La testimone di giustizia che ha denunciato la mafia. Intervista a Piera Aiello: “Voglio riappropriarmi della mia identità”

Piera Aiello, la donna che ha denunciato la mafia a Partanna insieme alla cognata Rita Atria ha deciso di candidarsi con il Movimento 5 Stelle: “Rivoglio la mia identità”

Foto ANSA

CASTELLAMMARE DEL GOLFO. È stata definita nei giorni scorsi la “candidata senza volto”. Lei è Piera Aiello, testimone di giustizia che da oltre 25 anni vive lontana dalla sua terra e con una nuova identità. Dai suoi occhi traspare voglia di riscatto, di vita. Già, proprio così. La vita che dal 1991 ha deciso di cambiare denunciando i mafiosi del suo paese, Partanna. Oggi, all’età di 50 anni, ha deciso di rimettersi in discussione, riprendendosi la sua libertà.

Piera Aiello è una testimone di giustizia che si è affidata allo Stato. All’età di 17 anni è stata costretta a sposare Nicolò Atria, figlio del mafioso locale Vito Atria e fratello di Rita Atria. La storia di Piera si intreccia quindi con quella di Rita, non una semplice cognata. Due donne unite dalla voglia di riscatto, di verità. Due donne libere che hanno scelto la strada della giustizia.

Dopo l’uccisione del marito Nicolò Atria, sotto gli occhi della moglie, Piera decide di denunciare gli assassini di suo marito e inizia la collaborazione con la polizia. Decide di tagliare i ponti con quel mondo, quello mafioso, che non era il suo. Durante i funerali del marito rifiuta di indossare il fazzoletto nero che le donne di mafia di Partanna portavano in segno di lutto. Non era il suo mondo. E lo aveva gridato anche prima della morte del marito, trovando però solo botte e minacce di morte per lei e la sua famiglia. A raccontarci questa storia, apparentemente lontana ma attualissima, è lei stessa.

Così, insieme alla cognata Rita Atria inizia a collaborare con la magistratura. Le loro vite si incontrano con quella di un grande magistrato, Paolo Borsellino (in quel periodo Procuratore della Repubblica a Marsala). Di lui si fidavano, avevano trovato un conforto. Per loro era “lo zio Paolo”. Il legame era talmente forte che una settimana dopo la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, Rita decise di togliersi la vita a Roma, la località segreta in cui si era trasferita.

In tutti questi anni Piera Aiello ha continuato la sua vita da “anonima”, nuova identità, nuova vita fuori dalla sua Sicilia. In questi anni ha raccontato la sua storia in giro per le scuole.

Ma oggi ha deciso di tornare e di abbracciare la causa del Movimento 5 Stelle, candidandosi per il collegio uninominale della Camera dei Deputati a Trapani, Marsala e Bagheria. Durante questa campagna elettorale non mostra il volto. Non vuole essere inquadrata, preferisce mantenere ancora l’anonimato. In Parlamento, una volta riottenuta la sua identità, vuole portare i temi della giustizia e le battaglie per i testimoni.

Nei giorni scorsi la sua decisione di restare “anonima” ha creato anche una polemica proprio a Marsala. Durante una trasmissione radiofonica, infatti, i due conduttori hanno ironizzato sul suo dispositivo di sicurezza, sostenendo che in caso di elezione in Parlamento “le verrà in aiuto il burka” per continuare a mantenere l’anonimato. Una battuta infelice che ha acceso la polemica tra i vertici del Movimento 5 Stelle e i conduttori della radio.

Abbiamo incontrato Piera Aiello domenica sera a Castellammare del Golfo, dopo la presentazione dei candidati del Movimento presso l’aula consiliare. Abbiamo rispettato il protocollo di sicurezza, nessuna foto, nessuna video ripresa. Non abbiamo fatto domande sul “Caso del Burka”, abbiamo preferito una breve chiacchierata. Ecco l’intervista che ci ha concesso:

Da testimone di giustizia a candidata alla Camera dei Deputati. Perché questa scelta?

