Qualcun altro, sul banco degli imputati?

Di Diego Motisi

Caso “Maria di Trapani”. Inflitti 2 anni di reclusione (pena sospesa) ad Alberto Lipari, e a Rosalba Platano, nel processo per maltrattamenti a Maria Caruso, 42 anni, più nota come «Maria di Trapani».

Quest’ultima, per qualche tempo incontrastata protagonista del web, era stata lanciata dal programma di Alberto Lipari «StranamuriSicilianu», ma in realtà, stando alla Procura ed alla parte civile, sarebbe stata vittima di maltrattamenti ad opera di chi le ha dato popolarità.

La vicenda promette di essere solo la prima fase di un processo molto più ad ampio spettro che fuori dalle sedi opportune del contenzioso legale spopola ad ogni livello, spaccando l’opinione pubblica nei soliti tre tronconi: colpevolisti, innocentisti, e dubbiosi.

Maria Caruso, oltre la patina di anticonformismo ed ignoranza che l’ha caratterizzata, come personaggio pubblico, pare sia stata dichiarata capace di intendere e volere, e dunque perfettamente cosciente del motivo che la rendeva così popolare. Al di là della personale convinzione che possa far parteggiare per Maria di Trapani, o per la coppia Lipari-Platano, va fatta una riflessione sul fenomeno “personaggio”, che ha generato tanto interesse.

Maria ha meritato la dimensione di “personaggio” grazie alla sua cruda e rozza spontaneità, prima popolarmente assai diffusa in capo a larghi strati popolari ed oggi spesso celata con vergogna, ove presente. La piazza mediatica fa dell’errore (specialmente se grossolano) motivo di meraviglia, ed è pronta a punir di satira, anche le défaillance episodiche di conduttori che macinano stoicamente decine di ore di diretta senza perdere il filo del discorso, steccare congiuntivi e verbi o storpiare terminologie e nomi stranieri. Non si salva nessuno.

Maria di Trapani, quasi del tutto scevra da scrupoli linguistici, non mostra di avere remore. Va, spedita come un treno su un binario unico, travolgendo regole, sintassi, grammatica, e quant’altro non ha mai fatto parte della sua dote di conoscenze linguistiche e culturali, parlando oltretutto alla maniera di arcaiche macchiette popolari. Tutto ciò è troppo vistoso ed invitante per sfuggire agli “avvoltoi” del web, e viene presto ingigantito su vasta scala in un tam-tam di link e copia/incolla.

L’impulsività pacchiana ed a tratti goffa, insieme ad un lessico grossolano e sorpassato, fanno breccia nell’avidità degli astanti, creando quello che un tempo si sarebbe detto il “fenomeno da baraccone”. È un fiume in piena, le sue esternazioni si moltiplicano, non venendo mai meno al tratto che la caratterizza. La gente fa la fila per assistere a questo prodigio dello svarione puro, per una volta genuino, non edulcorato, “bio”. Non è certo l’imitazione, per quanto ben riuscita, del solito cabarettista di turno.

Ma questo ne segna pure il dramma. Non c’è un sipario che decreti inizio e fine dello spettacolo. Non c’è, dietro al personaggio, l’attore che dismessi i panni sia capace di battere i pugni per pretendere con seria determinazione quanto spettante di diritto, come ogni artista farebbe alla consegna dei lavori commissionati.

Essere il personaggio, a permanenza,fa sollevare una sorta di “questione morale” sull’opportunità che la rete continui a prendersi gioco della “persona”, a prescindere dalla questione economica ed alle regole d’ingaggio che si sono dati coloro che dovevano curare la sua immagine.

La gogna mediatica che vuole per Maria il perenne scherno, supera il limite della decenza, sfociando nella violazione. Pur con le debite differenze, dovute anche alla volontà personale di esibirsi ed alla certificata capacità di discernere, non posso non pensare ad un inquietante parallelismo.

Penso alla condotta di una signora che incautamente si sveste nel proprio appartamento, davanti ad una finestra poco schermata, ed all’agire di un c.d. guardone che piazza, dal terrazzo di casa, un treppiedi con monocolo per spiarne ed immortalarne l’intimità, a distanza.

Non posso non condannare il guardone, pur prescindendo dal fatto che la signora avrebbe potuto usare maggior perizia.

Un pezzetto del fardello di “colpa”per la vicenda “Maria di Trapani” andrebbe distribuita a tutti coloro che abusavano di quel monocolo, facendo svettare le visualizzazioni sul web ed accorrendo alle occasioni in cui “il fenomeno” si esibiva dal vivo.Chi ha alimentato il vento dell’onda mediatica cavalcata da Maria di Trapani? Non certo la mera volontà dei suoi curatori, che (per loro stessa ammissione) non immaginavano che il loro contatto generasse un tale interesse.

È sì vero che la TV spazzatura, purtroppo,assurge a costume di tendenza, e che Maria di Trapani sia l’ennesimo esempio di questa linea poco virtuosa di intendere l’intrattenimento.

La tendenza non dovrebbe essere alibi. Non dovremmo mai perdere di vista le conseguenze. Non occorre necessariamente una tavola rotonda televisiva di sociologi, psicologi, esperti di comunicazione, e tuttologi per comprendere che è stato perpetrato un danno, e che senza il perverso voyeurismo mediatico le sue proporzioni e le relative ripercussioni sarebbero state assai meno significative. Nell’antica Roma dei cesari, il “pollex versus” (o pollice verso, ossia un gesto della mano che ricorda una spada sguainata)usato dalle folle per decidere la sorte di un gladiatore sconfitto nell’arena valeva a decretare la morte dello sconfitto, per mano del gladiatore vincente. Questo barbaro costume, in uso ad uno dei popoli ritenuti fra i più civilizzati dell’epoca, era una consolidata prassi convenzionale che non macchiava la coscienza degli spettatori di alcuna colpa, nonostante l’impatto dirimente. Oggi avremmo una diversa opinione. E perché non pensare ai media come ad un’arena, dal momento che – come saggezza popolare vuole – ne uccide più la lingua che la spada?

Forse una forma di “censura”, intesa così come la immaginarono alcuni nostri predecessori ed in uso a realtà totalitaristiche, sarebbe eccessiva, ma una “regolamentazione” più esigente probabilmente farebbe venire meno“ante litteram” molti costosi e farraginosi processi, creando le basi per una equa regolamentazione di tali fenomeni e della loro diffusione.

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