensava ad una sola cosa, “ridurre al silenzio qualunque voce critica e di aperto dissenso”, annotano i pm della Dda di Palermo nel loro provvedimento che ha portato in carcere 21 persone, e tra questi i cognati del latitante, Gaspare Como e Rosario Allegra. La mafia è pericolosa non solo per le azioni criminali che sempre riesce a mettere in atto, ma perché quelle azioni puntano a incidere, aggiungono i pm: “sui diritti di libertà del cittadino e sulla sua stessa capacità di autodeterminazione e, quando questi svolge attività politica o istituzionale, lo stesso atto ha l’obiettivo di condizionarne pesantemente le scelte e le decisioni”. E’ su questo che dovrebbe riflettere maggiormente la società civile e la politica, ma bisogna dire che a quattro giorni dall’ultima operazione antimafia non si contano molte reazioni politiche, anzi abbiamo avuto difficoltà a leggere qualche dichiarazione. Mai come adesso bisognerebbe stare vicino alle forze dell’ordine che nelle intercettazioni vengono assalite dai mafiosi. E lo fa ad un certo punto Gaspare Como: non ti danno pace… stanno distruggendo…” riferendosi chiaramente al boss (al quale le forze dell’ordine non danno pace) e agli arresti che nel tempo hanno azzerato le cosche, ma poi Como continua sottolineando che comunque le stesse cosche sono capaci a riorganizzarsi: meno male che siamo sempre in piedi”. Como ancora poi si diverte a rileggere con Antonino Triolo, altro arrestato, certe notizie comparse sulla morte del boss, lì non c’è rabbia ma sano divertimento:se ti vedi su facebook… li che hanno combinato… ora dicono che è mortoma perché non lo lasciano in santa pace… dicono che è morto… …(risata)… ma come….a barzelletta è andata a finire…”.

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Rino Giacalone
Rino Giacalone, direttore responsabile e cronista di periferia. Vive nel capoluogo trapanese sin dalla sua nascita. Penna instancabile al servizio del territorio e alla ricerca della verità.