“Mi sono avvicinata al programma del Movimento 5 Stelle perché rispecchia il mio pensiero. Ho abbracciato totalmente il loro programma e il loro progetto politico, in particolare sui temi che riguardano la giustizia. Per anni sono andata nelle scuole a parlare di giustizia e legalità con i ragazzi e il movimento, composto in maggioranza da giovani, per me vuol dire questo. Ho deciso di accettare la candidatura e di dare fiducia a questo gruppo di giovani per contribuire al cambiamento del nostro Paese. Spero di poter contribuire portando le mie idee e la mia esperienza sui temi come legalità e giustizia. È anche un modo per riappropriarmi dell’identità che ho perso da molti anni.”

Lei è stata definita da alcuni “la candidata senza volto”, come mai questa scelta?

“Momentaneamente sono ancora sotto protezione, ho un’altra generalità e quindi non posso espormi. In caso di elezione alla Camera uscirò allo scoperto. Mi riapproprierò della mia identità e del mio volto”.

Da oltre 25 anni vive fuori dalla Sicilia, ma in tutto questo tempo è cambiato qualcosa? C’è più consapevolezza su questi temi?

“Purtroppo non è cambiato molto, vedo ancora tanta disinformazione. Certo, adesso rispetto al passato si parla di mafia. Oggi però ci sono ancora molti giovani che non si interessano alla politica e non partecipano. In tutti questi anni ci sono stati casi eclatanti, di corruzione, di malaffare, di “patti con la mafia” e i giovani sono sempre più disinteressati alla vita sociale e politica. Noi abbiamo un compito fondamentale: quello di portare le persone a interessarsi di nuovo alla politica, di partecipare, ma soprattutto di scegliere.”

Scegliere, in che senso?

“Si, scegliere di mettere un punto al malaffare, al voto di scambio. Spetta soprattutto agli adulti scegliere il bene per i propri figli. Non si può andare avanti così, dobbiamo necessariamente risollevare la nostra Sicilia devastata dalla disoccupazione che costringe i nostri giovani a fuggire all’estero. Dobbiamo far crescere questo territorio senza nessun compromesso mafioso, per far tornare chi è stato costretto ad andare via dalla propria terra.”

Cos’è per Lei la solitudine?

“La solitudine è quel vuoto che senti intorno a te soltanto perché la pensi diversamente dagli altri. Sicuramente non è quella fisica. Una solitudine, per certi versi, provata anche dai ragazzi del Movimento 5 Stelle, definiti in passato dei pazzi, degli esaltati. In realtà venivano definiti così soltanto perché andavano a toccare le tasche di alcuni politici”.

Qual è il ricordo più bello che ha di Paolo Borsellino?

“Sicuramente quanto lo incontrai la prima volta. Per me era lo “zio Paolo”. Durante il nostro primo incontro ricordo che fumava una sigaretta, e gli dissi: “Con questo atteggiamento lei sembra un mafioso”. Lui si mise a ridere. Poi lo chiamai Onorevole, perché al mio paese tutte le persone importanti si chiamavano così, lui mi rispose sorridendo: “Con tutto il rispetto per la categoria, non sono un Onorevole, sono solo un semplice Procuratore della Repubblica”. Oggi molti politici corrotti hanno infangato la parola “Onorevole”, dobbiamo sfatare questa cosa: è una parola di pregio, non deve più essere un motivo di vergogna. Perché la politica può anche essere pulita”.

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Emanuel Butticè
Emanuel Butticè. Castellammarese classe 1991, giornalista pubblicista. Laureato in Scienze della Comunicazione per i Media e le Istituzioni all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul rapporto tra “mafia e Chiesa”. Ama viaggiare ma resta aggrappato alla Sicilia con le unghie e con i denti perché convinto che sia più coraggioso restare.